“Questo articolo è tratto dal capitolo “PNRR e Coesione” dell’Annual Report 2024 di FPA (la pubblicazione è disponibile online gratuitamente, previa registrazione)“
La concomitanza delle risorse messe a disposizione dalla Politica di Coesione – chiusura della programmazione 2014-2020 e nuovo ciclo 2021-2027 – con gli investimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) hanno rappresentato per il nostro settore pubblico un vero e proprio shock amministrativo.
A dispetto di annose carenze strutturali e mancanza di dotazione organica e di competenze, il nostro sistema pubblico ha dovuto imprimere una forte accelerazione alla propria capacità di attuare gli investimenti, anche e soprattutto per i meccanismi del PNRR che, come sappiamo, prevedono l’ottenimento dei rimborsi delle rate da parte dell’Europa a fronte dei traguardi effettivamente conseguiti più che della spesa rendicontata.
Per dare l’idea del salto di efficienza richiesto alla nostra Pubblica Amministrazione (PA), basta ricordare che la Corte dei conti europea nella relazione annuale sul bilancio 2020, indicava l’Italia come il Paese con la peggiore performance di spesa, in grado di assorbire non più di 3 miliardi l’anno di Fondi strutturali. Con l’assegnazione delle risorse del PNRR in aggiunta alle risorse dei Fondi SIE, le PA italiane hanno dovuto migliorare di dieci volte la propria capacità di spesa, trovandosi a dover investire oltre 30 miliardi l’anno di fondi comunitari fino al 2029.
Accanto alla necessità di attuare i programmi velocemente e in maniera efficace, il PNRR ha stimolato un’ulteriore condizione che sarà importante mantenere e potenziare una volta esaurita la spinta finanziaria del Piano: l’attitudine da parte delle Amministrazioni Pubbliche al dialogo a vari livelli.
Le amministrazioni centrali con gli enti locali per armonizzare gli investimenti nazionali e le strategie territoriali, i Comuni e le Regioni con le reti territoriali delle imprese e della ricerca per governare i processi complessi di sviluppo sempre più legati all’innovazione e alle nuove tecnologie.
Il metodo e i meccanismi del dialogo interistituzionale e tra le amministrazioni e i propri stakeholder non si sta rivelando privo di difficoltà e passaggi critici, ma il cambio di paradigma, se opportunamente valorizzato, può essere rilevante per il futuro.
Per molte amministrazioni centrali e, soprattutto, locali, il fatto di essere a capo della governance su investimenti che presuppongono il coordinamento di reti territoriali dell’innovazione, dove esistono soggetti tradizionalmente più dinamici come startup, grandi imprese e soggetti della ricerca di natura pubblica e privata, significa uscire dalla logica del mero sostegno economico al sistema produttivo attraverso contributi diretti e agevolazioni, schema caratteristico dell’attuazione dei programmi regionali FESR, per arrivare a sviluppare nuove e inaspettate competenze di tipo gestionale e organizzativo. Più avanti in questo contributo introduttivo, approfondiremo tale aspetto con esempi e progetti esemplificativi di una dinamica che può rappresentare in assoluto un elemento positivo di novità e di crescita del sistema pubblico.
Andando con ordine, vediamo a che punto siamo con l’attuazione degli investimenti europei per quanto riguarda gli obiettivi quantitativi. In merito all’attuazione finanziaria dei Fondi della Coesione, i numeri confermano che la criticità maggiore risiede nel fatto che le spese tendono ad accumularsi nell’ultima fase del ciclo di programmazione, o addirittura nell’anno finale, costringendo le amministrazioni a uno sprint frenetico per raggiungere gli obiettivi prefissati.
Secondo i dati più recenti forniti nel Bollettino di monitoraggio della Ragioneria generale dello Stato, alla data del 30 giugno 2024, lo stato di utilizzo dei Fondi strutturali del vecchio ciclo 2014-2020 si attesta per ciò che attiene agli impegni, ad un valore pari a oltre il 98,5% delle risorse programmate, mentre i pagamenti hanno raggiunto i 78 miliardi, corrispondenti a circa l’83% dei fondi. Decisamente indietro l’attuazione dei Fondi Strutturali 2021-2027, sui quali risulta un avanzamento del 10,7% in termini di impegni e dell’1,71% in termini di pagamenti. Su quest’ultimo dato incidono chiaramente i ritardi in partenza che hanno visto la firma dell’Accordo di Partenariato soltanto a luglio 2022 e la partenza dei Programmi nel 2023.
Per quanto riguarda invece il PNRR, in base alla Quinta relazione sullo stato di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza presentata a luglio scorso dall’allora Ministro Fitto, con la richiesta di pagamento della sesta rata l’Italia ha attestato il raggiungimento degli obiettivi prefissati, collegati al 63% delle risorse del Piano. Tale dato pone il nostro Paese al di sopra della media dell’Unione e, infatti, il nostro Paese è l’unico ad aver richiesto il pagamento della sesta rata rispetto alle dieci previste. Aver ottenuto l’erogazione delle rate da parte dell’UE non vuol dire, automaticamente, capacità di spesa. A giugno 2024, quando è trascorsa più della metà della durata temporale del Piano, l’Italia ha speso 51,36 miliardi, il 26,5% dei 194 miliardi che complessivamente dovrà gestire.
Tale dato è decisamente più preoccupante anche se in parte mitigato dal fatto che nel PNRR, la struttura temporale delle riforme e degli investimenti è generalmente organizzata in due fasi principali. La prima fase è concentrata sulle riforme necessarie per creare un contesto normativo e istituzionale favorevole all’implementazione degli investimenti. Nella seconda fase, una volta attuate le riforme, si passa all’attuazione degli investi menti veri e propri. Su questo fronte, siamo indietro ma le prospettive lasciano ampi margini di risalita. Rispetto al totale di 194 miliardi di euro, infatti, sono state attivate misure per un valore di 165 miliardi (85%), le gare d’appalto avviate ammontano a 122 miliardi su 136 miliardi di euro, 92% sul to tale delle gare previste. Il passo di avvio è stato fatto, si tratta di portare a termine gli obiettivi nei tempi del Piano.
Come sappiamo una componente rilevante del piano, circa il 35% delle risorse complessive, è destinato ai territori sia attraverso una gestione diretta da parte degli enti locali, in ambiti quali rigenerazione urbana, edilizia scolastica e ospedaliera, economia circolare e interventi per il sociale, sia attraverso risorse destinate agli enti locali ma gestite centralmente, come quelle relative ad alcune misure di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione della componente M1C1.
Il Piano, quindi, pur essendo strutturato in missioni che corrispondono in larga parte a competenze centrali, si basa su una forte relazione tra i ministeri e gli enti locali, principalmente Comuni e Città metropolitane. Un ruolo minore è ricoperto dalle Regioni (15,67mld attuati dalle Regioni contro i 33,48mld a disposizione dei Comuni) che in fase di definizione iniziale del PNRR hanno probabilmente scontato una considerazione di minore efficienza nella gestione storica dei fondi strutturali.
Nel sistema di governance del Piano, le amministrazioni titolari delle diverse missioni e componenti sono anche incaricate della produzione e gestione dei flussi informativi. In tale architettura si colloca il sistema informatico ReGiS, che permette di registrare le varie fasi di bilancio, programmazione, progettazione, appalto, e di monitorare l’avanzamento dell’attuazione. Certamente il sistema dei flussi informativi, nella sua interoperabilità e omogeneità delle procedure deve essere migliorato così come evidenziano le rilevazioni di molti dei soggetti coinvolti, ma il fatto che il PNRR ha suggerito la costruzione di una rete integrata di scambio dei dati tra enti pubblici diversi, basata su criteri standardizzati, rappresenta un grande elemento di innovazione nelle politiche pubbliche del nostro Paese.
L’occasione più evidente è quella di superare un approccio amministrativo, ormai sedimentato, in cui ogni ente gestisce e protegge gelosamente i propri dati in maniera autonoma e stabilisce le fondamenta per una metodologia coordinata di programmazione economica e pianificazione operativa, che potrà fare la differenza per il futuro.
A questo proposito, un modello che può essere considerato esemplificativo in merito al coinvolgimento dei soggetti attuatori, all’innovazione degli strumenti tecnico-amministrativi e al supporto degli enti centrali agli enti territoriali in tutte le fasi del processo, è quello realizzato dal Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei ministri, attraverso la costituzione del Transformation Office, per supportare le amministrazioni nell’attuazione degli investimenti del PNRR sul digitale (Componente M1C1).
Il Transformation Office nasce dalla considerazione che storicamente i processi di digitalizzazione della PA, in particolar modo quelli legati ai fondi europei, si sono scontrati con alcuni problemi strutturali riconducibili alla complessità amministrativa, alla mancanza di competenze interne agli enti, allo scarso dialogo tra i soggetti coinvolti. Con il PNRR, che ha messo a disposizione di questa Componente 6,14 miliardi di euro da spendere in pochi anni, il rischio di sprecare una opportunità unica per la PA era reale.
Il Transformation Office ha, quindi, operato non soltanto semplificando le procedure attraverso una unica piattaforma dove poter seguire online l’intero ciclo di vita degli avvisi, ma anche affiancando le PA attraverso una capillare rete di 200 professionisti organizzati in sette macroaree per accompagnare le PA, in particolar modo quelle territoriali, in tutte le fasi dei progetti: dalla candidatura alla realizzazione. La condivisione e il dialogo continuo hanno poi coinvolto non soltanto i soggetti attuatori in senso stretto, ma anche la rete più ampia degli stakeholder composta dai soggetti aggregativi e rappresentativi delle PA e del mondo della fornitura. L’efficacia di un percorso di questo tipo è nei numeri: a poco più di un anno dalla costituzione del Transformation Office, il 99% dei Comuni aveva presentato la propria candidatura ad almeno un avviso, 52.000 erano i progetti avviati e 4,9 miliardi di euro le risorse già allocate alle PA locali e centrali.
Un altro esempio di filiera in cui gli investi menti del PNRR stanno facilitando un dialogo strutturato tra la PA centrale e locale e i soggetti territoriali dell’innovazione è rappresentato dalla Missione 4 Componente 2, dedicata al potenziamento del settore della ricerca e guidata dal Ministero dell’Università e della Ricerca. Un elemento comune ai vari progetti finanziati è la modalità di esecuzione, basata su una struttura Hub&Spoke, che coinvolge nei diversi territori tre tipologie di soggetti: proponente, realizzatore ed esecutore. Questo modello ha favorito la creazione di nuovi enti, come consorzi e fondazioni, allo scopo di rafforzare la collaborazione tra i diversi attori territoriali coinvolti. Attualmente, questo sistema di iniziative coinvolge 21.300 ricercatori, di cui 5.800 assunti appositamente per portare avanti i progetti finanziati. Il partenariato e la cooperazione tra i membri della rete si stanno rivelando elementi fondamentali per garantire la sostenibilità di queste nuove aggregazioni oltre la durata del Piano, attraverso lo sviluppo di entità robuste che possano competere efficacemente e ottenere nuovi finanziamenti per proseguire le attività di ricerca.
Come ultimo esempio, il progetto delle Case delle Tecnologie Emergenti finanziato questa volta non dal PNRR ma dal Ministero delle Imprese e del made in Italy attraverso il Fondo di Sviluppo e Coesione 2014-2020, con un ruolo centrale assegnato ai Comuni nella realizzazione del sistema locale dell’innovazione. Ciascuna delle tredici CTE finanziate è, infatti, supportata da un partenariato composto dal Comune di riferimento come capofila, enti di ricerca pubblici e privati e partner industriali.
Nel progetto i Comuni assumono un ruolo cruciale come facilitatori e promotori dell’innovazione tecnologica a livello locale. Essi sono responsabili di creare un ambiente favorevole allo sviluppo e all’adozione di tecnologie emergenti come IoT, intelligenza artificiale, blockchain e connettività 5G. I Comuni collaborano con imprese, università e centri di ricerca per promuovere la sperimentazione, la formazione e il trasferimento tecnologico. Inoltre, si occupano di gestire gli spazi fisici delle CTE, dove possono essere realizzati progetti pilota, workshop e altre iniziative che coinvolgono cittadini e aziende. In questo modo, i Comuni contribuiscono a stimolare in maniera diretta la crescita economica attraverso l’innovazione tecnologica.
In conclusione, le risorse comunitarie destinate allo sviluppo e alla riduzione dei divari territoriali stanno contribuendo a riaffermare la centralità dei territori come “piattaforme di innovazione”. Numerose progettualità finanziate dal PNRR, combinate con le priorità di investimento previste dalla programmazione 21-27 dei fondi strutturali, hanno infatti posto le basi per un nuovo modello di collaborazione tra governo centrale e locale, imprese e mondo della ricerca.
È evidente, dagli esempi riportati, che i frutti di tale processo potranno essere strutturali e duraturi se riuscirà a svilupparsi un nuovo modello di capacità amministrativa da parte degli enti pubblici che chiama in gioco il saper guidare i processi di innovazione, attraverso una governance integrata e collaborativa, capace di superare la frammentazione amministrativa tradizionale. Questi modelli di cooperazione e partenariato, se ben implementati, possono garantire la sostenibilità e l’efficacia degli investimenti oltre la durata dei programmi attuali, contribuendo a un sistema pubblico più efficiente e innovativo.
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