L’insegnamento per molto tempo è stata considerata una professione nobile, e socialmente riconosciuta. La funzione docente, che va oltre l’impartire conoscenze, si definisce nel creare occasioni di apprendimento dei saperi e dei diversi linguaggi per far sì che gli alunni/e acquisiscano strumenti necessari per “imparare ad imparare”. La scuola pubblica si realizza impegnandosi per il successo formativo di tutti gli alunni/e, con particolare attenzione al sostegno delle diversità e degli svantaggi affinché le situazioni individuali siano riconosciute e valorizzate, evitando che la differenza si trasformi in disuguaglianza.
Oggi, in una società così complessa, connotata da molteplici cambiamenti e discontinuità, la professione docente è fortemente caratterizzata da un sovraccarico di lavoro e da tanta burocrazia che porta i docenti a vivere situazioni di burnout. Le cause di questa condizione sono molteplici: la scuola italiana è stata oggetto di continue riforme da parte di ogni governo che si è succeduto, senza avviare un processo di cambiamento di prospettiva e senza tener conto delle vere urgenze e priorità indicati e sollecitati dalla categoria. Le aule scolastiche saranno dotate di postazioni informatiche e lavagne multimediali e i fondi del PNNR dedicati all’istruzione si convertiranno in ambienti didattici innovativi, ma è giusto chiedersi quale sarà l’uso che ne verrà fatto e quali priorità piuttosto sono state accantonate, come l’inadeguatezza strutturale degli edifici scolastici.
La scuola non rappresenta certo una priorità se la spesa nazionale per l’istruzione è sempre più ridotta, se i/le docenti italiani rimangono i/le meno pagati/e in Europa e se un quinto di essi è precario/a. Tante le criticità. Le classi “pollaio” si sarebbero potute risolvere se si fosse ridotto il numero degli alunni/e per classe, perché ciò avrebbe avuto un impatto positivo sull’apprendimento e sulla dispersione scolastica. Il diritto al sostegno è stato sottoposto a continui tagli, nelle scuole frequentemente i bambini e le bambine con disabilità frequentano un orario ridotto in quanto la scuola non garantisce ore sufficienti per il pieno diritto allo studio. La mancata copertura del personale assente causa disagi continui per cui si assiste quotidianamente allo smembramento in gruppi di alunni/e che vengono ospitati in altre classi. I tagli per il funzionamento didattico fa sì che molti istituti ricorrano ai contributi delle famiglie. Il rapporto con le famiglie è spesso teatro di scontri invece di declinarsi in incontri sereni e collaborativi e ultimamente il livello di conflittualità ha raggiunto livelli di insostenibilità tali da occupare ampi spazi mediatici.
A fronte dello stereotipo sulla categoria (tre mesi di vacanza e mezza giornata di lavoro) è bene ricordare che i docenti hanno l’obbligo di partecipare alle riunioni del collegio dei docenti, dei dipartimenti, alle attività di programmazione e verifica, ai colloqui con le famiglie, ai corsi di formazione, agli scrutini ed esami, tutte attività funzionali all’insegnamento. È da considerare che le riforme pensionistiche non hanno tenuto conto che la classe docente è la più anziana d’Europa e se paragoniamo il requisito anagrafico per l’accesso alla pensione del nostro Paese con la media degli altri Paesi, in Italia sono richiesti 3 anni in più di anzianità per gli uomini e 4 per le donne.
Per gli insegnanti della Scuola dell’infanzia e Primaria ammalarsi a scuola è frequente. Oltre alle patologie legate alle corde vocali (malattia professionale riconosciuta) i docenti sono a contatto con bimbi/e in età tipica delle malattie infantili. L’esposizione agli agenti patogeni è aumentata negli ultimi anni per l’abolizione dell’obbligo di certificato medico, per la riammissione degli alunni dopo la malattia e per l’assenza di medicina scolastica che, fino gli anni 70, aveva svolto attività di promozione della salute e del benessere degli alunni. Anche se le insegnanti della Scuola dell’Infanzia rientrano tra le professioni “gravose”, i limiti anagrafici e contributivi per accedere all’APE sociale sono rigidi ed insostenibili (non prevedono tredicesima, assegni familiari e rivalutazione annuale a fronte di un assegno mensile che non può superare i 1500 euro lordi) e la immediata conseguenza si avrà nella permanenza a scuola senza ricambio generazionale. Come COBAS abbiamo sempre sostenuto l’anticipo pensionistico senza alcuna decurtazione e continueremo in questa battaglia.
Beatrice Corsetti Esecutivo nazionale COBAS Scuola e docente nella Scuola dell’Infanzia
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