Il 31 gennaio 2020, il Regno Unito ha formalmente lasciato l’Unione Europea, ponendo fine a più di 40 anni di adesione comunitaria. Quella data storica, tanto attesa quanto temuta, ha segnato l’inizio di una nuova era per il paese, ma anche un capitolo di incertezze, sfide e trasformazioni. A cinque anni di distanza, l’impatto della Brexit è ancora visibile su molti aspetti della vita quotidiana, economica e politica degli inglesi, e le prospettive future sono segnate da un misto di speranza e preoccupazione.
Maurizio Bragagni è un imprenditore italiano, originario di Pieve Santo Stefano (Arezzo), che da anni ha la sua base operativa in Inghilterra. È infatti amministratore delegato di Tratos Uk, un’azienda che opera nel settore dei cavi elettrici e delle fibre ottiche. Bragagni conosce bene questo periodo di transizione. «Cinque anni fa – spiega Bragagni – il primo ministro britannico, Cameron, aveva vinto praticamente tutto: le elezioni, il referendum sul proporzionale per mantenere l’uninominale, il referendum costituzionale per mantenere la Scozia nella Gran Bretagna. Era l’unico leader del centrodestra in Europa ed era il riferimento dei conservatori europei. Credendo di essere “Re Mida”, ha fatto l’errore di mettere la faccia sul referendum sull’Europa, un argomento su cui l’Inghilterra era divisa da anni. Tutto ciò senza considerare che gli inglesi non avevano la più pallida idea di cosa fosse realmente l’Ue: alle elezioni europee votava sempre meno del 30%. Inoltre, in un sistema uninominale, dove si conquista il potere con poco più del 30%, se ti scontri su un argomento specifico, puoi avere tutti gli altri contro di te. Il risultato clamoroso è che l’Inghilterra è uscita dall’Europa a causa di una totale incapacità di calcolo del rischio da parte della classe dirigente. Cameron era così sicuro di vincere che non aveva previsto alcun piano B. E il giorno dopo si dimette, dando inizio a un periodo di crisi, politica ed economica».
Le nuove regolamentazioni doganali, i controlli sulle merci e la fine della libera circolazione delle persone hanno avuto un impatto tangibile, specialmente sul commercio e sul turismo. Le piccole e medie imprese, in particolare quelle che facevano affidamento sul mercato unico europeo, hanno dovuto affrontare costi aggiuntivi e complicazioni logistiche.
Cinque anni dopo la Brexit, i rapporti tra il Regno Unito e gli altri paesi europei sono ancora in fase di definizione. La fine della libera circolazione e del mercato unico ha innescato una serie di complicazioni. Gli Stati membri dell’Ue hanno dovuto adattarsi alla nuova realtà senza il Regno Unito, ma sono riusciti a mantenere relazioni economiche e politiche stabili. Tuttavia, è evidente che il Regno Unito non gode più degli stessi privilegi e della stessa influenza che aveva quando faceva parte dell’Unione.
«L’Inghilterra negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso si trovava in una grande crisi – aggiunge l’imprenditore -. Si salvò grazie alla battaglia di Margaret Thatcher, nel 1974, per entrare nel mercato comune europeo. E utilizzarono questa strategia: non investivano direttamente nella scuola, ma prendevano laureati in medicina da altri stati europei; non investivano nell’industria, ma compravano prodotti che costavano meno dal sud dell’Europa. Nel frattempo, l’Inghilterra divenne la capitale finanziaria europea, facendo circolare denaro. Ma nel 2020, con la rottura del cordone ombelicale con l’Europa, iniziò una grande crisi. Gli europei se ne andarono. Gli ospedali, che erano pieni di medici europei, si ritrovarono improvvisamente senza queste risorse. L’Inghilterra non è un paese in grado di sostenersi da solo dal punto di vista industriale. E per pagare i debiti, il governo ha dovuto aumentare considerevolmente le tasse».
Sul fronte commerciale, le negoziazioni tra Londra e Bruxelles sono state segnate da scontri e compromessi. Sebbene l’Accordo di commercio e cooperazione (Tca), firmato nel dicembre 2020, abbia evitato un «no deal» catastrofico, molte imprese continuano a riscontrare difficoltà nei rapporti con i partner europei. La burocrazia doganale, le tariffe e le nuove barriere hanno reso più complesso il commercio, in particolare per le piccole e medie imprese britanniche.
Sul piano politico, le relazioni sono state influenzate dal crescente distacco tra il Regno Unito e le istituzioni europee. La leadership britannica ha intrapreso un percorso di maggiore indipendenza politica, ma talvolta si è scontrata con l’Unione riguardo questioni come il rispetto degli accordi sulla Brexit, i diritti dei cittadini e la gestione della frontiera irlandese. Tuttavia, nonostante le divergenze politiche, gli scambi culturali, scientifici e di ricerca continuano a prosperare, anche se ora su una base bilaterale e non più comunitaria.
In particolare, i paesi dell’Europa continentale, come Francia, Germania e Paesi Bassi, hanno dovuto adattarsi a una nuova dinamica, pur mantenendo con il Regno Unito relazioni economiche vitali. Tuttavia, la distanza politica ha reso più difficile affrontare temi di cooperazione internazionale come la sicurezza, l’ambiente e la politica estera. Le recenti crisi internazionali, come la guerra in Ucraina, hanno dimostrato la necessità di una collaborazione trasfrontaliera, ma anche la difficoltà di farlo senza una partecipazione diretta del Regno Unito nelle strutture decisionali dell’Ue.
«La guerra in Ucraina – sottolinea Bragagni – ha rafforzato il fatto che senza la Gran Bretagna non esiste una difesa comune, perché con Polonia e Italia, la Gran Bretagna è il più grande esercito disponibile. Spesso ci dimentichiamo che l’Italia è impegnata in moltissime missioni estere. Per esempio, la Germania non partecipa a missioni estere. La difesa comune europea della libertà comporta un riavvicinamento. Il problema della gestione dell’immigrazione comporta un riavvicinamento. Quindi, il problema della sicurezza sta riavvicinando l’Inghilterra e l’Europa, perché è un problema che riguarda tutti. Di conseguenza, si stanno riaprendo altre questioni per un riavvicinamento economico tra le due realtà. Questo è già in atto», conclude Bragagni.
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