Caso Almasri, Giorgia Meloni come Chiara Ferragni: pro e contro del video-selfie

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Nel caos di queste ore sui rapporti tra Italia e Libia e sul mancato arresto del generale libico Osama Elmasry Njeem Habish (foto sotto), che si fa chiamare Almasri, cioè l’Egiziano, vale la pena fissare alcuni punti. Giusto per non lasciarsi indottrinare dal cosiddetto partito dei giudici. Ma nemmeno da quello dei meloniani. Se avete la pazienza di leggermi fino in fondo, spero di darvi qualche contributo per capire.


5 – Libia: le ragioni di Giorgia Meloni


La prima parola da tenere in considerazione è: Libia. Lo Stato nordafricano si affaccia sul Mare Mediterraneo: sulla cartina appare proprio sotto Calabria e Sicilia. È il luogo di partenza di 105 mila migranti irregolari nel 2022, 157 mila nel 2023 e 66 mila nel 2024. Ma soprattutto la Libia, attraverso l’attività della nostra società energetica Eni, è tornata a essere il primo fornitore di petrolio dell’Italia, coprendo nei primi sette mesi del 2024 il 22,3 per cento del nostro fabbisogno nazionale (fonte Unem). La Libia ci ha inoltre fornito 2,5 miliardi di metri cubi di gas (il primo fornitore è l’Algeria, con 25,5 miliardi – fonte Arera).


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4 – Diplomazia: le ragioni di Giorgia Meloni


La seconda parola è: diplomazia. I rapporti tra Italia e Libia sono delicatissimi. Il Paese è infatti diviso in due. Da una parte Tripoli, la storica capitale, con il Nord Ovest e Al Zuwara, la città delle partenze dei barconi verso Lampedusa. Dall’altra Bengasi, l’Est al confine con l’Egitto, e buona parte delle regioni centrali e meridionali. Il 16 gennaio 2025 le dimissioni del direttore della National Oil Corporation libica, Farhat Bengdara, ha aggiunto nuove tensioni sulla ripartizione dei proventi petroliferi tra Tripoli e Bengasi, in un clima di guerra civile pronta a riesplodere.



Quindi nel 2024 l’Italia ottiene due risultati positivi, grazie alle buone relazioni sull’asse governo Meloni-Eni-Tripoli-Bengasi: gli sbarchi dalla Libia crollano del 58 per cento, le forniture di petrolio dalla Libia salgono al 22,3 per cento. Questa è la posta in gioco: sbagliare una parola, un protocollo può essere fatale. Figuriamoci imprigionare sul nostro territorio uno dei massimi ufficiali di Tripoli, benché ricercato dalla Corte penale internazionale, per torture e violenze sessuali sui migranti adulti e bambini, come responsabile del carcere di Mitiga alle porte di Tripoli.


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3 – Crimini: le ragioni di Giorgia Meloni


La terza parola è: crimini. Arrestare Almasri dovrebbe essere motivo di orgoglio per un governo che ha fondato la sua ricerca di voti sul contrasto all’immigrazione irregolare e ai trafficanti di esseri umani. Perché, nel suo campo secondo le accuse della Corte penale internazionale e le testimonianze di molti sopravvissuti, è stato come prendere Totò Riina per mafia, o catturare Osama Bin Laden per terrorismo. E questo sarebbe stato il naturale ragionamento nel mondo di mezzo tra la Guerra fredda di un tempo e la guerra calda alla Russia, cioè il periodo storico che va dal 1990 al 2022. Ma nel brutale mondo di oggi il governo ha dovuto decidere tra 1) il successo giudiziario (con la conferma dell’arresto di Almasri) o 2) il successo energetico-diplomatico (con il suo rilascio). Giorgia Meloni, con i ministri della Giustizia, Carlo Nordio e degli Esteri, Antonio Tajani, ha scelto la soluzione numero 2. 


2 – Procuratore: gli errori di Giorgia Meloni


La quarta parola è: procuratore. Francesco Lo Voi, procuratore della Repubblica a Roma (foto sotto), è stato attaccato verbalmente dalla premier Meloni, dal ministro Tajani, perfino dal capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri. Chi ha ragione? Lo Voi ha ricevuto una denuncia dettagliata nei confronti della presidente del Consiglio, di due ministri e un sottosegretario per favoreggiamento (mancato arresto di Almasri) e peculato (uso dell’aerotaxi di Stato per riportarlo a Tripoli). La denuncia l’ha firmata l’avvocato Luigi Li Gotti, ex esponente in Calabria dell’Msi e di An come Giorgia Meloni, poi passato a partiti di centrosinistra, che ha detto di essersi sentito preso in giro dal governo.


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Francesco Lo Voi foto LaPresse


In questo caso, di fronte alla denuncia circostanziata dell’avvocato che fa riferimento a fatti pubblicamente noti, Lo Voi ha dovuto procedere secondo la legge costituzionale numero 1 del 16 gennaio 1989, che regola le indagini nei confronti di esponenti del governo. L’articolo 6, al comma 2, stabilisce infatti che “il procuratore della Repubblica, omessa ogni indagine, entro il termine di quindici giorni, trasmette con le sue richieste gli atti relativi al collegio… dandone immediata comunicazione ai soggetti interessati, perché questi possano presentare memorie al collegio o chiedere di essere ascoltati”. Il collegio di magistrati è quello che volgarmente viene chiamato tribunale dei ministri.


Chi è Luigi Li Gotti, l’avvocato che ha denunciato Giorgia Meloni


“Omessa ogni indagine”, significa che il procuratore non può indagare. “Entro quindici giorni” e “immediata comunicazione”, vuol dire che non può tenersi il fascicolo aspettando che le polemiche si plachino. Giovedì 30 gennaio il capogruppo in Senato, Maurizio Gasparri, ha detto in aula che il procuratore Lo Voi avrebbe dovuto convocare una conferenza stampa per presentare i dettagli di questa denuncia. Trovo paradossale che una simile proposta provenga da un importante esponente del centrodestra: in quel caso sì, Francesco Lo Voi sarebbe andato incontro a giuste critiche per protagonismo, strumentalizzazione politica, sgarbo istituzionale. Il procuratore di Roma ha invece agito nel rispetto istituzionale e nella massima riservatezza. La notizia della denuncia l’ha infatti rivelata Giorgia Meloni, non la procura. Lo Voi ha compiuto un atto dovuto (glielo imponeva la legge). Meloni un atto voluto: il video-selfie è stata una sua iniziativa. E qui veniamo all’errore più grave.


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1 – Stile-Ferragni: gli errori di Giorgia Meloni


La quinta parola è infatti: stile-Ferragni. Va di moda tra i vip, quando si sentono perseguitati da qualunque avversità, rivolgersi direttamente alla piazza dei social con un video-selfie. Come ha fatto Chiara Ferragni, dopo essere stata pizzicata nella vicenda dei pandori in beneficenza. E come ha ripetuto Giorgia Meloni (nella foto sotto, con il generale di Bengasi, Khalifa Haftar), per denunciare il presunto attacco della magistratura al governo. Colori pastello sia per Chiara, sia per Giorgia. Linguaggio e sguardi da vittime (nella foto vicino al titolo). Ora che questo inciampo capiti a un’influencer, è un suo problema. Ma se succede alla premier, significa che né lei né il suo costoso staff addetto alla comunicazione hanno ancora raggiunto l’adeguata postura che si addice a un capo di governo.


Giorgia Meloni con il generale libico Khalifa Haftar (LaPresse)


Il danno al Paese non l’ha fatto il procuratore Lo Voi, ma la balzana decisione di diffondere un discorso straordinario davanti alla nazione per dichiararsi vittima di un complotto giudiziario. È questo che ha trasformato la marginale iniziativa di un avvocato in un caso di Stato. E cosa dovevano fare i giornali stranieri: ignorare la notizia per fare un favore al senatore Gasparri? Giorgia Meloni aveva a disposizione tre alternative.


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La prima: dare la notizia della denuncia con un breve comunicato, precisando che “la Presidenza del consiglio è a disposizione della magistratura per dimostrare che si è trattato di una scelta politica a favore dell’Italia e non di un reato”. Punto. La seconda: opporre il segreto di Stato. La terza: usare i servizi segreti, i colpevoli assenti di questo danno d’immagine all’Italia, quindi rimpatriare Almasri con un aereo privato senza bandiere e ridurre al minimo profilo l’esposizione del governo. A meno che lo scopo non sia proprio lo scontro con la magistratura, a questo punto, in pieno stile Donald Trump. Ma a chi critica Meloni andrebbe comunque chiesto cosa avrebbe fatto al suo posto: perdere le forniture di gas e petrolio libici e affossare l’economia oppure liberare il presunto criminale? La scelta non può che essere tra i costi e i benefici per il Paese. Anche se la prossima volta che il governo parlerà di lotta ai trafficanti di esseri umani, ci verrà sicuramente da sorridere. 


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