le due leader che gli hanno detto di no

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#finsubito

Conto e carta

difficile da pignorare

 


Mentre Elon Musk prova ad andare su Marte, Donald Trump prova a mettere sottosopra la Terra. Ma se Musk non trova avversari nello spazio, per ora, Trump ha subito trovato due donne a opporsi con fermezza. La premier della Danimarca, Mette Frederiksen, e la presidente del Messico, Claudia Sheinbaum. E visto il motivo della contrapposizione potrebbe essere una commedia hollywoodiana dal titolo The Lady isn’t a Trump, dove Trump è diventato un aggettivo per indicare qualcuno che si ostina a fare una cosa sbagliata, e più sbaglia più si ostina e più si ostina più sbaglia e porta danni nel mondo.

Nel tempo in cui la realtà artificiale e la realtà sono un unico sfondo indistinguibile: Donald Trump e il suo manipolo di oligarchi sembrano essere i padroni non solo della Terra, ma delle modalità per cambiarla. Sembrano, perché la loro accelerazione d’errore non si è ancora scontrata con la Cina e con le sue diversità di vedute. In mezzo c’è una Europa che appare come un naufrago – sarà la punizione per tutti i morti del Mediterraneo – incapace di incidere, con la premier italiana, Giorgia Meloni, che ragiona senza il suo continente proprio come il presidente argentino, Javier Milei, agisce senza tener conto delle istanze dell’America Latina convertendo il suo paese in «una triste caricatura del nord» come diceva Eduardo Galeano.

L’oligarchia tecnologica

È il fascino della nuova oligarchia americana, quella tecnologica, che ricorda per modalità, irruenza e spietatezza quella russa, prosperata intorno a Boris Eltsin negli anni Novanta e poi irreggimentata da Vladimir Putin. All’insediamento del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, tra gli oligarchi, c’era anche l’amministratore delegato di Google, Sundar Pichai, subito tornato utile quando si è trattato di cambiare il nome del Golfo del Messico in Golfo d’America su Google Maps. Un gesto che ricorda la tanto avversata, da Trump, cultura woke. Il presidente Usa ha fatto come fecero i francesi con la Restaurazione: abolirono tutto quello che la rivoluzione aveva prodotto, si rimisero le parrucche, ma si tennero la ghigliottina.

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Saldo e stralcio

 

E così Trump cancella nomi e storie, non preoccupandosi delle conseguenze. Ma dall’altra parte del muro, che lui aveva fatto costruire, c’è una fisica, Claudia Sheinbaum, che fin da giovanissima ha fatto politica, battendosi per i diritti civili e facendo una lunga gavetta amministrativa – Segretario all’Ambiente di Città del Messico, sindaca di Tlalpan, Capo di Governo di Città del Messico, presidente del paese – che risponde con ironia, ma mentre argomenta, come nel vecchio mondo, Trump agisce, cancella e se ne frega.

Sheinbaum ha mostrato una mappa dei primi anni del XVII secolo dove c’era il Golfo del Messico e dove gli Stati Uniti sono indicati come “America messicana”. E poi ha aggiunto col sorriso: «Perché non la chiamiamo America messicana? Suona bene, non è vero?». Un atteggiamento elegante: riproporre una mappa storica che, però, non funziona con il barbaro Trump che ha in mano le mappe del web e agisce senza chiedere, per alimentare il nazionalismo di cui si nutre il suo consenso. Il procedimento è questo: annuncio della riscrittura o del desiderio egemonico su X, e poi via all’azione che comincia sempre nel web e prosegue nella realtà, con rosario di minacce prima economiche, poi forse militari.

Golfo, migranti e cartelli

Ma il nome del Golfo nasconde un’altra battaglia: quella per i migranti, e anche una sotto-battaglia: designare i cartelli della droga messicani come “organizzazioni terroristiche straniere”, aprendo agli interventi militari sul territorio messicano. «Sono liberi di agire nel loro territorio», ha detto la presidente Sheinbaum, aggiungendo «difenderemo la nostra sovranità e la nostra indipendenza». Trump ha già avviato i rimpatri dei migranti con numerosi voli che hanno portato a uno scontro con il presidente colombiano, Gustavo Petro, annichilito a forza di minacce daziarie, ma che ha portato gli osservatori più attenti come Brett Bruen, ex alto funzionario della Casa Bianca con Barak Obama a dire: «La Cina sfrutterà appieno le minacce commerciali e territoriali di Trump per ottenere una posizione ancora più forte in America Latina».

Ma i funzionari come Bruen sono abituati a calcolare le conseguenze delle azioni americane, il presidente Trump no, ed è già passato oltre con il desiderio del sequestro del Canale di Panama, l’acquisizione della Groenlandia e l’inclusione del Canada. Neanche fosse un film di South Park. Il suo attivismo è quello degli hacker. E se Canada e Panama stanno aspettando, la premier della Danimarca, Frederiksen, ha telefonato al presidente Trump per manifestargli tutto il suo dissenso, oltre quello del suo paese, a cui è legata la Groenlandia.

EPA

La fermezza

Mette Frederiksen viene dalla working class danese e anche lei – come Claudia Sheinbaum – ha una lunga esperienza politica: sindacalista, deputata, ministra del Lavoro, della Giustizia, premier. Due donne di sinistra diverse ma con la stessa ostinazione nell’opporsi a Trump. Sheinbaum ha usato l’ironia e la fermezza. Frederiksen solo la fermezza anche perché ha già avuto un dissidio con Trump durante la sua prima presidenza e per lo stesso motivo: la Groenlandia.

Intanto, Trump ha annunciato di voler mandare Ken Howery, co-fondatore di PayPal, come ambasciatore degli Stati Uniti a Copenaghen: «Per la sicurezza nazionale e la libertà in tutto il mondo, gli Stati Uniti d’America sentono che la proprietà e il controllo della Groenlandia è una necessità assoluta». Agli autori di The Divider: Trump in the White House, 2017-2021, i giornalisti Peter Baker e Susan Glasser, Trump in una intervista ha raccontato la sua ossessione per la Groenlandia. «Adoro le mappe. E ho sempre pensato: Guarda le dimensioni di quest’isola. È immensa, dovrebbe far parte dell’America», era il 2019. La Groenlandia è un’isola di grande valore geostrategico con abbondanti risorse da sfruttare (petrolio, gas naturale, diamanti, oro, uranio e piombo), una superficie di quasi 2,2 milioni di chilometri quadrati tra l’Atlantico e l’Artico con solo 57.000 abitanti.

Gli Usa e la Danimarca

Il desiderio di Trump è supportato da due dati storici: la Danimarca ha molto da farsi perdonare dai groenlandesi nonostante i 600 milioni di euro che ogni anno investe per sostenere il sistema sociale dell’isola – da colonia dal XVIII secolo fino al 1953, quando una nuova costituzione la integrò nel Regno di Danimarca, poi l’isola è stata trasformata in un territorio autonomo del paese nordico dopo un referendum tenutosi nel 1979, con un ampliamento di poteri nel 2009 –; l’altro dato è che in passato gli Stati Uniti hanno acquistato la Florida dalla Spagna, la Louisiana dalla Francia e l’Alaska dalla Russia. E non sarebbe il primo territorio che il Regno di Danimarca venderebbe agli Usa. Nel 1917, le isole caraibiche di St. Thomas, St. John e St. Croix, chiamate Indie occidentali danesi, divennero le Isole Vergini americane dopo il pagamento di 25 milioni di dollari.

Novecentesche

È il piccolo dittatore di Charlie Chaplin che non gioca più col mappamondo ma agisce su Google Maps. L’esplicitazione di una egemonia politica, militare, economica e prima di riformulazione geografica. La Groenlandia gestita come un frigorifero, Panama visto come un corridoio, il Canada come un superattico da arredare meglio e il Messico un deposito. Ma due donne hanno detto No. Un profilo opposto a Trump: abitudine alla discussione, con una vita di ricerca culturale e non di profitto.

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Sono novecentesche, non hanno balzi improvvisi, ma linearità, errori e intuizioni, slanci e difese, non lasciandosi né comprare né intimidire. Claudia Sheinbaum ha vinto la presidenza come candidata più votata della storia, rompendo con secoli di dominio maschile nella politica messicana, è la trave di un ponte. Mette Frederiksen studia da Merkel, durezza e sorriso, trama e rispetto, un iceberg, e mai alla deriva. Da parti differenti si oppongono al nuovo imperialismo tecnologico-miliare trumpiano con la ragione, la diplomazia, la storia. Concetti insopportabili per Donald Trump, lenti per i suoi oligarchi, sorpassati per la loro idea di mondo. Ma se cadono Messico e Danimarca viene giù tutto, il caos nella realtà e l’ordine nella rete: dove governare è più facile perché gli uomini e le donne si lasciano comprare e piegare, ubbidendo ai comandi.

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