Inflazione più calda in Italia e area euro. Miraggio Meloni, anche con tassi BCE PIL e debito 2025 deprimenti

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Appena pubblicati i dati relativi all’inflazione dell’area euro e dell’Italia.

Per quanto riguarda l’Italia, l’Istat ha annunciato che, secondo le stime preliminari, nel mese di gennaio 2025 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, è salito dello 0,6% su base mensile, dunque rispetto al mese di dicembre e dell’1,5% su base annua, rispetto al +1,3% del mese precedente.

L’inflazione, in Italia, ha dunque accelerato il passo su base annua. Il motivo?

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 

Accelerazione per inflazione headline in Italia, stabile inflazione di fondo (core). Ma occhio al dettaglio

L’istituto nazionale di statistica ha citato come cause principali l’aumento dei prezzi dei beni energetici regolamentati (significativo il balzo, da +12,7% a +27,8%), l’attenuarsi della flessione dei prezzi dei beni energetici non regolamentati (da -4,2% a -3,0%) e, in misura minore, l’aumento del ritmo di crescita dei prezzi dei beni alimentari lavorati (da +1,7% a +2,0%).

Tali effetti sono stati solo in parte compensati dalla decelerazione dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (da +3,6% a +2,5%) e di quelli dei servizi relativi alle comunicazioni (da +1,2% a +0,9%). Per quanto riguarda l’“inflazione di fondo” dell’Italia, ovvero l’inflazione al netto degli energetici e degli alimentari freschi, il trend è rimasto stabile (a +1,8%), mentre l’inflazione al netto dei soli beni energetici è salita lievemente (da +1,7% a +1,8%).

Nel commentare i numeri dell’Istat, il Codaondos ha così scritto in una nota: “A gennaio l’inflazione rialza la testa, soprattutto a causa delle tensioni sul fronte dell’energia, con gli incrementi delle tariffe sul mercato regolamentato che incidono sull’indice nazionale dei prezzi. Crescono a ritmo sostenuto anche i listini al dettaglio dei prodotti alimentari e bevande analcoliche, che salgono del +2,3% su base annua. Un trend che purtroppo sembra destinato a proseguire anche nelle prossime settimane, considerato l’andamento dei prezzi dell’energia sui mercati internazionali e l’incremento della domanda di gas ”.

Il presidente del Codacos Carlo Rienzi ha lanciato così un appello al governo Meloni:

“Il governo deve puntare la sua attenzione sui prezzi al dettaglio, perché l’incremento dei listini, se non contrastato adeguatamente, produrrà un danno alla nostra economia deprimendo i consumi ed erodendo la capacità di spesa delle famiglie”.

L’associazione dei consumatori ha infatti sottolineato che il rialzo dell’inflazione corrisponde a un aggravio di spesa pari in media a +493 euro annui per la famiglia tipo e di 671 euro per un nucleo con due figli.

L’inflazione accelera in tutta l’area euro. Che farà la BCE reduce da quinto tagli tassi (e da ansia Trump?)

Guardando all’intera area euro nel suo complesso, la brutta notizia per chi spera in una BCE più dovish, dunque più propensa a tagliare i tassi di interesse nell’area euro rispetto a quanto non lo sia già, è che l’accelerazione dell’inflazione è stata evidente, almeno per quanto concerne l’inflazione headline: l’indice dei prezzi al consumo ha registrato infatti a gennaio una crescita su base annua pari a +2,5%, rispetto al +2,4% precedente.

L’inflazione core è salita del 2,7%, come nel mese precedente, ma in misura più sostenuta rispetto al +2,6% previsto dal consensus.

In un momento in cui tutto il mondo è attanagliato dalla paura per le conseguenze che le politiche economiche e commerciali della seconda amministrazione USA di Donald Trump (vedi dazi) avranno su tutto il mondo, i dati appena snocciolati dall’Eurostat e dall’Istat alimentano il timore che la BCE possa essere ancora più cauta a tagliare i tassi.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Se Nordea ha scritto di ritenere tuttora che il target del 2% prestabilito dalla BCE sarà raggiunto entro il 2025, come ribadito dalla presidente della Bce Christine Lagarde nel primo BCE Day della scorsa settimana, da ING non è mancato l’avvertimento sui rischi al rialzo che incombono sull’inflazione.

Il rischio più grande è rappresentato non solo dai dazi imminenti contro i prodotti che gli Stati Uniti importano dall’area euro da parte dell’amministrazione Trump, ma anche da come il blocco risponderà, una volta colpito dalle tariffe.

In caso di ritorsione da parte dell’Eurozona, l’inflazione domestica potrebbe infatti rimbalzare a causa dei prezzi più alti che le aziende europee che importano prodotti dagli USA (in caso di dazi imposti anche da Bruxelles) dovrebbero pagare.

La BCE ha sforbiciato i tassi di interesse dell’area euro per la prima volta il 6 giugno scorso, per poi procedere a un secondo taglio il 12 settembre.

I tassi di interesse sono stati tagliati per la terza volta il 17 ottobre. L’ultimo atto del 2024 è stato annunciato dall’Eurotower lo scorso 12 dicembre, mentre il BCE Day di giovedì scorso 30 gennaio si è concluso con il quinto taglio dei tassi, ancora di 25 punti base.


Microcredito

per le aziende

 

L’analisi dell’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani: quadro 2025 su PIL, deficit, debito deprimente

I numeri relativi all’inflazione dell’Italia e dell’area euro, pubblicati nella giornata di oggi, si accompagnano al quadro desolante dell’Italia che è stato diffuso dall’Osservatorio dei Conti Pubblici, dal titolo indicativo: “Le conseguenze per la finanza pubblica della minore crescita del Pil nel 2024-2025”.

Oltre a mettere in evidenza la crescita da zero virgola dell’Italia, l’Osservatorio ha parlato degli effetti del trend del prodotto interno lordo sui conti pubblici del Paese, più debole di quanto contemplato dal governo Meloni, dunque sul debito e sul deficit.

L’Osservatorio CPI è partito dal ricordare che la legge di Bilancio per il 2025 stilata dal governo Meloni “ è stata impostata sul quadro macroeconomico preparato nel settembre scorso, quando non erano ancora disponibili i dati del Pil per il terzo e quarto trimestre del 2024”.

Questi dati si sono resi disponibili nelle ultime settimane, mettendo in evidenza una “crescita del Pil reale (ossia al netto dell’inflazione) pari a zero in entrambe i trimestri ”: una performance che, inevitabilmente e per ora in via ufficiale, avrà fatto alzare bandiera bianca agli irriducibili ottimisti, tra cui spiccano quelli dello stesso governo e della stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che avevano parlato nei mesi precedenti perfino di una sorta di miracolo economico italiano.

E un trend che, secondo l’Osservatorio CPI, “suggerisce che il livello del PIL nel 2024 e nel 2025 sia inferiore a quello previsto dal governo, con conseguenze negative per i nostri conti pubblici ” (leggi debito e deficit, le spine dell’Italia).


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Deficit-PIL e debito-PIL, a parlare è la matematica

A parlare, d’altronde, è la matematica. Visto che i parametri presi come riferimento per monitorare il trend delle finanze pubbliche sono i rapporti debito-PIL e del deficit-PIL, è naturale arrivare alla conclusione che, in caso di indebolimento del PIL, è ovvio attendersi un allargamento del deficit e del debito.

E, per quanto riguarda il 2024, “i dati Istat indicano che il Pil reale è aumentato, corretto per i giorni lavorativi, solo dello 0,5%”, il che significa che, considerando il “maggior numero di giorni lavorativi nel 2024 rispetto al 2023, il PIL reale dovrebbe essere cresciuto dello 0,6-0,7%, contro l’1% previsto dal governo ”.

Il rapporto ha ricordato inoltre i target ambizioni presentati per il 2025 dal governo Meloni, in particolare la prospettiva di una crescita del PIL dell’Italia pari a +1,2% nel 2025. Il fatto è che, per raggiungere questo risultato sarebbe necessario che “il tasso di crescita trimestrale, zero nella seconda parte del 2024”, salisse “di colpo allo 0,45% per tutti i trimestri del 2025”.

Ma, ha continuato l’Osservatorio, “tenendo conto della politica restrittiva di finanza pubblica (il deficit era previsto ridursi di mezzo punto percentuale quest’anno) e della sostanziale invarianza del quadro internazionale (come aggiornato a gennaio 2025 dal Fondo Monetario Internazionale), una tale accelerazione sembra al momento del tutto improbabile, nonostante il taglio dei tassi di interesse da parte della Banca Centrale Europea ”.

Nel 2025 tasso di crescita PIL annuo +0,4%, sotto di 0,8 pp rispetto a target Meloni

La verità è decisamente cruda visto che, “ipotizzando che, da un tasso di crescita zero, il Pil reale cresca in ogni trimestre del 2025 dello 0,15% rispetto al trimestre precedente, il tasso di crescita annuale sarebbe dello 0,4%, ossia 0,8 punti percentuali sotto l’obiettivo” prefissato dal governo Meloni.

Le conseguenze per la finanza pubblica della minore crescita del Pil nel 2024-2025 sarebbero evidenti, traducendosi in una ulteriore erosione dei conti.

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In particolare, l’Osservatorio CPI prevede un deficit complessivo, e non solo il saldo primario, in peggioramento di 0,3 punti percentuali, il che significa che, “rispetto a un obiettivo di deficit del 3,3% del Pil, staremmo viaggiando ora verso il 3,6% ”.

Per il rapporto debito-PIL, l’erosione sarebbe anche peggiore:

Ma la revisione del rapporto tra debito pubblico e Pil è più significativa, perché deve tener conto non solo del maggiore deficit e quindi del maggiore livello del debito in euro nel 2025, ma anche del più basso Pil per effetto della minore crescita sia nel 2024 che nel 2025. Tutto sommato, prevediamo che il rapporto tra debito pubblico e Pil sia, a fine 2024, del 136,3% (contro il previsto 135,8%) e, a fine 2025, del 138,4% (contro il previsto 136,9%), 34 miliardi e 1,5 punti percentuali in più del previsto. Queste variazioni non sono irrilevanti rispetto agli obiettivi di finanza pubblica”.

Nella sua analisi l’Osservatorio CPI precisa che “il maggior deficit e debito non hanno implicazioni per il rispetto delle regole europee sui conti pubblici: queste consentono che i rapporti di deficit e debito siano più elevati del previsto se questo è dovuto a una minor crescita del Pil”, puntualizzando che “l’unica eccezione riguarda il rispetto della soglia del 3% di deficit che, invece, non è corretta per il ciclo economico”.

Di conseguenza, “ il maggior deficit nel 2025 potrebbe ritardare, in assenza di nuove misure, la discesa del deficit al di sotto della soglia (che era prevista per il 2026), comportando una più lunga permanenza dell’Italia sotto la Procedura di Deficit Eccessivo ”.


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