Il segreto per battere la crisi dei vini dolci sta nell’acidità. Sembra un controsenso, eppure è la base su cui poggia la resilienza del Torcolato Doc di Breganze (VI). «Un vino la cui domanda si è mantenuta stabile nel corso degli anni grazie al suo equilibrio di aroma e sapore dovuto all’utilizzo dell’uva autoctona Vespaiola, capace di equilibrare la sua dolcezza con una persistente e perdurante acidità che rende non stucchevole il Torcolato», racconta Giuseppe Vittorio Santacatterina, presidente del Consorzio Doc Breganze e della cantina Beato Bartolomeo.
Un trend confermato anche in occasione della trentesima “Prima del Torcolato”, tenutasi nei giorni scorsi nel centro del comune vicentino adagiato sulle colline della pedemontana vicentina, una striscia di terra di venti chilometri fra i fiumi Astico e Brenta. Una festa di comunità che, nonostante la pioggia, ha attirato un buon numero di pubblico e appassionati, sottolineando come l’interesse per il Torcolato vada oltre le tendenze del momento e permettendo un bilancio sulla storia recente di questo vino passito. «Nel corso degli ultimi decenni dall’assegnazione della Doc, siamo passati da 4-5mila bottiglie a circa 50mila nel 2024, con un incremento del +5% rispetto all’anno precedente. E per le nuove annate le previsioni sono molto buone, complice anche una vendemmia ottimale in termini di prodotto», aggiunge Santacatterina.
La tendenza
Un andamento in controtendenza rispetto alla categoria che da anni soffre la concorrenza degli spumanti nelle occasioni di festa, quella degli spirits a fine pasto (anche miscelati) e, in generale, al minor potere d’acquisto della clientela italiana. «Il vino dolce, come il Torcolato, non è per tutti i giorni e per tutte le ore. Di solito, viene riservato alle grandi occasioni o gustato come vino da meditazione; rimane poi gettonatissimo nel comparto regalistica. Detto ciò, nulla vieta di allargare gli orizzonti e andare oltre il classico abbinamento con i dolci. Come cantina abbiamo realizzato un compendio di 100 ricette da gustare con il Torcolato, e stiamo pensando alla sua riedizione, mentre qualche anno fa abbiamo lanciato l’accoppiata con una pizza a base di eccellenze del territorio come la sopressa vicentina e il formaggio stagionato di malga», ha rivelato Santacatterina.
Pairing resi possibili dalle caratteristiche intrinseche del Torcolato, ossia della Vespaiola, il cui nome deriva dal particolare profumo che emanano i suoi acini in grado di attirare le vespe appunto. A queste qualità si aggiunge poi il metodo di lavorazione: vendemmiati perfettamente maturi, selezionati, vengono messi ad appassire appesi in ambienti arieggiati (come i granai delle vecchie case contadine), attorcigliati l’uno all’altro (un’azione che nel dialetto locale è tradotta nel verbo “torcolare”, da cui deriva il nome del vino). Qui vengono lasciati fino al gennaio successivo quando, raggiunta un’elevata dolcezza, vengono torchiati. Dopo una lenta fermentazione, il vino riposa in piccole botti anche per più di due anni o almeno fino al 31 dicembre dell’anno successivo alla vendemmia prima di essere imbottigliato e immesso sul mercato (con una gradazione alcolica intorno ai 13-14 gradi). Il risultato è un vino dal sapore fresco e agrumato, un “dolce-non-dolce” che si accompagna a una consistenza setosa, un colore oro brillante e inequivocabili profumi di miele, mandorla e dattero.
Le caratteristiche
Quasi una sorta di elisir balsamico, «tanto che fin dalle prime attestazioni della produzione, a fine ‘800, era considerato quasi un medicinale, un ricostituente. Un valore organolettico che, durante i periodi bellici, veniva scambiato con prodotti di prima necessità potendo contare su un potere di scambio molto elevato», racconta Franca Miotti, enologa dell’omonima cantina che produce circa duemila bottiglie di Torcolato da 750 ml all’anno. «Il Torcolato è il fiore all’occhiello della nostra produzione. Dai primi anni 2000 e fino al 2016 si vendeva molto. Ora si è un po’ ridimensionato, ma gli appassionati resistono; anche all’estero. Il vero cultore lo beve anche durante il pasto in abbinamento con fegati, formaggi e pure le ostriche. Il sogno rimane quello di posizionarlo come alternativa al classico tè delle cinque insieme a qualche pasticcino», aggiunge l’enologa. Etichetta preferita? «Oltre a quella del 1970, il mio anno di nascita, ricordo con piacere quella del 2003: anno torrido, vendemmiavamo di notte, ma il Torcolato ne è uscito benissimo, sprigionando tutte le sue caratteristiche».
Eccellenze
A proposito di edizioni premium, anche cantina Maculan ha saputo elevare il prodotto grazie a una selezione delle migliori uve nell’etichetta Acininobili: «Un Torcolato all’ennesima potenza – lo definisce Angela Maculan, terza generazione alla guida dell’omonima azienda insieme al padre Fausto e alla sorella Maria Vittoria che produce circa 17mila bottiglie di Torcolato l’anno – La prima edizione è quella del 1983, frutto degli studi e delle pratiche di mio papà Fausto che, dalla seconda metà degli anni ’70, ha iniziato una produzione a regola d’arte, moderna, puntando sulla qualità». Non è un caso che il Torcolato Maculan sia arrivato sulle tavole di Marchesi e Pinchiorri e, dal 1981, sia presente sul mercato Usa.
Apprezzato anche in UK e Scandinavia, il Torcolato Maculan trova la sua ragion d’essere al ristorante: «Avendo la possibilità di gustarlo al bicchiere è un’occasione di consumo che ha i suoi vantaggi rispetto all’acquisto domestico e può avvantaggiarsi dei giusti abbinamenti. Magari non a fine pasto, come vuole la tradizione. Un momento che, come dimostra il mercato dei vini dolci, attraversato da un trend salutista che pone un forte accento alle calorie e agli zuccheri assunti, fatica». Prossimo passo? «Sdoganarlo anche nella mixology. Qualcosa di simile è stato fatto con il nostro Dindarello negli Usa. Perché non provarci con il Torcolato in Italia?».
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link