Onorevole Borrelli, la sua presenza in Alleanza Verdi Sinistra – coalizione che dice, sulla carta, di rappresentare istanze “progressiste” – è la prova di un apparente paradosso dai tratti tossici: oggi, anche certa “sinistra” costruisce consenso imitando la grammatica della destra, usando le sue parole e come un fiume inquinato che, pur cambiando nome, trascina lo stesso veleno.
La sua retorica – che contrappone una “Napoli bene” astratta a una “mala Napoli” da criminalizzare – riproduce lo stesso schema colonialista che, dall’Unità d’Italia in poi, ha trasformato il Meridione in una periferia interna, funzionale allo sfruttamento economico e alla subalternità culturale.
Lei ottiene decine di migliaia di voti? Benissimo, ma sono voti avvelenati, drogati dal sensazionalismo securitario, che hanno la stessa matrice culturale del leghismo più becero e del decreto sicurezza a cui nelle piazze ci stiamo opponendo.
È come se un agricoltore sostenesse di coltivare grano, ma irrigasse i campi con veleno: il raccolto può sembrare abbondante, ma il pane che ne deriverà sarà tossico. Così, il suo “successo” elettorale non nasce dalla costruzione di coscienza di classe, ma dalla mercificazione della paura, trasformando i napoletani in capri espiatori da esibire come trofei mediatici.
Come la destra estrema, lei costruisce consenso elettorale sul mito della “sicurezza”, chiedendo implicitamente la segregazione di interi territori. Ma c’è di più: mentre dichiara di rappresentare Alleanza Verdi Sinistra, adotta gli stessi strumenti del sensazionalismo reazionario (degni di Rete4), trasformando i corpi e le pratiche delle classi popolari napoletane in uno spettacolo del degrado.
Così facendo, non solo legittima l’oppressione di classe, ma occulta volutamente le cause materiali che hanno prodotto un progressivo abbandono delle periferie: lo smantellamento dello Stato sociale, la devastazione ambientale, la precarizzazione del lavoro.
Non illuda nessuno: lei sa benissimo cosa sta facendo. Sceglie di essere il megafono dell’antimeridionalismo delle élite, vestendo il classismo da battaglia civica, mentre diventa giorno dopo giorno indistinguibile dall’estrema destra.
Perché non indaga, invece, su chi ha interesse a mantenere intere comunità in “coni d’ombra”? Perché non denuncia come la marginalizzazione urbana serva a produrre eserciti di lavoratori ricattabili, costretti a emigrare o a sopravvivere nell’economia informale?
La sua narrazione tossica non è neutra: è funzionale a un sistema che ha bisogno di “zone grigie” dove far proliferare sfruttamento e controllo.
Roccaraso, come le periferie napoletane, è diventata negli scorsi giorni teatro di questa guerra di classe e lei da sciacallo si è mosso con la sua scorta mediatica per sfruttarne la mediaticità.
Criminalizzare chi si muove – sia esso un turista napoletano o un migrante – significa difendere un ordine spaziale basato già su una violenta esclusione fisica e simbolica.
È lo stesso meccanismo che, nell’Ottocento, trasformò i contadini meridionali in “barbari” da civilizzare, mentre il Nord saccheggiava risorse e manodopera. Oggi, le ricordo che quel paradigma si chiama razzismo e classismo, e serve a giustificare l’apartheid territoriale: i poveri devono restare invisibili, essere cacciati dal centro attraverso l’istituzione di zone rosse, o esistere e dunque visibili solo come minaccia da addomesticare.
I suoi video squallidi – simili ai peggiori format di Rete4 – non sono ingenuità: sono proiettili simbolici che legittimano ronde antidegrado, pattuglie di cittadini armati di disprezzo, pronte a difendere i “quartieri buoni” dai “barbari”.
È la violenza di chi usa un bisturi invece di un machete: la ferita è più precisa, e per questo più pericolosa.
È lo stesso meccanismo che, nel ‘900, trasformò i proletari in “sovversivi” da reprimere. Oggi, con la sua retorica, alimenta l’odio non contro i potenti, ma contro chi è già schiacciato ai margini.
Per chi non lo avesse capito Alleanza Verdi Sinistra è anche questo: un cartello che, pur di allargare il proprio bacino, tollera chi svende i principi antifascisti e anticlassisti.
Ma la Storia insegna che nessuna alleanza è neutra: se si fa complice di chi criminalizza i poveri, diventa strutturalmente reazionaria, anche se dipinta di verde e “rosso”.
La sfida, oggi, non è vincere elezioni a qualunque costo, ma rompere gli schemi che trasformano la politica in uno zoo mediatico al servizio dei potenti, dove i corpi dei napoletani, dei migranti, delle persone razzializzate e degli ultimi sono “bestie esotiche” da filmare per ottenere click e voti.
Se davvero vuole essere progressista, smetta di puntare i riflettori sulle vittime dello sfruttamento, e li rivolga ai carnefici: chi specula sulle periferie, chi privatizza i servizi, chi ha interesse a mantenere Napoli divisa in “bene” e “mala”.
Ma lo sappiamo entrambi, “onorevole” Borrelli: lei non lo farà.
Perché in questo teatro delle parti dove la politica si è ridotta a una farsa, lei ha scelto di recitare la parte del boia in guanti bianchi.
Non è un semplice attore costretto a un copione: è il regista di una messinscena che trasforma i corpi dei napoletani in comparsa da sacrificare sull’altare del consenso. Mentre i veri colpevoli – i padroni delle speculazioni edilizie, i signori delle società di servizi in mano alla camorra imprenditoriale – restano in ombra, applaudendo dal backstage.
Lei non è un ingenuo: è un carnefice e traditore di classe.
Ha deciso di difendere, armato fino ai denti di retorica posticcia, gli interessi di chi ha bisogno di una Napoli spaccata in due.
Da una parte, i “buoni” (quelli che possono permettersi i suoi quartieri blindati); dall’altra, i “mala” (chi lotta per sopravvivere nelle periferie che lo stesso sistema ha reso infernali). La sua “legalità” è un coltello affilato che non punisce i potenti, ma sgozza i poveri.
E mentre recita la sua parte, fingendo di non sapere che il sipario di questo teatro è fatto di sudore e sangue meridionale, chi si trova in alto può continuare a saccheggiare e sfruttare. Perché è così che funziona il suo ruolo: trasformare il Sud in un palcoscenico dove i napoletani sono sempre i “cattivi”, e i veri criminali – quelli in giacca e cravatta – siedono in platea, indisturbati.
Finché non smetterà di brandire quel coltello, sarà complice di un sistema che, ieri come oggi, tratta il Sud come una colonia.
E le colonie, si sa, non hanno diritto a un finale diverso: esistono per essere saccheggiate, non rappresentate. A meno che… a meno che qualcuno non decida di bruciare il teatro.
*da Facebook
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