Terre rare, petrolio e nuove rotte create dallo scioglimento dei ghiacci: perché Trump vuole la Groenlandia. La corsa all’Artico, tra gli interessi cinesi e quelli delle mafie

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Chissà se Donald Trump conosce la storia di Erik il Rosso, l’esploratore che scoprì la Gronlandia. La chiamò Grønland, cioè terra verde, nonostante fosse completamente coperta dal ghiaccio. Era un mezzo bluff: secondo la leggenda, infatti, il vichingo decise di dare un nome attraente alla nuova isola con l’obiettivo di spingere presto nuovi coloni a trasferirsi. In pratica se la Groenlandia si chiama così è per una specie di operazione commerciale, vecchia di un millennio. Trump, palazzinaro di successo, apprezzerebbe.

Da Erik il Rosso a Donald il biondo – Dieci secoli dopo Erik il Rosso, però, non serve un nome seducente per attrarre sulla grande isola di ghiaccio Donald il biondo (o forse l’arancione?). La passione del presidente degli Stati Uniti per la Groenlandia era già emersa durante il suo primo mandato. E del resto anche in passato gli inquilini della Casa Bianca avevano manifestato a più riprese interesse per la terra verde, politicamente europea ma geograficamente nel continente americano. Adesso, però, Trump ha alzato il tiro. Già subito dopo la rielezione, infatti, ha lanciato vere e proprie minacce, definendo come “una necessità assolutal’acquisizione della Groenlandia per preservare la “sicurezza nazionale“. Una giustificazione parziale: l’isola, infatti, è attraente anche per quello che custodisce nel sottosuolo, ricco di uranio, petrolio, piombo, oro e zinco. In Groenlandia c’è anche il principale giacimento al mondo di terre rare, fondamentali per le tecnologie digitali e verdi, cioè la produzione dei telefoni cellulari, delle auto elettriche e degli impianti eolici. Insomma: va bene la sicurezza, ma la terra verde è importante anche perché possiede il tesoro del terzo millennio.

Una questione reale – Piccolo problema: la Groenlandia, come è noto, fa parte della Danimarca, paese Nato e membro dell’Unione europea. Copenhagen ha sempre rifiutato le proposte di acquisto americane, mentre recentemente ha reagito alle intimidazioni di Trump con un piano da due miliardi di euro, per potenziare la sicurezza della regione. “La sbruffoneria è sempre stata una delle caratteristiche di Trump, sin da quando faceva lo showman in televisione. Con le sue sparate, però, sta puntando i riflettori su una questione che esiste: la grande importanza strategica non solo della Groenlandia, ma di tutto l’Artico“, spiega Antonio Nicaso, docente alla Queen’s University di Kingston, in Ontario. Esperto di criminalità organizzata, da oltre trent’anni vive e lavora tra il Canada e gli Stati Uniti. Autore insieme al magistrato Nicola Gratteri di decine di saggi sugli affari della ‘ndrangheta, Nicaso è stato tra i primi analisti a lanciare l’allerta: l’Artico è ormai la nuova frontiera delle mafie globali. “Stiamo parlando di territori che sono ricchi di gas, di metalli, di petrolio e di terre rare. Questo non riguarda soltanto la Groenlandia, ma anche altri contesti riconducibili al Canada, agli Stati Uniti, alla Norvegia“, spiega il professore, sottolineando come negli ultimi anni l’importanza strategica del profondo nord sia cresciuta in maniera esponenziale.

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Gli altri effetti della crisi climatica – È uno degli effetti del cambiamento climatico: il volto della regione polare sta cambiando velocemente, creando opportunità che fanno gola alle superpotenze. E che parallelamente – come vedremo – catalizzano anche l’interesse delle organizzazioni criminali di tutto il mondo. “Le conseguenze del riscaldamento globale, modificando le caratteristiche geografiche polari, hanno contemporaneamente contribuito a facilitare l’accesso alle terre e alle materie prime che contengono. Inoltre, lo scioglimento dei ghiacci rende sempre più concreta la possibilità di aprire nuove rotte marittime, con implicazioni per l’economia globale“, scrive Emanuela Somalvico in Current developments in Arctic Law, pubblicazione curata dall’University of Lapland, l’Università della Lapponia. Analista esperta nel contrasto alla criminalità organizzata e alla corruzione, fa parte della Socint, la Società italiana d’intelligence, al cui interno dirige l’Osservatorio di intelligence sull’Artico: è un organismo creato proprio per analizzare le dinamiche politiche e criminali della regione polare. “In quella zona del mondo l’interesse è sempre stato il gas naturale e il petrolio, ma con la transizione digitale si è aperta la caccia alle materie prime“, spiega l’analista al Fatto. In pratica il cambiamento climatico sta facilitando l’accesso ai territori settentrionali e alle relative ricchezze custodite nel sottosuolo. In questo modo sta avendo un effetto diretto sulla geopolitica globale.

La Northern Sea Route

La nuova rotta del Nord, più breve di Suez – Non è solo la Groenlandia a essere ricca di petrolio, uranio e terre rare: nel profondo nord del mondo, infatti, si trovano giganteschi giacimenti di lantanoidi, scandio e ittrio, materiali fondamentali per la produzione degli smartphone, ma anche delle batterie dei mezzi elettrici e degli impianti di produzione di energia pulita. Si tratta di miniere che spesso non sono state ancora sfruttate perché di difficile accesso: adesso, però, potrebbe cambiare tutto. Il riscaldamento globale, infatti, sta facendo arretrare la calotta glaciale, rendendo più facilmente raggiungibili zone un tempo remote. E modificando anche l’idrografia: “Tutto ciò in futuro potrebbe offrire ulteriori opportunità per il trasporto marittimo e le infrastrutture portuali. Un prossimo sviluppo infrastrutturale nell’area polare è quindi destinato ad aprire la possibilità di investimenti significativi da parte di attori locali e internazionali. Le rotte navigabili potrebbero inoltre fornire accesso inatteso alle risorse ittiche, così come l’accesso alle risorse minerarie diventerà più praticabile”, scrive Somalvico, che è anche autrice del saggio Prospettiva Artico. Nuove sfide per l’Intelligence, pubblicato dalla fondazione Margherita Hack. Lo scioglimento dei ghiacciai, in pratica, sta rendendo più semplice la navigazione nel mar Glaciale Artico. “Finora si poteva fare solo con le navi rompighiaccio a propulsione atomica della Russia, mentre adesso comincia a esserci la prospettiva di creare una nuova rotta marittima per avvicinare l’Asia all’Europa, che sia più breve rispetto a quelle che passano dal Canale di Suez e dallo stretto di Gibilterra“, racconta Nicaso al Fatto. Si riferisce alla Northern Sea Route, il percorso davanti alla costa russa che collega l’Europa all’Asia con circa 8mila miglia di navigazione, rispetto alle 13mila della rotta del Canale di Suez. Anche a causa dei continui agguati degli Houthi alle navi che passano nel Mar Rosso, la rotta del Nord inizia a diventare sempre più un’alternativa reale per le flotte commerciali. Soprattutto per quelle cinesi e russe. I dati del Center for High North Logistics, fondazione norvegese che studia soluzioni logistiche nella regione artica, raccontano come nel 2024 dal passaggio marittimo siano transitate 97 spedizioni con 3,1 milioni di tonnellate di merci in totale. Un nuovo record, dopo il minimo storico toccato nel 2022, dovuto lo scoppio della guerra in Ucraina. L’invasione decisa dalla Russia, infatti, ha avuto ovviamente ripercussioni anche sul fronte polare: la rottura dei rapporti tra i Paesi occidentali e quello di Vladimir Putin ha spinto sempre di più Mosca verso la Cina. E non si è trattato di un avvicinamento dovuto solo a questioni commerciali ed energetiche.

Le merci transitate dalla Nsr

Aeroporti, turismo e terre rare – A crescere, nel frattempo, non sono solo le tonnellate di merci trasportate lungo la Northern Sea Route. Più l’Artico diventa accessibile, infatti, maggiori sono i capitali che attrae. “Gli investimenti sono destinati ad aumentare con il restringimento dei ghiacci polari nell’Artico, attirando l’interesse di numerosi attori desiderosi di capitalizzare sulle crescenti opportunità economiche”, scrive Somalvico nel suo dossier. Solo pochi mesi fa, in Groenlandia, è stato inaugurato il primo aeroporto internazionale a Nuuk, che consentirà di raggiungere la capitale dell’isola direttamente con un volo transoceanico: prima era possibile solo dopo uno scalo a Copenaghen o Reykjavík. Nuovi aeroporti internazionali saranno aperti entro il 2026 anche a Ilulissat, sullo stretto di Davis, e a Qaqortoq, tra i fiordi che si affacciano sul mare del Labrador, di fronte al Canada nord-orientale. A trenta chilometri c’è la miniera di Kvanefjeld, cioè il giacimento più ricco di terre rare in tutto il mondo, che è anche il sesto sito per presenza di uranio a livello globale.

Arrivano i cattivi – Il disgelo porterà alla costruzione di nuove infrastrutture anche nel Canada nord-occidentale, nella British Columbia e in Alaska. “Molti cantieri si apriranno in breve tempo, sia per lo sviluppo minerario che per la costruzione di porti e strade. I mari cominceranno a essere pescosi e probabilmente alcuni appezzamenti di territorio potranno essere coltivati. Dunque ci sarà bisogno di lavoratori, che verranno evidentemente importati”, spiega l’analista della Società italiana di intelligence. Cosa succederà a questo punto? “Si accenderà l’interesse della criminalità organizzata per lo sfruttamento della manodopera a buon mercato, la prostituzione, il narcotraffico”. Anche sull’Artico, in pratica, sta avvenendo quello si è sempre verificato a tutte le latitudini: gli affari illegali seguono le stesse rotte di quelle legali. E in certi casi li anticipano. “È ampiamente riconosciuto che la criminalità organizzata utilizza gli stessi canali delle imprese legali, impiegando le stesse infrastrutture e reti di trasporto e avvalendosi dei servizi di spedizionieri corrotti. Questo scenario potrebbe portare allo sfruttamento delle comunità indigene e favorire crimini contro l’ambiente, come il traffico e lo smaltimento illegale di rifiuti industriali“, è un altro passaggio del rapporto che descrive le minacce in arrivo nel profondo nord. “È inevitabile, dopotutto, che tali orizzonti di investimento attraggano non solo investitori con intenzioni trasparenti, ma anche entità interessate a investire in settori dove è più facile trarre profitto o riciclare denaro“, prosegue Somalvico nella sua analisi. Le mafie, d’altra parte, hanno sempre seguito soltanto una cosa: il denaro. Per raggiungerlo, in passato, non hanno esitato a spostarsi da un continente all’altro, mettendo radici in Paesi un tempo stranieri. “L’accesso più facile alle regioni polari – si legge sempre nel paper – rende probabile che la criminalità organizzata cerchi di espandere la propria influenza, sfruttando una maggiore capacità di penetrare in aree precedentemente remote e isolate“.

La linea della palma sta arrivando al Polo – Ma quali mafie hanno messo gli occhi sull’Artico? Tutte quelle che fanno già affari negli Stati coinvolti nella corsa alla regione polare. E quindi i clan russi e quelli cinesi, i cartelli messicani che gestiscono il narcotraffico negli Stati Uniti, le gang di motociclisti che spacciano droga in Canada, in Norvegia, in Svezia. “Sappiamo come le mafie siano già presenti nei Paesi che si affacciano sull’Artico. Quindi è evidente che presto tutto quello che accade nella regione polare sarà d’interesse della criminalità internazionale”, spiega Somalvico. Come dire: la linea della palma, la metafora inventata dallo scrittore Leonardo Sciascia nel 1960 per spiegare la diffusione di Cosa nostra nell’Italia settentrionale, rischia di spingersi molto più a nord di quanto si poteva mai immaginare. Non si tratta solo di uno scenario possibile in futuro, ma di una realtà già attuale: basta leggere con attenzione le notizie di cronaca. “Negli ultimi tempi si è notata una presenza criminale in zone remote nel Canada settentrionale, storicamente abitate da popolazioni indigene. Questa presenza ha solo anticipato l’aumento dei casi di overdose da Fentanyl e da altre droghe sintetiche tra i nativi, le cosiddetten Prime nazioni e gli Inuit“, racconta Nicaso. “Nel Northwest Territories – prosegue il professore – la polizia canadese ha fermato di recente alcuni esponenti degli Hells Angel, che hanno sostenuto di essersi spinti fin lassù per vedere il mare Artico”. Gli Hells Angel sono una banda di moticiclisti nata negli Stati Uniti d’America dopo la Seconda guerra mondiale. Nota per i tatuaggi, le giacche di pelle e le Harley-Davidson dei suoi esponenti, negli anni si è diffusa in tutto il mondo, modificando radicalmente la propria ragione sociale. Oggi il Dipartimento di giustizia Usa considera gli Hells Angel un’organizzazione criminale a tutti gli effetti, mentre in Canada i membri della banda sono riusciti a conquistare il mercato del narcotraffico, soprattutto in zone come l’Ontario e il Quèbec. “Gli Hells Angel sono forti anche ad Anchorage, quindi in Alaska“, ricorda il professore, che poi sottolinea come nella zona siano radicati anche i narcos messicani. “Ormai – spiega – gestiscono gran parte del traffico della cocaina. C’è un boom di produzione in Colombia: i messicani continuano ad avere la fetta principale, nonostante le guerre interne al cartello di Sinaloa e quelle esterne con lo scontro col cartello di Jalisco. In questo modo i narcos hanno messo radici in posti strategici come la Britsh Columbia, regione canadese che non è molto lontana dall’Artico”. I messicani gestiscono il narcotraffico anche più a nord: lo dimostrano i 28 anni di condanna emessi nei confronti di Miguel Baez Guevara, alias “Javi“, boss del cartello di Sinaloa, che importava eroina, metanfetamina e cocaina in Alaska.

Nave rompighiaccio, Artico

Il franchising criminale della Cina – E le mafie italiane? Che ruolo giocano ‘ndrangheta, camorra e Cosa Nostra nella corsa all’Artico? “Al momento – dice Nicaso – non ci sono riscontri di un interesse relativo all’Artico, ma la ‘ndrangheta ha una vera e propria roccaforte criminale in Canada, oltre che una potenza economica di primo livello”. Come dire: è probabile che i clan provenienti dall’Italia s’interessino presto agli affari polari. “Per decenni si è guardato soltanto a sud dei confini canadesi, le organizzazioni criminali hanno cominciato a guardare a nord prima di altri”, ragiona il professore. Ad accorgersi che il Canada ha anche dei confini settentrionali sono state pure le mafie cinesi, cioè le cosiddette Triadi, che operano in una sorta di franchising criminale. “Sono organizzazioni che condividono la stessa simbologia, gli stessi codici ma sono autonomi: non esiste una Triade unica, col capo dei capi al vertice. Per esempio negli Stati Uniti si chiamano Big Circle Boys e sono riconducibili ai giovani che durante periodo di Mao dovevano garantire l’applicazione dei precetti contenuti nel Libretto Rosso“. Creati dai membri corrotti delle Guardie rosse, battezzati con un nome (Circle) che ricorda la forma circolare delle prigioni di Canton, in Cina, i Big Circle Boys gestiscono oggi il traffico di Fentanyl negli Stati Uniti e in Canada: “Sono molto presenti nella zona di Vancouver, nella British Columbia: e da lì l’Artico non è troppo distante“, dice Nicaso. Il professore sembra considerare la mafia cinese come l’organizzazione criminale più potente al mondo. “Hanno in mano tutto il mercato della contraffazione, gestiscono i traffici delle materie prime provenienti dalle miniere illegali, governano il business dei precursori chimici e quindi degli elementi che servono a produrre le droghe sintetiche, soprattutto il Fentanyl. Stanno investendo dappertutto, parallelamente agli affari legali della Cina, che sta acquisendo il controllo di tutti i principali porti del mondo”. Ma a livello pratico in cosa consiste questo strapotere dei clan cinesi? “Per esempio nel fatto che gestiscono tutto il mercato del contante. Se io vendo Fentanyl negli Stati Uniti, guadagno dollari americani. Ma invece di esportare dollari, li metto in vendita e magari li acquista un imprenditore cinese che vuole fare un investimento negli Stati Uniti, oppure ha bisogno di soldi per pagare le tasse universitarie del figlio. Quindi io vendo all’imprenditore cinese i dollari americani che restano negli Stati Uniti. E il cinese come mi paga? Con yen per acquistare prodotti di lusso che arrivano dalla Cina, io poi li esporto in Messico e recupero i soldi pesos. Quindi io non trasferisco denaro, anche se muovo ricchezza: una bella comodità”. Piccolo particolare: questa è una rete interamente gestita dai cinesi. Un meccanismo che può essere utilizzato anche in un altro scenario. “Potrei andare a Prato a depositare dieci milioni di euro in una delle tante banche sommerse cinesi. Poi chiedo che l’equivalente, meno ovviamente le provvigioni, mi sia restituito in Colombia. Cosa che avviene grazie a un sistema di garanzie e compensazioni, la ḥawāla“, racconta sempre Nicaso. In questo modo, in pratica, i cinesi sono diventati i banchieri del crimine mondiale: “Quando tu hai in mano tutte queste risorse è chiaro che hai una marcia in più rispetto a tutte le altre organizzazioni criminali. Uno degli effetti di questo meccanismo è che praticamente ormai dalla Cina esce qualsiasi tipo di merce, legale o illegale, mentre in Cina entra solo quello che vogliono i cinesi”.

La battaglia mineraria di Pechino – Ciò che Pechino vuole continuare a esportare sono le batterie elettriche, i telefoni cellulari e tutte quelle merci prodotte grazie all’utilizzo delle terre rare. Un settore particolarmente critico, in grado di influenzare i rapporti tra le superpotenze mondiali, che oggi è saldamente in mano al Paese del Dragone: tra giacimenti ed estrazione la Cina gestisce più del 90% della filiera produttiva di questi preziosi elementi. Numeri senza pari nel mondo. Persino gli Stati Uniti, che pure sono produttori di terre rare, devono importarne più del 70%. Ecco perché Washington vuole mettere le mani sulla Groenlandia: secondo lo United States Geological Survey, il servizio geologico americano, la terra verde potrebbe raggiungere in poco tempo il livello della produzione cinese. Sul sito dell’Usgs sono presenti moltissimi studi dedicati alla Groenlandia, comprese varie rilevazioni satellitari che mostrano l’arretramento della calotta glaciale e alcuni enormi incendi nel periodo estivo. Secondo le analisi del Geological Survey, in due anni dall’isola danese si potrebbe estrarre addirittura un milione di tonnellate di eudialite e feldspato, dai quali si possono ricavare, tantalio, zirconio e niobio, elementi che – come ricordava il sito Insideover – valgono più dell’oro. Dove si trovano le principali risorse groenlandesi? Nella miniera di Kvanefjeld, che a breve sarà facilmente raggiungibile grazie all’aeroporto internazionale di Qaqortoq. Da sola potrebbe soddisfare dal 20 al 30% della domanda mondiale di terre rare. Solo che è chiusa da quando il nuovo partito ambientalista Inuit Ataqatigiit ha vinto le elezioni in Groenlandia nel 2021. Un ricorso al tribunale di Copenhagen è stato depositato dalla società titolare dei diritti di estrazione, la Energy Transition Minerals Ltd: formalmente è australiana, ma dal 2016 ha come principale azionista (con l’11% delle quote) la Shenghe Resources, holding cinese, indicata dal Times come vicina al governo di Xi Jinping.

La mappa di Kvanefjeld

Il Consiglio Artico e il Far North – Mentre il presidente Trump minaccia di usare la forza per prendere la Groenlandia, dunque, Pechino non fa alcuna mossa pubblica, ma ha già mandato avanti le aziende legate al potere politico. Sull’Artico, in pratica, sta andando in scena lo stesso tipo di guerra commerciale e diplomatica – per il momento a bassa intensità – che già si combatte nel resto del mondo. Con la differenza che negli ultimi tempi la regione polare sembra il Far West, anzi il Far North. Colpa della guerra in Ucraina che ha bloccato i lavori del Consiglio Artico, il forum di cooperazione che dal 1991 analizza e prova a risolvere i problemi della regione. Ne fanno parte i Paesi che si affacciano sul’oceano glaciale: quindi la Russia, il Canada, la Danimarca, la Finlandia, l’Islanda, la Norvegia, gli Stati Uniti (attraverso l’Alaska) e la Svezia. “L’Artico sembra una nebulosa confusa, in realtà sono otto Paesi, ognuno con la propria sensibilità anche nel contrasto alle mafie e alla corruzione”, spiega Somalvico. Ci sono poi i membri osservatori permanenti, cioè i Paesi scelti perché hanno un qualche interesse nell’Artico, anche se non si affacciano direttamente. Tra questi c’è anche l’Italia, che tramite il Consiglio nazionale delle ricerche gestisce la base artica Dirigibile Italia a Ny-Ålesund, nelle isole Svalbard. Dal 2004 una stazione di ricerca scientifica nell’arcipelago appartiene anche la Cina: si chiama Yellow River Station e concede a Pechino di essere un membro osservatore permanente del Consiglio Artico.

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La join venture delle mafie – I lavori dell’organismo, però, si sono bloccati nel 2022, dopo l’invasione dell’Ucraina, proprio durante il biennio di presidenza di Mosca: fino a quel momento era il Paese che investiva di più sull’Artico. “In pratica il Consiglio ha estromesso il suo partner principale. Una situazione che ha favorito ancora una volta i cinesi”, dice Nicaso. La messa al bando del petrolio russo ha avvicinato ancora di più Mosca a Pechino: e infatti il 60% dei viaggi sulla Northern Sea Route è servito a trasportare greggio dai porti russi a quelli cinesi. Ma non solo. “È possibile che il recente aumento della cooperazione sino-russa possa portare a nuove forme di interazione tra le reti criminali russe e cinesi. Questo potrebbe coinvolgere l’uso di canali commerciali legittimi e lo sfruttamento della Northern Sea Route per facilitare il traffico di beni illeciti verso l’Europa, gli Stati Uniti e il Canada, come droghe, armi, legname illegale, diamanti e minerali. Inoltre, potrebbero emergere nuove collaborazioni criminali nei porti lungo la rotta”, spiega l’analista della Società italiana d’intelligence. Somalvico fa degli esempi concreti: “Mi viene in mente Vladivostok, porto russo molto importante dell’estremo oriente, il cui utilizzo è stato concesso di recente ai cinesi. Lì si è già realizzato un asse tra clan cinesi e russi, una collaborazione che sicuramente si svilupperà negli anni”.

Per un’antimafia artica – Come si fa a fermare la corsa all’Artico delle mafie? “Poiché ogni Stato artico ha piena sovranità sulla propria struttura interna (anche in termini di lotta e prevenzione della criminalità e della corruzione), sarebbe necessario valutare una struttura di governance comune condivisa che aumenti la consapevolezza sulla corruzione, il riciclaggio di denaro o altre minacce da diverse forme di criminalità nello scenario futuro”, sostiene l’analista, che sottolinea come sia “imperativo impedire agli attori non statali, inclusi i gruppi criminali organizzati transnazionali, di sfruttare le unioni già presenti negli Stati artici, creando nuove sinergie ed espandendo gli scenari criminali”. Ma in che modo? Anche con un ruolo attivo dell’Italia, propone Somalvico. “In quanto osservatore permanente, il nostro Paese potrebbe mettere a disposizione del Consiglio la lunga esperienza nel contrasto alla criminalità organizzata. Per una volta si potrebbe provare ad arrivare prima che il fenomeno non sia più controllabile, come è avvenuto con il radicamento delle nostre mafie e della cosiddetta area grigia nell’Italia settentrionale e nel resto d’Europa”. La corsa all’Artico è appena cominciata, ma la linea della palma sta già raggiungendo la British Columbia, su su per l’Alaska, ed è già Groenlandia. Mille anni dopo il bluff di Erik il Rosso, tutti vogliono l’isola di ghiaccio, che terra verde lo sta diventando per davvero.



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