“Chiavi georgiane” per aprire le porte blindate: sgominata banda di ladri

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Grazie alle chiavi ‘georgiane’ riuscivano a forzare qualsiasi porta, anche blindata, senza lasciare segni di scasso. E una volta dentro l’appartamento, in pochi minuti trafugavano tutto quello che poteva sembrare prezioso: soprattutto oro e gioielli, ma anche monili, portagioie, oggetti d’antiquariato, computer portatili e persino strumenti musicali. Un modus operandi collaudato con cui la banda, tre cittadini georgiani, aveva messo a segno almeno cinque furti a Bologna prima di venire rintracciati e catturati dalla polizia.

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I membri della banda, ora in carcere

Il gruppo era formato da un 34enne, che aveva la funzione di fornire la base dove custodire gli oggetti rubati (un appartamento in via Leandro Alberti, zona Mazzini) e due fratelli di 38 e 42 anni, non domiciliari in città e quindi trasfertisti. Per i tre il giudice Alberto Ziroldi ha disposto la custodia cautelare in carcere. Loro gli autori, secondo l’accusa della pm Anna Sessa che ha richiesto e ottenuto il fermo giudiziario, di una raffica di colpi che si è susseguita da novembre fino a gennaio a danno di alcuni residenti.

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La strategia dei furti, tutti nella zona ‘bene’ di Bologna

Il primo in 31 ottobre in via Calori, zona Lame, per poi spostare i propri obiettivi nel quartiere Murri le settimane successive, compiendo tre furti in cinque giorni nelle vie Bezzecca, Novelli e Ravenna, tra il 26 e il 30 novembre scorsi. Abitazioni tutte distanti qualche centinaio di metri l’una dall’altra. Dalle indagini della V Sezione della Squadra Mobile, che per diverso tempo ha monitorato i loro spostamenti ed esaminato le telecamere di videosorsveglianza, è emerso che la banda attuava la stessa strategia: dopo vari appostamenti per studiare gli spostamenti dei residenti, decidevano di entrare in azione soprattutto di mattina. Agivano in modo molto cauto, tanto da spostarsi sempre a piedi o in bicicletta senza utilizzare automobili per evitare di essere individuati dalle telecamere di sicurezza della zona, e ciascuno percorreva tre strade diverse per poi incontrarsi davanti all’obiettivo.

La refurtiva e la rivendita al ‘compro oro’

Una volta sul pianerottolo di casa, utilizzavano sofisticati grimaldelli, ‘tacchettati’ in modo da poter aprire qualsiasi serratura senza danneggiarla e, dopo pochi minuti, uscivano dall’appartamento carichi della refurtiva, che era sempre dello stesso tipo: borse di marca, computer, videogiochi, monili, gioielli, oro e argenteria, contanti.

A questo punto scattava la seconda fase, che consisteva nel ‘piazzare’ gli oggetti immediatamente rivendibili e custodire invece all’interno della base quelli che andavano smerciati successivamente. Dopo ogni furto gli investigatori notavano che puntualmente i tre si dividevano di nuovo: una parte rientrava in via Alberti, mentre il terzo si recava al ‘compro oro’ più vicino per incassare immediatamente il denaro dei preziosi trafugati, il giorno stesso o quelli successivi.

L’arresto e le indagini su possibili intermediari

L’ultimo furto risale al 30 gennaio in via Dagnini: è qui che, una volta usciti dall’ennesimo appartamento, i tre si sono ritrovati accerchiati dalle volanti della polizia e sono finiti in manette, dopo aver tentato la fuga e aver provocato una colluttazione con alcuni agenti. Dall’identificazione è emerso che i tre avevano precedenti di lievissima entità e un trasfertista in particolare era già stato sottoposto a un controllo della polizia di Torino nell’ambito di altre indagini per furti in abitazioni. Il quell’occasione l’uomo era stato trovato in possesso degli stessi grimaldelli sospetti. Risulta invece sconosciuto e disoccupato il basista, che è risultato domiciliato nell’appartamento di via Alberti da diverso tempo e senza un contratto di locazione.

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Dal valore più affettivo che economico, i beni sequestrati dalla polizia all’interno della base sono proventi di altri furti ancora sconosciuti. Se infatti parte della refurtiva è stata riconsegnata alle vittime, tanti altri oggetti sono ancora in attesa di essere riconsegnati. Questo ha spinto gli investigatori ad allargare ulteriormente le indagini alla presenza di possibili intermediari incaricati di smerciare i proventi rimanenti sul mercato nero. Intanto la Questura informa che le immagini della merce ancora sotto sequestro saranno pubblicate sul sito per permettere a chiunque riconosca i propri beni di mettersi in contatto con gli uffici.

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