Come si può andare in pensione con 15 anni di contributi nel 2025

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Se c’è chi si chiede come fare per andare in pensione con una carriera di 15 anni di contributi, deve sapere che le vie previste dal sistema previdenziale italiano sono diverse. Va detto, sicuramente, che 15 anni di contributi sono troppo pochi per consentire a un contribuente di andare in pensione anche a 67 anni.

Infatti, la soglia minima di contributi da raggiungere resta quella dei 20 anni, come previsto per le pensioni di vecchiaia ordinarie o le pensioni anticipate contributive. Tuttavia, con 15 anni di contributi versati esistono delle soluzioni alternative per poter andare in pensione.

In alcuni casi, grazie alle difficili – e ormai quasi impossibili – deroghe Amato, in altri casi grazie all’opzione contributiva (altrettanto difficile) e, infine, in altre situazioni ancora, sfruttando una novità introdotta l’anno scorso e in funzione anche quest’anno, vale la pace contributiva.

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In questo caso, infatti, si tratta di colmare il vuoto contributivo fino ai 20 anni.

Come si può andare in pensione con 15 anni di contributi nel 2025

La Legge di Bilancio 2024, entrata in vigore lo scorso anno, ha introdotto per il biennio 2024-2025 una misura già sperimentata in passato, chiamata pace contributiva. Nata con il decretone, ovvero con il decreto numero 4 del 2019 che portò alla nascita del reddito di cittadinanza e alla cessazione della quota 100, la pace contributiva può essere sfruttata anche quest’anno.

Ciò significa che chi si trova a essere 5 anni al di sotto dei fatidici 20 anni può intervenire. Come si legge dalla circolare 69 del 29 maggio 2024, l’INPS ha spiegato nel dettaglio il meccanismo di questa misura.

Tra vecchia e nuova pace contributiva, ecco come funziona il tutto

Il funzionamento della pace contributiva è, in linea di massima, identico a quello del 2019. Innanzitutto, la misura riguarda solo i cosiddetti contributivi puri: la pace contributiva può essere sfruttata solo da soggetti che non hanno versato contributi, a qualsiasi titolo, prima del 1° gennaio 1996. Il riscatto dei periodi di vuoto contributivo, che è alla base della misura, può coprire fino a un massimo di 5 anni.

Inoltre, possono sfruttare questa opportunità anche coloro che hanno già recuperato 5 anni con la versione 2019 della misura. Paradossalmente, combinando le due misure, è possibile colmare fino a 10 anni di vuoti contributivi. Abbiamo parlato di riscatto perché, di fatto, significa andare a versare da soli i contributi mancanti; e di vuoti perché solo determinati periodi di mancanza di contribuzione – rientranti in un arco temporale definito – possono essere coperti.

Pace contributiva e riscatto: in pensione ci va anche chi ha versato oggi solo 15 anni di contributi

Ricapitolando, la pace contributiva è attiva anche nel 2025 ed è destinata esclusivamente a chi ha il primo accredito di contributi, di qualsiasi genere, successivo al 31 dicembre 1995. Va ricordato che il riscatto, tramite la pace contributiva, può servire per raggiungere la carriera contributiva richiesta per le pensioni destinate ai contributivi puri – come lo sono le pensioni di vecchiaia e le pensioni anticipate contributive – e può tornare utile anche per ottenere una pensione più alta.

Il periodo da riscattare deve essere assolutamente privo di contribuzione. I periodi riscattabili devono rientrare in un determinato arco temporale: dal 31 dicembre 1995 al 1° gennaio 2024. Anche se, più propriamente, si parte dall’anno del primo versamento del diretto interessato, non antecedente il 1996, essendo la misura destinata ai contributivi puri. E si prosegue fino alla data di entrata in vigore della legge di Bilancio da cui la pace contributiva trae origine.

Pagamento in soluzione unica o a rate, ma come?

La pace contributiva deve essere sfruttata a richiesta del diretto interessato, che deve presentare un’apposita domanda.

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Se, invece, la pace riguarda un defunto e serve per ottenere un trattamento di reversibilità più elevato, la domanda può essere presentata anche dai suoi superstiti.

Si parla di uno strumento a carico del contribuente, poiché il riscatto comporta un onere economico che grava sul diretto interessato. Esiste, tuttavia, la possibilità di far pagare tale onere al datore di lavoro, se questi lo desidera. Magari per favorire il raggiungimento della pensione del proprio dipendente nell’ambito di un processo di riduzione del personale più anziano.

Il costo della pace contributiva dipende dalla retribuzione lorda utile ai fini pensionistici degli ultimi 12 mesi. E dall’aliquota contributiva del fondo in cui l’interessato deve versare. Il pagamento può essere effettuato in unica soluzione, se il contribuente ha la possibilità di farlo e desidera completare il versamento il prima possibile. Oppure a rate, con una dilazione che può arrivare fino a 10 anni (120 rate mensili).

Una operazione utile anche ai fini fiscali

L’onere – ossia il corrispettivo che deve versare il diretto interessato – può risultare economicamente molto pesante. Basti pensare che, considerando un’aliquota contributiva del 33% e una retribuzione lorda di 20.000 euro, un anno di pace contributiva costa circa 6.600 euro.

Tuttavia, la pace contributiva può essere sfruttata come abbattimento dell’IRPEF dovuta, ossia come sgravio fiscale. Nella versione 2019-2021, la pace contributiva consentiva di portare in detrazione il 50% di quanto speso durante l’anno d’imposta di riferimento. O in 10 annualità consecutive nella dichiarazione dei redditi per i pagamenti effettuati in soluzione unica.

Con la versione 2024-2025, invece, è possibile dedurre il 100% di questa spesa.

Cioè rimuovere dal reddito complessivo – base imponibile per il calcolo dell’IRPEF – l’intero importo speso. Tale deduzione può essere sfruttata anche dal datore di lavoro, nel caso in cui sia lui a caricarsi l’onere del riscatto.

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