Nel caso di specie, la società contribuente vendeva lotti immobiliari rispetto ai quali si era convenzionalmente impegnata con il Comune a realizzare opere di urbanizzazione. Dalla sentenza si desume, peraltro, che i ricavi erano realizzati anticipatamente rispetto al sostenimento dei relativi costi.
Nel dettaglio, nel 1999 la società aveva firmato la convenzione e contabilizzato fatture da ricevere per un importo corrispondente agli oneri di urbanizzazione stimati nella convenzione stessa.
Nel 2004, a seguito dell’esecuzione di parte dei lavori e della ricezione dei documenti relativi ai costi sostenuti, le fatture da ricevere erano state ridotte.
Nel 2005 (oggetto di accertamento) le opere di urbanizzazione non erano ancora state completate, così che l’importo relativo ai lavori ancora da eseguire era stato “inserito nel bilancio della società quale passività”.
L’Agenzia delle Entrate contestava alla contribuente l’omessa contabilizzazione di sopravvenienze attive riferite alle fatture da ricevere precedentemente contabilizzate per l’importo anzidetto.
A ben vedere, il trattamento contabile adottato nel caso di specie non pare corretto sotto il profilo contabile, posto che, come evidenziato da autorevole dottrina, le partite da liquidare (tra cui rientrano le fatture da ricevere) sono costi o ricavi interamente di competenza dell’esercizio in chiusura, la cui collegata manifestazione numeraria avrà luogo nel successivo periodo amministrativo, al momento del ricevimento o dell’emissione dei rispettivi documenti contabili.
Tuttavia, la pronuncia appare interessante per le considerazioni formulate in ordine al principio di correlazione tra costi e ricavi.
Dopo aver richiamato l’art. 109 comma 1 del TUIR, la Suprema Corte ha affermato che la corretta applicazione del principio di competenza dettato dalla norma citata postula la necessità di individuare dapprima l’esercizio di competenza dei ricavi, per poi procedere all’individuazione dei costi a questi relativi, che sono ammessi in deduzione nel medesimo periodo.
In una fattispecie per alcuni aspetti analoga a quella qui in esame, avente ad oggetto i costi di ripristino delle cave, la pronuncia della Cassazione n. 16349/2014 ha affermato che, allorché si verifichi lo sfasamento temporale delle componenti reddituali, in applicazione del principio di correlazione sono i costi a seguire i ricavi, per cui una volta determinato l’esercizio di competenza dei ricavi, si determina automaticamente l’esercizio in cui divengono deducibili i costi, che assumono giuridica certezza attraverso l’accordo che le imprese sottoscrivono con gli enti competenti, al fine di ottenere le autorizzazioni necessarie per la coltivazione delle cave. Inoltre, la sentenza della Cassazione n. 4265/2023 ha ritenuto corretto imputare gli oneri di urbanizzazione, funzionali all’ottenimento di licenze edilizie e commerciali e collegati ai ricavi dell’operazione, al medesimo esercizio in cui erano stati conseguiti i ricavi, “poiché, nel caso di specie, il costo per oneri di urbanizzazione, in quanto contrattualmente previsto, era anche noto nel suo ammontare”, “indipendentemente dall’effettività della spesa conseguente alla realizzazione delle opere”.
Ad avviso dei giudici di legittimità, il principio di correlazione deve, dunque, ritenersi intrinseco in quello di competenza. Al fine di individuarne correttamente il contenuto, non si può prescindere dal concetto di correlazione civilistico-contabile tra produzione del reddito e costi correlati.
La Suprema Corte argomenta, ancora, che la disciplina fiscale sull’imputazione temporale riflette le regole civilistiche, laddove, da un lato, stabilisce il principio di competenza e, dall’altro, considera la correlazione costi-ricavi come corollario della stessa competenza, a condizione che vengano rispettate le regole di certezza e di obiettiva determinabilità dei costi dettate dall’art. 109 comma 1 del TUIR.
La stessa Cassazione sottolinea che tale principio trova riscontro anche nella prassi dell’Amministrazione (R.M. n. 14/98, relativa alle prestazioni di smaltimento di rifiuti; R.M. n. 52/98, relativa ai costi di chiusura e post-chiusura delle discariche; ris. Agenzia Entrate n. 91/2006, relativa alle provvigioni; interpello DRE Emilia Romagna n. 909-579/2020, relativa ad una fattispecie sovrapponibile a quella in esame).
La Suprema Corte ha, quindi, cassato la sentenza della C.T. Reg., in quanto non ha verificato se, sulla base degli impegni assunti dall’impresa, i costi potessero ritenersi certi nella loro esistenza ed obiettivamente determinabili (ma ha fatto discendere la mancanza di tali requisiti dal fatto che i lavori di urbanizzazione non fossero stati realizzati).
Si evidenzia, da ultimo, che la stessa Cassazione ha precisato che, nella specie, quanto meno per ragioni temporali, non viene in rilievo la disciplina, sopravvenuta, della c.d. “derivazione rafforzata” prevista dall’art. 83 comma 1 del TUIR. Come evidenziato da autorevole dottrina, infatti, per effetto del principio di derivazione rafforzata, il principio di correlazione, ove correttamente applicato in base ai principi contabili, dovrebbe assumere diretta rilevanza anche ai fini fiscali.
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