Innovazione digitale, i numeri chiave del 2024

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Un passaggio chiave, il 2024, in tema di innovazione digitale. Un’annata analizzata dettagliatamente dagli Osservatori Digitali del Politecnico di Milano che da 25 anni studia il settore. Tre le tematiche oggetto di grandi dibattiti, le prime due più squisitamente macroeconomiche e geopolitiche. La prima è una presa d’atto della perdita di competitività dell’economia europea a livello globale, dall’inizio Duemila in verità (con una pesante ricaduta negativa sul Pil e sui nostri livelli di vita) e dello scarso peso di imprese tech innovative europee. In secondo luogo l’impatto che la seconda presidenza Trump potrà avere direttamente sulle big tech (politiche antitrust) e/o indirettamente (imposizioni tariffarie differenziate all’import piuttosto che dei blocchi all’export e delle possibili/ probabili ritorsioni). In terzo luogo lo stato e le prospettive dell’intelligenza artificiale (IA) generativa: le grandi aspettative che essa ha creato sin dal lancio di ChatGPT da parte di OpenAI esattamente due anni fa e il flusso di investimenti privati, da alcuni considerato il più grande della storia. Ne parliamo con Umberto Bertelè, chairman degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, che spiega ai lettori di Dailyonline la sintesi del suo report relativo al 2024.

Il potere d’acquisto della Ue è diminuito del 20% in venti anni rispetto agli Usa. Una notevole perdita di competitività. Cosa è successo?

«All’inizio degli anni duemila il Pil per persona attiva statunitense, se valutato a parità di potere di acquisto (PPP in gergo), era equivalente a quello UE, ora lo sopravanza del 20 per cento. È un dato contenuto nel Rapporto Draghi sulla competitività europea (“EU competitiveness: Looking ahead”). Fra le principali cause strutturali possiamo citare l’insufficiente livello di integrazione fra i 27 Paesi della Ue e la divergenza nei livelli di produttività – stagnanti quelli europei da quasi vent’anni a questa parte a fronte di quelli statunitensi cresciuti nel frattempo del circa 40 per cento – rilevabile in tutti i comparti ma particolarmente elevata in quelli definibili in senso lato come “tech”: comparti ove la UE (e purtroppo anche nel nostro Paese) ha pochissime imprese rilevanti su scala mondiale». 

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Un cambiamento di presidenza negli US raramente è irrilevante… 

«E lo è ancor meno con un presidente come Trump. Sul piatto c’è l’atteggiamento che Donald Trump potrà assumere nei riguardi delle big tech, le principali delle quali sono sotto accusa da parte delle authority antitrust statunitensi (oltre che soprattutto da quelle UE); c’è poi l’impatto che sul comparto tech potranno avere la politica doganale (imposizione selettiva di dazi all’import e divieti selettivi all’export) promessa in campagna elettorale (con le quasi certe ritorsioni) e lo scontro strategico in atto con la Cina; e c’è, infine, l’appoggio promesso da Trump al mondo crypto, visto con favore anche da Elon Musk, che ha già fatto salire il bitcoin a valori elevatissimi». 

Le big tech Us hanno un ruolo chiave

«Il peso delle big tech nell’ambito dell’economia statunitense è elevatissimo. Tutte con una capitalizzazione (market cap) superiore al trilione di dollari, le prime sette imprese per valore di mercato statunitensi, spesso denominate “magnificent seven”: aziende che occupano anche le prime cinque posizioni e sette delle prime otto su scala mondiale. Il loro valore cumulato a inizio dicembre, 17,8 trilioni di dollari, è pari al 60 per cento circa del PIL statunitense e a oltre sette volte quello italiano». 

Parliamo di politiche doganali e del confronto con la Cina

«Le tariffe sull’import dalla Cina introdotte durante la prima presidenza Trump, e lasciate in vita da Biden, hanno fatto del Messico il principale Paese esportatore negli US. Ed è in atto un inasprimento dei dazi alle importazioni (come quello di recente annunciate nei riguardi di Messico, Canada e Cina) o l’allargamento dei divieti di vendita ai Paesi “nemici o potenzialmente tali” di beni e servizi utilizzabili per finalità belliche, quali i microprocessori più avanzati per la messa a punto di modelli di intelligenza artificiale generativa».

Qualche esempio?

«La cinese BYD (100mila dipendenti, 95.7 miliardi di ricavi e 107,3 di market cap), al momento concorrente numero uno di Tesla sul mercato mondiale, vorrebbe ad esempio aprire uno stabilimento in Messico per produrre, nella sostanza assemblando batterie e altri componenti critici provenienti dalla Cina, auto elettriche da vendere sul mercato statunitense e aggirare così le proibitive barriere esistenti. Apple invece, che ha tuttora in Cina la maggior parte delle attività di manufacturing degli iPhone (che fanno capo al suo principale fornitore/contract manifacturer taiwanese Foxconn) ha un fattore di debolezza strategica, ed è il motivo per cui negli ultimi anni ha avviato le diversificazioni localizzative, ma anche di forza, perché per essa lavora un milione circa di cinesi. La situazione di Tesla è forse ancora più peculiare. Ha nei suoi stabilimenti cinesi il 40 per cento della capacità produttiva complessiva».

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C’è un risveglio delle cryptovalute e della cryptofinanza

«È con la nascita del bitcoin nel 2009 che nascono le cryptovalute e che qualche anno dopo si sviluppa progressivamente quella che può essere definita la cryptofinanza, che ha il suo momento di massima espansione nel 2021-2022, ai tempi della pandemia, per poi subire una forte caduta a seguito di una serie di scandali. È con una sentenza della Corte Suprema statunitense del 2023 a favore di Coinbase e soprattutto con quella di un giudice federale nel luglio 2024, a favore di Binance in una vertenza con la SEC-Securities and Exchange Commission, che la cryptofinanza ha ripreso fiato. Ora Trump vuole allentare la regolamentazione. La scommessa su Trump sembra avere avuto successo con la designazione quale “White House AI and Crypto Czar“ di David Sacks, un venture capitalist molto noto nella Silicon Valley. Crypto e AI messe insieme, sono state messe sotto il cappello di “tecnologie nuove” e in passato David Sacks si è sempre dichiarato favorevole a politiche più permissive per ambedue le tecnologie. Le preoccupazioni maggiori di chi è contrario al rilassamento di una regolamentazione che ritiene già debole sono legate soprattutto ai rischi di una crescente commistione fra finanza crypto e tradizionale. Una commistione in crescita, che coinvolge anche operatori primari come BlackRock, il cui bitcoin ETF lanciato recentemente ha già raggiunto i 48 miliardi. Parallelamente si è scatenato un altro mercato, che ricorda quello meteorico degli NFT e che è visto negativamente anche da esponenti di realtà crypto rilevanti: il mercato dei cosiddetti memecoin, token che possono essere prodotti e messi sul mercato con estrema facilita’, che sono legati a momenti virali online e il cui valore è nella sostanza legato al mantenimento, alla crescita, alla caduta o al crollo di tale viralità. Il caso al momento più noto è quello del Dogecoin, nato nel lontano 2013 ma venuto alla ribalta perché sostenuto da Elon Musk, ora designato da Trump a co-dirigere il DOGE- Department of Government Efficiency. Il Dogecoin, per quello che si potrebbe chiamare un effetto congiunto Trump-Musk, è passato dai 23 miliardi di market cap del 4 novembre 2024 agli oltre 67 dell’8 dicembre, semplicemente per la crescita di viralità». 

L’IA generativa è la più grande promessa e la più grande incognita del mondo tech

«Dal 30 novembre 2022, poco più di due anni fa, quando Sam Altman, cofondatore e CEO di OpenAI, lanciò ChatGPT (messa a punto con il sostanziale contributo finanziario di Microsoft), l’IA generativa è divenuta the next big thing del mondo tech. E’ stata vissuta come l’occasione da non perdere per la loro crescita futura. Il tutto ancora in assenza, al momento, di un insieme di utilizzi finali, da parte delle imprese, delle pubbliche amministrazioni e dei privati, complessivamente in grado di garantire la profittabilità dei grandiosi investimenti. Con il rischio che il mercato stia sopravvalutando il potenziale a breve dell’IA generativa e che non necessariamente le imprese che stanno investendo massicciamente in essa adesso ne sarebbero i maggiori beneficiari. La spinta a costruire modelli di IA sempre più grandi comporta fabbisogni di energia elettrica sempre più elevati (tali da spingere recentemente Alphabet-Google, Microsoft e Amazon a sottoscrivere ordini per la messa a punto di nuovi reattori e/o la rimessa in moto di alcuni di quelli decommissioned) e comporta poi costi anch’essi più elevati, non solo per la fase di training (si parla di un miliardo di  per la messa a punto di un modello di nuova generazione) ma anche per quella successiva di inference, con fabbisogni di dati di qualità sempre più elevati, ma sempre più difficili da reperire su internet». 

Quali sono le imprese protagoniste?

«OpenAI, l’impresa che ha lanciato ChatGPT e che ora è impegnata in una complessa transizione da nonprofit a for-profit, è l’AI startup con la valutazione più elevata: 157 miliardi dollari, valutazione ricevuta in occasione dell’ultimo recente round di aumento del capitale. OpenAI ha avuto come principale finanziatore (14 miliardi) Microsoft, che ha finanziato anche la francese Mistral. Seconda per valutazione, 50 miliardi in occasione del round di novembre (il doppio rispetto a inizio anno), è l’xAI di Elon Musk. Terza per valutazione, ma seconda per quanto già realizzato, è Anthropic, creata anni fa da un gruppo di fuoriusciti da OpenAI (tra cui l’attuale CEO Dario Amodei in precedenza vicepresidente per la ricerca di OpenAi), che ha ricevuto tra gli altri otto miliardi di finanziamenti da Amazon e due da Alphabet-Google (quest’ultima ha finanziato anche la canadese Cohere). Non hanno retto invece alla crescente necessità di finanziamenti Inflection AI, Character AI e Adept, che sono state rispettivamente acquisite da Microsoft, Alphabet-Google e Amazon in forma come detto in precedenza mascherata. La principale AI startup europea è la francese Mistral, fondata nel 2023 da francesi prima operanti in Google DeepMind e in Meta, valutata a giugno di quest’anno sei miliardi di dollari, che ha tra i suoi azionisti la società di venture capital Andreessen Horowitz, Microsoft e Nvidia». 

E le magnificent seven?

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«Per quanto riguarda le magnificent seven, tutte sono coinvolte nell’AI generativa, anche se in modi diversi. I quattro cosiddetti hyperscalers più grandi, Amazon, Microsoft e Alphabet-Google (leader mondiali nell’ordine nel cloud) e Meta, hanno investito quest’anno (in misura prevalente per la costruzione di AI data center) oltre 200 miliardi di dollari (75 la sola Amazon) e potrebbero arrivare a 300 nel 2025. Apple, la più arretrata a in questo ambito fra le big five, ha lanciato qualche mese fa la Apple Intelligence e ha stretto accordi con OpenAI per renderne possibile l’accesso ai suoi modelli dagli iPhone e dagli altri suoi apparati, anche per fronteggiare una concorrenza asiatica che si è mossa in anticipo. Nvidia, che dispone dei chip (GPU-Graphics processing unit) ritenuti migliori al mondo per il training dei modelli di IA, è l’impresa che al momento gode del grandioso ammontare degli investimenti in AI data center. Tesla è più indirettamente coinvolta (anche se da anni utilizza l’IA per lo sviluppo del self driving), in quanto fondata e diretta, come xAI, da Elon Musk e in quanto essa (come SpaceX) potrà avvalersi in futuro dell’avanzatissimo AI data center messo a punto da xAI. Altre due imprese giocano un ruolo molto rilevante nella filiera dell’IA generativa: la taiwanese TSMC, leader mondiale nel manufacturing dei chip più avanzati, che si colloca al nono posto nella classifica mondiale per capitalizzazione (immediatamente alle spalle delle magnificent seven) e che ha da poco superato la soglia del trilione e l’olandese ASML, con una capitalizzazione prossima ai 300 miliardi leader mondiale nelle macchine fotolitografiche per la produzione dei chip». 


La presenza europea?

«La presenza di imprese europee nei dati riportati, se paragonata a quella statunitense, appare quasi irrilevante. Meno facile il paragone con la realtà cinese, comunque molto più avanzata, la quale, soprattutto dopo il tech backlash del 2020, si è sempre più allontanata dal modello di organizzazione industriale-finanziaria statunitense. Interessante la posizione di leadership di ASML nella fotolitografia, recentemente penalizzata dalla richiesta statunitense di non vendere alla Cina le macchine più avanzate. Più strettamente pertinenti all’IA i casi DeepMind e Mistral, che mettono in chiara luce l’effetto di attrazione che l’ecosistema tech statunitense ha avuto e continua ad avere sulle startup europee. Infine c’è DeepMind, una società inglese, acquisita da Google 10 anni fa, che ha avuto un ruolo molto importante nella crescita dell’IA, sia prima sia dopo tale acquisizione. E Mistral, impresa fondata in Francia nel 2023, da francesi che prima operavano in Google DeepMind e in Meta: un qualcosa che ricorda la nascita della tedesca SAP, fondata nel 1972 da tedeschi provenienti da IBM. SAP è rimasta tedesca, è prima per capitalizzazione nel Paese, per la sua capacità di offrire, in concorrenza con Oracle, servizi che ben si sposano con la realtà industriale del Paese. Mistral, comunque, per crescere in un comparto molto nuovo (che offre poche possibilità di autofinanziare la crescita), ha bisogno di capitali e ha bisogno di scienziati, ingegneri e specialisti per le vendite: per cui non solo cerca finanziatori negli US, ma sta aprendo una sede nella Silicon Valley per aver accesso a risorse poco disponibili in Europa». 



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