intervista a Nikolaj Hansson, direttore creativo di Diadora Legacy

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Non avendolo mai praticato, il primo ricordo che mi viene in mente pensando al tennis risale ai pomeriggi d’estate in cui guardavo le partite sul divano con mio padre. C’è una sensazione che associo a quelle partite che vedevo in televisione: per seguire il movimento della pallina, da destra a sinistra e da sinistra e destra finchĂ© non toccava terra, bisognava in un certo senso lasciarsi andare. Anche dal divano di casa per godersi a pieno ogni set bisogna seguire il movimento senza pensare troppo, abbandonando il corpo e la mente in modo che lo sguardo possa prendere il ritmo e immergersi completamente nello spettacolo. Un po’ un controsenso, fermarsi nel pensiero per cominciare a muoversi, in questo caso con i giocatori. E del tennis e del ruolo che puĂ² avere nella quotidianitĂ , nonchĂ© dell’importanza di lasciarsi andare, nella vita come in questo sport che lo ha catturato a tal punto da indurlo a cambiare lavoro, mi ha parlato Nikolaj Hansson durante l’ultima settimana della moda uomo di Milano, quando ha svelato la sua prima collezione per Diadora Legacy presso il Circolo Canottieri Olona, proprio su un campo da gioco.

Di origini danesi, Hansson è stato nominato direttore creativo della linea lo scorso autunno, in seguito a una collaborazione tra il brand di sportswear e il suo marchio, Palmes: «Durante una visita alla sede di Diadora per una collaborazione con Palmes, mi sono completamente innamorato del marchio; del suo impegno per l’innovazione, l’artigianalitĂ , l’atletismo e la narrazione, così come delle persone appassionate che compongono il team Diadora», racconta. «Al mio ritorno ho chiamato mio fratello dicendogli che volevo trovare un modo per lavorare in modo piĂ¹ continuativo con Diadora entro un paio d’anni. Non piĂ¹ di una settimana dopo, ho ricevuto una chiamata da Claudio [Bora, amministratore delegato di Diadora, nda] che mi ha chiesto se volessi unirmi a loro proprio in quel ruolo. A quanto pare, l’innamoramento era reciproco».

Alcune settimane dopo debutta la sua prima collezione per la linea ispirata all’heritage di Diadora. Una collezione interamente realizzata con produttori italiani, che si presenta abitata da tutta una serie di intramontabili codici estetici ripresi direttamente dagli archivi del brand per raccontarne la storia, ma anche cool e contemporanea, e che si scopre come un invito a sentirsi liberi sotto qualsiasi punto di vista: dalle nostre vite piene di meeting, pressing e impegni almeno per il tempo di una nuotata, grazie all’inedita modalitĂ  scelta per la presentazione che consentiva di restare ad allenarsi negli spazi dello storico centro sportivo milanese, ma soprattutto liberi di esprimersi seguendo con naturalezza le proprie pulsioni, attraverso i capi e gli accessori proposti. Proprio come in una partita di tennis.

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Per l’occasione in co-branding con Palmes, i primi modelli Diadora Legacy arriveranno in negozio la prossima stagione autunno inverno. Nel frattempo, questo è quello che il nuovo direttore creativo ha raccontato a Cosmopolitan del suo progetto: un viaggio tra archivi, ispirazioni, ricordi e valori che lo ha portato dalla Danimarca in un piccolo comune veneto situato a sud delle Dolomiti.

pinterest

Courtesy Brand

Com’è nata l’idea per la collezione?

«La collezione autunno inverno 2025 è una collaborazione tra Palmes e Diadora ed è un po’ come la vita di un tennista, perchĂ© Palmes è un brand di abbigliamento maschile ispirato al tennis e Diadora ha un forte legame con il tennis, un’ereditĂ  che risale a Björn Borg, Boris Becker, Jennifer Capriati e che continua a crescere ancora oggi. Per me si tratta molto di raccontare le storie che compongono la storia di Diadora, l’heritage iconico del marchio, ma anche di parlare della creativitĂ  italiana, perchĂ© Diadora ne è un’istituzione ed è un grande esempio di audacia e coraggio nel design. Quindi si tratta davvero di parlare delle sensazioni di Diadora e del ruolo che lo sport puĂ² giocare nelle nostre vite quotidiane. Io in particolare amo giocare a tennis perchĂ© penso che sia un modo di liberare la mente, ma anche di spronarmi dentro e fuori dal campo. Quindi è una conversazione davvero interessante. Per il resto, lavorare a questa collezione ha significato anche guardare il design italiano degli Anni ’70, dal settore automobilistico, come quello delle auto Alfa Romeo del tempo, all’architettura italiana, al design dei mobili Castiglione. Ăˆ stato davvero come immergersi nella creativitĂ  italiana, perchĂ© Diadora è anche questo, è patrimonio e creativitĂ , e attinge da tutto questo. Inoltre, penso che un’altra cosa incredibile sia che molte delle cose sono prodotte in Italia, in Puglia. Ăˆ davvero entusiasmante poter al tempo stesso creare e offrire i prodotti in Italia, e farlo anche a un prezzo davvero conveniente per molte persone».

moda 2025 diadora legacy foto intervista nikolaj hanssonpinterest

Courtesy Brand

Mi sembra chiaro cosa renda unici per te i prodotti Diadora. Cosa rende uniche, invece, le tue creazioni?

«Prima lavoravo come editor e writer, e scrivo ancora molto, quindi penso che sia comunicare emozioni e storie attraverso i prodotti. Mentre nella scrittura usavo la punteggiatura, le virgole, le frasi e le parole per comunicare emozioni, ora uso una finitura applicata, un tessuto, un taglio o qualcosa del genere. Quindi, invece di parole, lettere e virgole, ora sono cuciture, tessuti e colori. Penso che si tratti proprio di questo, di far sentire qualcosa alle persone quando interagiscono con il prodotto, trasmettendo loro delle sensazioni attraverso di esso».

Tornando alla collezione, tre parole per descriverla?

«Prima di tutto tennis. Poi artigianato. E penso che non sia propriamente una parola, ma è estetica accessibile, perchĂ© il desiderio è quello di creare qualcosa con cui le persone possano relazionarsi, che possa anche spronarle un po’, ma anche qualcosa che ti faccia fermare un secondo,non qualcosa che ti sfidi così tanto da essere troppo difficile. Infine, penso che cerchi sempre di fare cose che siano rilevanti nell’immediato, ma che tu voglia ancora indossare tra dieci anni. Tuttavia, se rendi una collezione troppo attuale, tra sei mesi non la vorrai piĂ¹ indossare perchĂ© sarĂ  stato abbastanza; allo stesso tempo, non la indosserai nemmeno se la rendi troppo poco attuale: quindi, credo che anche equilibrio possa essere una parola per descrivere questa collezione».

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Come ti immagini che venga indossata?

«C’è una cosa che mi piace del tennis ed è che ho amici che giocano a tennis con un maglione di cotone lavorato a maglia, ma puoi giocare a tennis anche con una felpa o una maglia da rugby. Nel tennis giochi un po’, poi ti fermi, poi giochi di nuovo, quindi puoi anche indossare cose meno tecniche. Un esempio puĂ² essere la tuta che indosso: questo pantalone lo indosso con la sua giacca per giocare a tennis, ma lo indosserei anche con una camicia Oxford bianca e un paio di mocassini per uscire a cena con gli amici il venerdì sera perchĂ© ha un dettaglio pieghettato che arriva dalla sartoria che ti permette di indossarlo davvero come vuoi. Credo davvero che sia una collezione creata anche per la vita fuori dal campo, ma puoi anche giocarci a tennis perchĂ© il tennis è uno sport molto flessibile da questo punto di vista. E penso che sia ciĂ² che mi piace del tennis, che è molto versatile, mentre i vestiti da corsa li indossi quando corri e quando vai in palestra, ma non li indossi per cena con gli amici. Con il tennis puoi davvero vestirti come vuoi».

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Questa è la tua prima collezione come direttore creativo di Diadora Legacy. Qual è il tuo obiettivo?

«Penso che si tratti di acquisire il controllo e investire completamente nella creativitĂ  e nell’artigianato italiano, comunicando quei valori al mondo».

Come ti sei avvicinato alla moda?

«Sono cresciuto facendo skateboard e nello skateboard ci tieni molto ad avere le scarpe giuste, vuoi che ci sia anche un aspetto stilistico. Così ho iniziato a leggere di scarpe e sneakers culture, poi ho iniziato a leggere di moda e da lì è nata tutta la passione».

E come allo sport?

«Sono cresciuto giocando a calcio ed è lì che ho visto per la prima volta Diadora. Ero un tifoso del Manchester United e i difensori del Manchester United come Gary Neville e Roy Keane giocavano tutti con gli scarpini neri in pelle con il logo giallo di Diadora, lo ricordo perché giocavo da difensore nella mia squadra. Poi ho iniziato con lo skateboarding e solo quattro anni e mezzo fa ho cominciato a giocare a tennis, ma ne sono diventato abbastanza ossessionato da lasciare il mio lavoro per creare un brand ispirato al tennis».

Come hai capito che volevi concentrarti sulla combinazione tra moda e sport nel tuo lavoro?

«Penso che mi mancasse qualcosa nel tennis, perchĂ© ci sono un sacco di brand incredibili, ma per me il tennis era sempre molto visto come qualcosa di tradizionale, classico, elegante, conservatore. Ăˆ così che il tennis viene spesso rappresentato nella cultura, nei media e nella moda, ma io volevo portare sfidare questa concezione comune. Avevo tanti amici che dicevano: «Non possiamo giocare a tennis, non siamo tipi da tennis», e volevo davvero dimostrare che il tennis e lo sport in generale dovrebbero essere per tutti, indipendentemente da chi sei, che dovrebbe essere solo un modo di esprimerti sul campo e divertirti con gli amici, che è la cosa piĂ¹ importante».

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Mi ha colpito molto quello che hai scritto ieri su Instagram: racconti di come sei arrivato a Caerano di San Marco e di come qui tu ti sia sentito a casa. Cosa hai trovato in questo piccolo comune veneto?

«Penso che sia stata la sensazione che provi quando incontri persone simili a te, che sono molto appassionate di quello che fanno e che mettono tanto impegno nel loro lavoro. Penso che questo mi abbia davvero colpito. Poi, ogni volta che ci torno e soggiorno in una piccola vigna di famiglia dove ti abbracciano quando arrivi. Ăˆ davvero un angolo di mondo dove non c’è molto altro, e questa cosa mi piace davvero: quando sono lì, è come se fossi alla sede centrale, che è lì da sempre, ma è nuova e al tempo stesso molto vecchia in un modo incredibilmente affascinante. Puoi davvero sentire la storia di Diadora e la fibra dell’edificio».

E cosa porti con te, invece, del tuo Paese, la Danimarca?

«Non molto, in realtĂ , ma amo essere danese e credo che ci sia una cosa in cui la Danimarca è davvero brava: rendere il design democratico. C’è una democrazia sociale, che significa che c’è un’istruzione e opportunitĂ  uguali per tutti e questo si riflette anche nel design danese. Penso che anche questa idea si colleghi a ciĂ² che cerchiamo di fare con Diadora: offrire un prodotto davvero fantastico che, oltre a permettere di provare delle emozioni e relazionarsi con esso, sia realizzato in buone condizioni, con persone fantastiche, rendendolo accessibile per molte persone».

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Un consiglio per chi sogna di intraprendere la tua stessa strada, il tuo stesso viaggio.

«Penso che dovresti semplicemente chiudere gli occhi e correre piĂ¹ veloce che puoi, senza fermarti a pensare. Ăˆ come nel tennis: se gioco bene è perchĂ© non penso, seguo l’istinto e la mia emotivitĂ , ma se inizio a pensare troppo mentre gioco diventa forzato. Quindi devi davvero lasciar andare e far succedere le cose, ma essere anche paziente, perchĂ© ci vuole tempo. Io in realtĂ  sono davvero pessimo con la pazienza, ma è qualcosa che serve molto».



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