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Marco Minniti: «La Libia è strategica, giusto fare accordi. L’Albania? L’idea dei Paesi terzi non funziona»
Giorgia Meloni è stata ricattata nel caso Almasri dalla Libia con l’arma dei migranti, come sostengono le opposizioni?
«Non si può utilizzare questo tema. La questione è più generale».
In che senso?
«La Libia è strategica».
Avendo sperimentato il contesto sulla propria pelle di ministro dem nel 2017, Marco Minniti tende, com’è logico, a contestualizzare. Osteggiato dal suo stesso partito per l’intesa con guardacoste e capitribù libici, che pure evitò all’Italia uno tsunami di sbarchi, ha chiuso con la politica («Da non pentito») e presiede la fondazione Med-Or, relazioni internazionali al top, «un ponte di soft power in un mondo dove sembra prevalere l’hard power».
Bene, allora, ripartiamo dalla strategia.
«La Libia era ed è una questione di interesse nazionale al suo livello più alto: la sicurezza nazionale, cioè l’incolumità anche fisica di ogni cittadino. Un pezzo grande di sicurezza nazionale si gioca fuori dai confini nazionali».
E cosa rende la Libia così indispensabile?
«Primo: è la base più avanzata dei trafficanti di esseri umani. Secondo: vi si gioca una partita energetica essenziale, come si è visto nella vicenda ucraina. Terzo: l’Africa è il principale incubatore di terrorismo internazionale e solo qualche anno fa la capitale moderna della Libia, Sirte, era in mano allo Stato Islamico».
Com’era la situazione del 2017? Peggio di oggi?
«Si pagava il prezzo di un’incoerenza internazionale. La Libia non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra. Quando cade Gheddafi la comunità internazionale doveva porre questa condizione al nuovo governo».
E non l’ha fatto…
«No. Ma quando firmiamo il Memorandum coi libici l’intesa viene fatta propria dall’Unione europea. E da noi il Memorandum è stato confermato due volte. Con quell’accordo l’Onu poté entrare in Libia: prima se ne occupava da Tunisi. Non tutto è stato risolto, ma c’era una visione».
Alla fine, però stiamo più o meno come allora…
«Io ho fatto il ministro solo sedici mesi, non sedici anni. E vorrei ricordarle che ogni volta che partiva un pullman di migranti veniva bloccato dalle barricate per le strade».
Ma perché le migrazioni ci sorprendono ogni volta?
«Perché non capiamo che sono un dato strutturale, non un’emergenza. Non chiamiamole più migrazioni ma movimenti di persone. Dobbiamo stare molto attenti alla trappola dell’identità».
Chi ha sbagliato nel pasticcio su Almasri?
«Avrei utilizzato sin dall’inizio il tema della sicurezza nazionale: è netto. Ne imparai il senso nel 1998, vedendo che i tedeschi non ci chiesero l’estradizione dell’arrestato Öcalan, capo del Pkk curdo, benché avessero emesso per lui un mandato di cattura per terrorismo: c’erano in Germania le comunità turca e curda più importanti d’Europa, un processo avrebbe devastato la tenuta sociale».
Almasri non le ricorda un trafficante dei suoi tempi, Bija?
«Non c’entra nulla. Bija venne qui con un programma di formazione del governo libico gestito da Onu e Ue. Io non l’ho mai incontrato».
Ma in simili vicende, tra necessità ed eticità, cosa deve prevalere?
«Noi dobbiamo abituarci alla “guerra del bene contro il bene”, come dicono gli inglesi. L’unipolarismo occidentale è finito e non è alle viste un multipolarismo virtuoso. La sicurezza nazionale è cruciale. Lo Stato deve garantire questo, non è una ong».
Cosa non ha funzionato sull’Albania?
«A situazioni strutturali non puoi opporre misure emergenziali. Devi coinvolgere i Paesi di partenza. Peraltro, gli accordi bilaterali, discutibili o meno, non solo con la Libia ma anche con la Tunisia o la Costa d’Avorio, hanno funzionato. Il rapporto con l’Africa è strategico».
Dunque, le piace il Piano Mattei?
«Assolutamente sì. È l’intuizione giusta. Concentrerei tutte le mie risorse finanziarie e politiche per farne un piano europeo».
La convince l’idea di «esternalizzare» il problema, come in Albania?
«Non funziona l’idea dei Paesi terzi. Sul Ruanda, Sunak ha portato al collasso i conservatori inglesi. L’Europa deve stabilire con l’Africa un rapporto da pari a pari. Unione Europea e Unione Africana facciano un patto per le migrazioni legali, chiedendo all’Africa lotta ai trafficanti».
Già ma per farlo servirebbero interlocutori che in Africa non sembrano così numerosi…
«Siamo sull’orlo di un precipizio, bisogna saper parlare con il… nemico, ovvero con chi non gode della nostra approvazione politica, etica o morale. Sa qual è la differenza fra Almasri e il siriano Al Jolani con cui tutti vogliono parlare adesso?».
Me lo dica lei…
«Che Al Jolani guida un Paese intero, cruciale: se apre la frontiera e c’è un nuovo grande flusso di siriani verso di noi, l’Europa potrebbe non farcela».
È aperta la caccia al procuratore Lo Voi? Non lo trova sbagliato?
«Non si deve mai dare un messaggio di “dagli all’untore”. E mi auguro un “cessate il fuoco” nella guerra tra politica e magistratura. Credo però che davanti a un esposto non sia automatica l’apertura di un’indagine, si valuta la congruità. La valutazione della Procura è legittima, certo. Tuttavia, essenziale è il momento. Se un esposto sottolinea criticità nell’azione del governo ed è prevista per il giorno dopo l’audizione dei ministri della Giustizia e dell’Interno, forse è doveroso aspettare le due audizioni, anche per valutare meglio la fondatezza dell’esposto. Ed evitare così un effetto molto negativo».
Quale?
«Il conflitto tra istituzioni, nel quale perdono i cittadini, la democrazia e, in definitiva, l’Italia».
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