LIBIA Il dolore in Bangladesh per 23 migranti annegati nel Mediterraneo

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Sull’ imbarcazione, salpata dalle coste libiche verso l’Italia il 25 gennaio, c’erano 56 persone. Le testimonianze dall’upazila Rajoir da cui provenivano almeno 10 dei morti i cui corpi sono stati riconosciuti. Partiti a causa di povertà e disoccupazione, si erano indebitati con i trafficanti per migliaia di euro. Le autorità: “Arresteremo gli intermediari”.

Madaripur (AsiaNews) – Tra le vittime dell’attraversamento del Mar Mediterraneo, nella speranza di giungere in Europa, ci sono anche cittadini del Bangladesh. Il recupero di 23 corpi presumibilmente bangladesi – su un totale di 56 persone presenti sulla stessa imbarcazione – dalle coste libiche ha gettato nel lutto l’upazila Rajoir di Madaripur. Almeno 10 delle vittime sarebbero di questo sottodistretto. Le famiglie di questi giovani, che erano partiti per l’Italia nella speranza di un futuro migliore, sono sconvolte. I parenti hanno esortato le autorità a prendere provvedimenti contro i responsabili e a riportare indietro i corpi.

Secondo fonti locali, Titu Howlader, figlio di Hasan Matbar del villaggio di Paschim Swaramangal, era tra coloro che hanno intrapreso il pericoloso viaggio. Ha perso tragicamente la vita quando la barca – che aveva lasciato il continente africano il 25 gennaio – si è rovesciata nel Mar Mediterraneo. Sua madre, Kulsum Begum, era inconsolabile quando ha visto la foto del corpo del figlio sul suo cellulare, svenendo ripetutamente per il dolore. Molti bengalesi rischiano di raggiungere l’Europa a causa della povertà, della disoccupazione e delle false promesse dei trafficanti. Anche la pressione sociale, i cambiamenti climatici e l’instabilità politica li spingono a cercare un futuro migliore all’estero. Molti affrontano sfruttamento, abusi e rischi mortali durante il viaggio.

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“Rivoglio mio figlio. Era il mio unico figlio. L’ho cresciuto con immense difficoltà”, ha pianto. “Ho dato a Rafiq Dalal (il nome del trafficante, ndr) 1,6 milioni di taka (circa 13mila euro, ndr). Mi ha promesso di mandare mio figlio al sicuro”. Anche il padre di Titu, Hasan Hawladar, è scoppiato in lacrime. “Ho lavorato duramente e preso prestiti per mandare mio figlio all’estero. Ora, come farò a ripagare i miei debiti? Ho perso tutto”, si è disperato. “Ieri l’intermediario mi ha inviato una foto del corpo senza vita di mio figlio. Cosa dovrei fare ora?”.

Tutti avevano tra i 20 e i 30 anni. Dopo aver informato le famiglie della loro morte via telefono cellulare, gli intermediari responsabili di averli inviati in questo pericoloso viaggio sono scomparsi. Le autorità sono ora sotto pressione per rintracciare le persone coinvolte in questa rete di traffico di esseri umani e assicurare giustizia alle vittime e alle loro famiglie in lutto. Secondo la polizia, i residenti locali e le famiglie delle vittime, Titu Howlader ha lasciato la sua casa per l’Italia l’1 gennaio. Anche suo zio, Abul Bashar Akon di Gobindapur, lo ha seguito. Sono arrivati in Libia prima di partire su una barca a motore il 25 gennaio. Tragicamente, sia lo zio che il nipote hanno perso la vita.

La notizia della loro morte, ieri mattina, ha gettato una profonda ombra di dolore sulle loro famiglie. I rapporti indicano che insieme almeno 10 persone provenienti dall’upazila Rajoir sono morte tentando la traversata. Alcuni giorni fa, la Mezzaluna Rossa libica ha recuperato un totale di 23 corpi, che erano in stato di decomposizione e dovevano essere seppelliti. Le autorità ritengono che fossero tutti cittadini del Bangladesh. Come i genitori di Titu, anche le altre famiglie avevano contratto prestiti ad alto tasso di interesse o addirittura venduto i loro terreni per pagare i trafficanti. Ora devono affrontare non solo un immenso dolore, ma anche il peso schiacciante dei debiti. 

I trafficanti – principali responsabili di questa tragedia – sono stati identificati come Swapan Matubbar del villaggio di Haridasdi a Rajoir, Monir Hawladar del villaggio di Majumdarkandi e Rafiq Dalal di Alipur nell’upazila di Bhanga, Faridpur. Dopo l’incidente, questi intermediari si sono nascosti, e risultano irreperibili. Akkas Ali Akon, padre del defunto Abul Bashar, ha espresso la sua angoscia: “Questi intermediari hanno preso 2,8 milioni di taka (circa 22mila euro), promettendo di mandare mio figlio in Italia. Non posso accettare la morte di mio figlio in questo modo. Chiedo una giustizia rigorosa per questi criminali”. 

Il responsabile della stazione di polizia di Rajoir, Md. Masud Khan ha confermato: “Abbiamo ricevuto notizie da varie fonti che 10 giovani dell’upazila Rajoir sono morti in Libia mentre cercavano di raggiungere l’Italia. Verranno presi provvedimenti severi contro gli intermediari una volta che le famiglie avranno presentato una denuncia formale. Abbiamo già disposto l’arresto”. Il magistrato distrettuale aggiuntivo di Madaripur, Shah Mohammad Sajeeb, ha assicurato: “Saranno prese le misure necessarie per riportare indietro i corpi dei defunti. L’amministrazione distrettuale sta lavorando attivamente con l’ambasciata per facilitare questo processo”.





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