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1. Il ristoro del danno da lesioni personali. Iniziative adottate dall’Amministrazione, anche nell’ottica della Collaborazione istituzionale nella specifica delicata materia


Le vittime di estorsione e di usura vivono spesso situazioni molto dolorose, nel corso di vicende delittuose, che comportano serie ripercussioni sulla salute psico-fisica, strettamente riconducibili agli eventi subiti.
Per questa ragione, la vigente normativa prevede, in tali casi, la possibilità di ristoro del danno da lesioni personali.
Tale tipologia di intervento è espressamente prevista dall’art. 3 della legge n.44/1999; il precedente art.1 dispone l’elargizione di “una somma di denaro a titolo di contributo al ristoro del danno patrimoniale subito, nei limiti e alle condizioni stabiliti” dalla medesima legge.
Le lesioni personali assumono, pertanto, rilevanza, ai sensi dell’art. 10 della citata legge n. 44/99, comma 1, lettera b), come eventi idonei a determinare “un mancato guadagno inerente all’attività esercitata”.
La valutazione del danno subito, ove il lucro cessante non possa essere precisamente quantificato, si fonda su un equo apprezzamento delle circostanze, dovendo l’Amministrazione verificare l’entità delle conseguenze economiche sfavorevoli provocate dalle azioni criminali poste in essere nei casi specifici.
I criteri direttivi, da seguire nella fase istruttoria relativa all’accertamento sanitario, curata dalle Prefetture, sono stati stabiliti con circolare del Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura n.1011/BE del 7 luglio 2009.
Tale direttiva è finalizzata a garantire l’uniformità di indirizzo, nella procedura istruttoria finalizzata alla verifica dei presupposti ed alla quantificazione del beneficio da concedere, con particolare riguardo anche alla precisa determinazione della diminuzione della capacità lavorativa conseguente all’invalidità riportata, secondo i criteri della disciplina in materia.
Il Comitato di solidarietà per le vittime di estorsione e di usura, competente all’adozione delle deliberazioni concessive dell’elargizione e del mutuo, pur nella consapevolezza dell’importanza del ristoro del danno da lesioni personali, ha prestato la massima attenzione alla documentazione acquisita di volta in volta, per le singole istanze, non mancando di svolgere i necessari approfondimenti, a salvaguardia dell’integrità del Fondo.
In merito a rilevanti difformità di valutazione, per patologie analoghe, da parte di alcune Commissioni Mediche Ospedaliere, emerse in Comitato, è stato acquisito, nel febbraio 2013, il parere dell’Avvocatura Generale dello Stato, specificamente interessata, in materia di accertamento sanitario per il ristoro del danno da lesioni personali.
Le questioni poste dal Commissario pro tempore riguardavano, principalmente, approfondimenti di natura giuridica e tecnica deliberati dal Comitato nel corso del 2012, rispetto a difformità di valutazione riscontrate nei verbali di alcune C.M.O..
In particolare, era stato richiesto l’avviso dell’Avvocatura sulla correttezza dell’orientamento del Comitato, secondo il quale le C.M.O., in sede di accertamento della diminuzione della capacità lavorativa causalmente riconducibile ad attività estorsive, devono utilizzare i criteri medico-legali per la valutazione dell’invalidità permanente fissati dall’art. 3 del D.P.R. n. 181/2009 (recante il regolamento in materia di accertamento e determinazione dell’invalidità e del danno biologico e morale a carico delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice).
L’orientamento è stato ritenuto condivisibile, in coerenza con l’avviso espresso dalla stessa Avvocatura Generale dello Stato, sulla possibilità di estendere l’applicabilità della disciplina dettata dalla legge n. 302/1990 (e successive modificazioni e integrazioni) all’accertamento sanitario nei confronti delle vittime del racket e dell’usura che abbiano subito lesioni personali.
Tale assunto non è stato ritenuto “incompatibile con la specialità della normativa in materia di provvidenze in favore delle vittime di attività estorsive, dal momento che l’art. 12 del D.P.R. n.455/1999 (recante il regolamento concernente il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura)- ora art. 22 del D.P.R. n. 60/2014– regola esclusivamente il profilo procedurale dell’accertamento del nesso di causalità tra il fatto delittuoso e l’evento lesivo”.
L’Avvocatura Generale ha, altresì, manifestato condivisione sulla “necessità che le C.M.O. non si limitino a riferirsi all’art.5 del D.P.R. n. 243/2006” (regolamento concernente le provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo), “ma tengano conto anche delle modifiche e integrazioni apportate a tale fonte regolamentare dal D.P.R. n. 181/2009 (alla stregua di quanto risulta dalle premesse del regolamento stesso)”.
Il richiamo al D.P.R. n. 181/2009 ha favorevoli risvolti, in quanto l’art.3 consente il confronto delle tabelle stabilite per l’invalidità civile con quelle previste per le pensioni di guerra, con la conseguente scelta del valore più favorevole al richiedente.
Concorde avviso è stato espresso dall’Avvocatura anche riguardo alla non ristorabilità “del danno morale, inteso quale pregiudizio non patrimoniale subito dalle vittime del racket e dell’usura, ristorabilità che deve essere esclusa proprio in considerazione della specialità della disciplina dettata dalla legge n.44/1999”.
L’Avvocatura ha inoltre chiarito che “l’art.1 della citata legge, infatti, non dà adito al benché minimo dubbio ermeneutico, prevedendo che i benefici a favore di tali vittime costituiscono un contributo al ristoro del danno patrimoniale. Stante la specialità della disciplina in questione non appare ermeneuticamente corretto ritenere che possa essere ristorato anche il danno morale riconducibile ad attività estorsive”.
In vista delle decisioni dei competenti Uffici della Sanità Militare – pure interessati dal Commissario pro-tempore– si è ravvisata l’esigenza, nell’intento di sostenerne sotto il profilo giuridico le determinazioni, di segnalare lo specifico parere dell’Avvocatura Generale.
 Il Comitato, tenuto conto della necessità di dover pervenire alla definizione delle considerevoli difformità di valutazione delle percentuali di invalidità riconosciute da alcune C.M.O., rispetto alla generalità delle Commissioni, ha ritenuto di dover responsabilmente acquisire (ai sensi dell’art. 190, comma 3, lett. c), del Codice dell’Ordinamento Militare) l’autorevole parere del Collegio Medico Legale nella prospettiva di una equa risoluzione della vicenda.
Al riguardo, il citato Collegio, nel segnalare l’elaborazione di linee guida per taluni aspetti clinico-diagnostici, ha segnalato la possibilità di richiedere, anche in via di autotutela, il riesame delle valutazioni direttamente alle rispettive C.M.O.
Pertanto, sulla base del parere dell’Avvocatura Generale dello Stato e di quanto riferito dal Collegio Medico Legale, il Comitato, ha disposto di sottoporre alcuni casi ad un nuovo giudizio sanitario delle C.M.O., deliberando, in altri, la concessione dei benefici economici ovvero le rispettive quantificazioni da parte delle Prefetture, laddove non ancora effettuate.
Nel dicembre 2013, infine, l’Ispettorato Generale della Sanità Militare, confermando per le vittime dell’estorsione e dell’usura l’applicabilità dei criteri medico-legali fissati dal D.P.R. n. 181/2009, secondo l’avviso dell’Avvocatura Generale dello Stato, ha diramato univoche linee di indirizzo, successivamente confermate, alle competenti Commissioni Mediche Ospedaliere, operanti sul territorio nazionale, allo scopo di uniformare i parametri di riferimento per gli accertamenti di competenza e l’elaborazione dei relativi giudizi, anche per le vittime del dovere, della criminalità organizzata, del terrorismo e delle stragi di tale matrice. Per l’approfondimento della materia, consigliamo il volume La difesa del cliente dalle pratiche bancarie scorrette – Il sistema del credito, le pratiche commerciali e le procedure di risoluzione

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2. Necessità dell’esplicito giudizio medico-legale dell’incidenza dell’invalidità sulla capacità lavorativa, per il ristoro del danno da lesioni personali


La valutazione medico-legale espressa dalle competenti Commissioni Mediche Ospedaliere deve necessariamente contenere la precisa determinazione della diminuzione della capacità lavorativa conseguente all’invalidità riportata, secondo i criteri della vigente normativa in materia.
In tal senso si è espresso il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), nella sentenza n.10946, pubblicata il 14/12/2022, favorevole all’Amministrazione.
Con tale pronuncia, è stato respinto il ricorso avverso la sentenza del Tar Veneto, in quanto non sono stati “condivisi i rilievi articolati avverso l’ulteriore statuizione reiettiva, che ha ravvisato la legittimità del diniego opposto alla richiesta risarcitoria sulla premessa della insussistenza di una pregiudizievole incidenza delle infermità accertate sulla specifica capacità reddituale dell’appellante”.
Nel caso di specie, pur in presenza di lesioni personali permanenti per “disturbo post-traumatico da stress con umore depresso” quantificabile nella misura del 30%, in nesso causale con le richieste estorsive, l’invalidità riscontrata non aveva determinato una diminuzione della capacità lavorativa del richiedente.
Peraltro, a seguito delle integrazioni istruttorie operate, il competente Dipartimento Militare di Medicina legale, confermava la percentuale di invalidità permanente nella misura del 30%, ribadendo il proprio giudizio finale e cioè che non era stata accertata, in ragione della sintomatologia propria dell’affezione in rilievo, una reale compromissione permanente della capacità del soggetto a produrre reddito con riferimento alle attività da lui esercitata all’epoca e, più in generale, in analoghe attività confacenti alle attitudini del soggetto.
Il Consiglio di Stato ha affermato che, al riguardo, non rilevano le doglianze secondo cui nella disciplina di settore l’elargizione in argomento spetterebbe ogni qualvolta sia accertata una lesione come conseguenza di richieste estorsive e, dunque, indipendentemente dall’accertamento di una diminuzione della capacità lavorativa.
E, infatti, contrariamente a quanto dedotto dall’appellante, il procedimento di riesame si è svolto nel solco delle coordinate tracciate dal precedente giudicato, in cui risultava, viceversa, definita la questione.
Nella citata sentenza, viene richiamata più volte la precedente sentenza della medesima Sezione del 4 luglio 2011, n. 3995, nella quale si affermava che <<è ben vero che all’accertamento di una determinata percentuale di invalidità può non corrispondere una analoga percentuale di diminuzione di capacità lavorativa, e addirittura può anche non corrispondere alcuna diminuzione, trattandosi di valutazioni del tutto distinte e autonome. Non vi è dubbio però che il giudizio con il quale la commissione medica ospedaliera ha escluso ogni menomazione della capacità lavorativa del soggetto, dopo aver riscontrato una invalidità del 30% avrebbe richiesto una adeguata motivazione come, correttamente rilevato nella sentenza appellata, risultando altrimenti incomprensibile l’affermata insussistenza di una “reale compromissione della capacità reddituale”>>.
Il compito, dunque, rimesso all’Amministrazione si esauriva solo nell’approfondire il rapporto di incidenza tra le lesioni accertate e la capacità reddituale, rimanendo, dunque, definitivamente acclarato che i due termini si ponessero in rapporto di necessaria implicazione, tanto che tale rapporto di necessario collegamento non poteva essere più rivisto e modificato in termini di autonomia, a ciò ostando il pregresso giudicato.
Nemmeno poteva essere modificato il giudizio di merito svolto dall’apposita Commissione, e recepito nel decreto commissariale, sulla base delle deduzioni dell’appellante.
E ciò in quanto, a fronte di un articolato giudizio espresso a seguito di una puntuale disamina della sintomatologica connessa all’infermità accertata, l’appellante si era limitato a ribadire, con inaccettabile pretesa di automaticità, la sussistenza della perdita della capacità lavorativa sulla base dell’elevata percentuale di invalidità permanente riscontrata.
In tal modo, però, non venivano indicati – né comunque risultavano – profili di illogicità o irragionevolezza ovvero errori di fatto idonei a inficiare il giudizio reso dalla commissione, che valgono a segnare i limiti di sindacato del giudice amministrativo.
E ciò soprattutto in considerazione dello stesso principio evincibile dal pregresso giudicato in cui, negandosi ogni forma di automatismo, era stato appunto evidenziato che “all’accertamento di una determinata percentuale di invalidità può non corrispondere una analoga percentuale di diminuzione di capacità lavorativa, e addirittura può anche non corrispondere alcuna diminuzione, trattandosi di valutazioni del tutto distinte e autonome”.

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3. Spettanza del beneficio anche nelle ipotesi di riduzione della capacità lavorativa accertata in misura minima


Il TAR per il Piemonte– Sezione Prima – con sentenza n. 623, pubblicata il 5 luglio 2022, ha accolto il ricorso e annullato il decreto commissariale impugnato, con il quale era stato negato il ristoro del danno da lesioni personali, in quanto l’invalidità permanente, riconosciuta nella percentuale del 4%, non era significativamente incidente sulla capacità lavorativa del richiedente, secondo quanto stabilito dalla competente Commissione Medica Ospedaliera.
Il giudizio sanitario, reso ai sensi dell’art.22 del D.P.R.n.60/2014, era stato confermato a seguito di apposita richiesta di riesame da parte della Prefettura ed anche in esito ad un’ulteriore domanda di chiarimenti dello stesso Ufficio, la C.M.O. aveva specificato che l’incidenza dell’invalidità riscontrata sulla capacità lavorativa non assumeva rilevanza.
Il ricorrente aveva eccepito che la normativa non richiede, quale presupposto di accesso al beneficio, la sensibile riduzione della capacità lavorativa e comunque la Commissione Medica sarebbe incorsa in errore nel ritenere che un’invalidità permanente del 4% non incida “significativamente” sulla capacità lavorativa.
Il TAR ha affermato che la normativa “richiede, quale presupposto per il conseguimento del beneficio, l’accertamento di un’invalidità che comporti una riduzione della capacità lavorativa, essa comunque non pone alcuna soglia al di sotto della quale tale diminuzione, pur sussistente, risulti irrilevante: in altre parole, la normativa esige che vi sia una riduzione della capacità lavorativa, ma non che questa sia “significativa” (com’è dimostrato dal fatto che non sono indicati i criteri per accertare se lo sia o meno)”.
L’adito Giudice ha poi sottolineato che la percentuale d’invalidità permanente riconosciuta è necessariamente riferita, secondo i criteri stabiliti dalla vigente disciplina in materia, anche alla menomazione della capacità lavorativa, in merito alla quale la normativa non richiede il raggiungimento di una misura minima o comunque “significativa”, ritenendo pertanto fondate le argomentazioni addotte dalla parte attrice.



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