Montagna, l’occasione Pnrr dei Comuni in quota. Strategia di restanza

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Comuni di montagna hanno aggiudicato, in valore, il 75,1% dei bandi Pnrr pubblicati.

Percentuale superiore a quella raggiunta dalle amministrazioni non montane, al 74,3%. La gran parte dei finanziamenti, il 30,9%, è destinata a Rivoluzione verde e transizione ecologica. Tra gli interventi del Pnrr con Comuni attuatori, 18.114 sono in capo alle amministrazioni in quota per quasi 4 miliardi (11.839 i bandi pubblicati). E già questi primi numeri – elaborati da Ifel-Fondazione Anci – portano ad alcune riflessioni. Intanto dicono – ricostruiscono le analisi – che modalità di accesso semplificate hanno consentito ai piccoli Comuni, pur con pochissimi dipendenti, di attingere alle risorse. E poi raccontano che la gran mole di progetti, oltre 15mila, l’83,3%, è sulla digitalizzazione. Firma digitale, cloud, indirizzi di posta elettronica con un dominio proprio del Comune. Un’operazione capillare anti digital divide. A cui si aggiungono i progetti per istruzione e ricerca, per oltre un miliardo di euro, l’inclusione e la coesione per più di 651 milioni, rivoluzione verde e transizione ecologica per quasi 1,2 miliardi.

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LA VIA DELLA CRESCITA

Gli investimenti sulla via di una strategia di restanza. La montagna alla ricerca di una crescita strutturale. L’ottica del valore aggiunto. Anche sul Pil. «Il contributo medio dei territori montani al Pil è stimato al 44,6%», ricostruisce il Libro bianco sulla montagna. Una «sovrastima» però secondo lo stesso rapporto, promosso dal Dipartimento per gli Affari regionali e le Autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri e realizzato, con il coordinamento della professoressa Anna Giorgi, da Unimont-polo alpino dell’Università degli Studi di Milano, con la collaborazione di Ifel. Volume edito da Rubbettino, che a sua volta ha una storia in quota da raccontare: gruppo nato nel 1972 a Soveria Mannelli, 3.500 abitanti a 800 metri sul livello del mare, sull’Appennino calabrese. «Il Pil generato dai territori montani corrisponde a poco meno del 50% prendendo a riferimento la perimetrazione definita da Eurostat, che è quella legale, che si ferma però alle province definendone “montane” 63, per il 67,2% del territorio – spiega Anna Giorgi – Definire il territorio montano è il tema di fondo, inserito nel ddl Montagna approvato in Senato e che avrà ora il passaggio alla Camera. Il primo criterio riguarda quota e pendenza. In quest’ottica, la perimetrazione di Istat, riferita alla zona altimetrica, ci consente di dire che i Comuni montani sono 2.487, il 35,2% della superficie nazionale, il 12% della popolazione». E da qui si parte per dare contenuti all’economia di montagna. Negli ultimi dieci anni la popolazione residente nei Comuni montani è scesa del 5% contro l’1,3 dei territori non montani. Nel Paese, il 70% dei Comuni ha meno di 5mila abitanti, in montagna si arriva al 90,1%. Nel 2022, il tasso di incremento naturale (differenza nascite/decessi ogni mille abitanti) è -6,72, negli altri Comuni è -4,88. L’indice di invecchiamento era il 25,7%, altrove il 23,5. Il reddito medio è di 24.868 euro per contribuente, in quelli non montani 26.611. Il reddito in montagna, in media, è inferiore del 6,5%. Nel 2021 si contavano 0,43 posti letto per mille abitanti nelle strutture ospedaliere, rispetto ai 3,48 dei territori non montani. Il tasso di disoccupazione era però dell’8%, contro il 9,4. Più alta la crescita 2013-2023 delle imprese femminili (+23,6% contro 22,7) e giovanili (8,8 contro 8,3). L’agricoltura è la prima specializzazione economica.

Nell’estrazione di minerali da cave e miniere, le imprese in quota sono il 23,3% del totale settore, così come quelle relative alla fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata sono il 24,1%. A fine giugno 2023 le imprese tra accoglienza, ristorazione e intrattenimento sono poco meno di 66mila ed erano 63mila nel 2013 (+4%). Nel terziario avanzato sono 64.500 (+20,6). Il 51% dei territori montani è turistico, il 27% per quelli non montani. Nel 2021, l’incidenza di seconde case era il 44,6%, altrove è il 23,7%. Dalle tendenze allo scenario, ora. «Serve un osservatorio specifico, soprattutto con riferimento al cambiamento climatico e a quello socioeconomico – riepiloga Anna Giorgi – Le montagne possono essere laboratorio e periferie competitive. Il Libro bianco mostra come il calo demografico sia correlato a due fattori: la presenza di opportunità di lavoro, che devono essere qualificate, anche per trattenere i giovani, e condizioni minime di permanenza, i servizi». Cambio di passo. Proprio Unimont, a Edolo, ha lanciato il Master di Primo Livello in Project management per la montagna (iscrizioni fino al 17 febbraio), con 16 borse di studio a copertura totale dei costi. Tappa in Trentino Alto Adige, ora, dove il reddito imponibile è più elevato della media nazionale (26.390 euro) e nel 2021 c’era, per esempio, il tasso più alto di occupazione giovanile (32,7%). La popolazione cresce del 3,5%. «Una regione totalmente montana che va bene in tutti gli indicatori – sottolinea Giorgi – in cui si investe in capitale umano e innovazione, si generano posti di lavoro qualificati che attraggono giovani anche dall’estero. Un modello che ci dice intanto che le montagne non sono un limite, sono un brand: la carta da giocare è la diversità. La risorsa principale è l’ambiente, va utilizzato per fare economia, anche con il turismo, ma non va degradato».

Anna Giorgi, responsabile di Unimont

EFFETTO SCI

L’Italia è terzo Paese europeo per fatturato e giornate di sci e quinto al mondo con 1,3 miliardi di euro di fatturato degli impianti funiviari e circa 8 di indotto. Dalle Dolomiti alla Valle d’Aosta, la stagione è partita con l’aumento delle presenze anche straniere. Un’indagine commissionata dall’Associazione esercenti funiviari a PWC calcola che ogni euro investito nel settore genera un indotto pari a circa sette volte. «L’impianto ti porta dove a piedi non arriveresti e questo fa il traino della località – spiega Valeria Ghezzi, presidente Anef – Con gli impianti tutto inizia a funzionare: scuole di sci, noleggio ma anche ristoranti, negozi e hotel pure per le persone che non sciano, e sono sempre di più a salire». Si è allungata la stagione estiva. «Tanti di noi chiudono a metà ottobre, qualcuno a novembre. E se riusciamo ad aprire gli impianti otto/dieci mesi, riusciamo ad assumere persone per tutto l’anno». Quasi un paradosso, in quota, il cambiamento climatico. Ma parola d’ordine è rispetto, pure per scongiurare l’overtourism in luoghi così fragili. Recente il caso di “invasione” a Roccaraso: «Un boomerang», rimarca Ghezzi. In ottica di rispetto vanno anche gli investimenti. «La tecnologia avanzata è molto amica della sostenibilità, consentendo di risparmiare corrente, acqua, evitare il minimo spreco, effettuare gli interventi tecnici da remoto».

 Valeria Ghezzi, presidente di Anef

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