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Il mercato del vino è in una fase di trasformazione: calo dei volumi, aumento del valore e necessità di un’offerta più autentica. Durante la fiera Hospitality, esperti del settore hanno sottolineato l’importanza della coerenza produttiva e della vocazionalità territoriale. Il futuro del vino italiano passa attraverso la qualità, la promozione mirata e strategie per intercettare il trend della premiumizzazione.

Mercoledì 5 febbraio, nell’ambito della Fiera Hospitality a Riva del Garda (Trento), si è tenuto un interessante incontro dedicato al tema dell’enoturismo di cui a breve vi daremo ampia cronaca e commenti.

Durante l’incontro Maurizio Rossini, CEO di Trentino Marketing, la società responsabile in particolare della promozione del turismo della provincia trentina, ha affermato una cosa che condivido pienamente e che deve far riflettere profondamente anche il nostro settore vitivinicolo.

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“Noi del marketing – ha detto Rossini – ci siamo formati e cresciuti con l’idea che il nostro compito principale (e spesso unico) fosse quello di sensibilizzare, stimolare la domanda dei consumatori nei confronti dei nostri prodotti e servizi. Le complesse dinamiche attuali dei mercati, la grande segmentazione dei consumatori con le loro svariate tendenze e fabbisogni ci stanno facendo capire che oggi prima di pensare a sensibilizzare la domanda è necessario riflettere se abbiamo un’offerta realmente appetibile. Non c’è dubbio, infatti, che oggi pur in presenza di una fase economica e sociale difficile, funzionano quei prodotti e servizi coerenti ai fabbisogni attuali, ma anche autentici e che rispettano concretamente le promesse che fanno”.

“Quindi – ha proseguito Rossini, riferendosi al territorio del Trentino – prima di immaginare azioni di promozione per l’enoturismo della nostra provincia domandiamoci quanto la nostra offerta di accoglienza sia all’altezza delle aspettative”.

La stessa domanda che pone Rossini al sistema enoturistico trentino ritengo debba porsela anche il nostro settore produttivo nel suo complesso.

Continuare a dare per scontato che tutti abbiano prodotti “all’altezza” del mercato attuale, coerenti alle aspettative dei consumatori, in linea con le tendenze di oggi e del prossimo futuro è estremamente sbagliato e pericoloso.

E in questa direzione di aiuto viene anche un’altra interessante osservazione emersa durante l’incontro di Riva del Garda da parte di Lorenzo Cesconi, presidente della Federazione italiana vignaioli indipendenti, nonché noto produttore di vino trentino: “Per poter garantire vini interessanti e coerenti ai mercati attuali – ha sottolineato Cesconi – dobbiamo rispettare seriamente la vocazionalità reale dei nostri territori. E invece, purtroppo, abbiamo rinchiuso troppo spesso nei cassetti gli studi di zonazione che ci spiegavano bene quali varietà ben si adattavano ai nostri territori produttivi, inseguendo in maniera dissennata qualsiasi tendenza di mercato e pregiudicando così la nostra reale identità e di conseguenza la credibilità agli occhi dei consumatori”.

Ed è proprio quanto evidenziato da Cesconi che ha portato anche molti piccoli produttori del nostro Paese ad allargare il proprio portfolio prodotti in una serie esagerata di etichette, ad una scelta varietale che frequentemente ha rinnegato la reale vocazionalità del proprio sito produttivo.

L’ho scritto più volte e non vorrei apparire ripetitivo, ma considero questo aspetto determinante per la credibilità attuale e del futuro della nostra offerta vitienologica che senza una seria coerenza produttiva, senza un autentico legame territoriale, senza un concreto rispetto ad una vocazionalità territoriale, rischia di perdere reputazione, posizionamento e in definitiva competitività commerciale.

Per questa ragione domandarsi quale è oggi il livello di adeguatezza delle nostre denominazioni, dei vini delle nostre imprese non è un esercizio superfluo, ma basilare per costruire progetti di promozione e sensibilizzazione della domanda concretamente efficaci.

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E a proposito di promozione del made in Italy vitienologico, in questi giorni sto leggendo numerose previsioni sullo sviluppo dei mercati del vino nel prossimo quinquennio.

Si può affermare che tutti, o quasi, concordano sul fatto che da qui al 2030 vedremo un calo complessivo dei consumi di vino in termini di volumi tra il 5 e il 10% (nei 5 anni) e un aumento del valore tra il 2 e il 5%.

Non vorrei essere nei panni di queste società di analisi dei mercati che in questa fase si trovano nella difficile situazione di fare previsioni in un clima di grande instabilità e imprevedibilità.

Ed è proprio in situazioni di questo genere che diventa fondamentale riuscire ad individuare alcuni punti fermi nei mercati del vino e comprendere come le nostre imprese vitivinicole possono rimanere competitive in un periodo così complesso.

Quali sono allora i fattori che oggi sembrano definiti e prevedibili anche in prospettiva? Innanzitutto il processo di premiumizzazione dei mercati, pur con alcune differenziazioni in taluni mercati, complessivamente non si arresterà anche nel prossimo futuro.

E il fatto che tutti concordino sull’aumento del valore del vino sui mercati internazionali nel prossimo quinquennio, pur in presenza di una possibile diminuzione dei volumi, conferma questo fattore.

Leggi anche: La nuova tendenza dei locali italiani: bevande premium e un’attenzione alla qualità

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Ma se quest’ultimo elemento lo consideriamo assodato quali devono essere le azioni che devono intraprendere le imprese ma anche le denominazioni nel loro complesso per intercettare questa tendenza del “bere meno ma meglio”?

A mio parere questa è una domanda chiave alla quale non sempre il nostro sistema vitivinicolo è riuscito a rispondere al meglio in questi ultimi anni anche se, indubbiamente, il valore del vino italiano è cresciuto in questi ultimi quindici anni.

Spesso ho la sensazione che la maggioranza degli operatori del settore, nelle diverse categorie e tipologie, sia oggi più orientato ad una strategia di riduzione, di eliminazione invece di pensare anche ad azioni di rilancio, di promozione, di valorizzazione. Ma anche sempre spesso ho la percezione che tutti pensano di avere già fatto il massimo nella qualificazione della propria produzione.

Se l’unica risposta è quella di avere un centinaio di grandi gruppi produttori e decine di migliaia di ettari in meno, ritengo che sarebbe non solo un fallimento del nostro sistema ma anche una pericolosissima scorciatoia che negherebbe tout court gran parte dei tanti valori del vino italiano.

Leggi anche: Il trend della premiumizzazione guida la crescita del settore beverage


Punti chiave

  1. Il mercato del vino si muove verso la premiumizzazione: meno volumi, maggiore valore.
  2. L’autenticità dell’offerta è essenziale per conquistare i consumatori e garantire credibilità.
  3. L’Italia ha margini di crescita nella percezione del valore rispetto alla Francia.
  4. La vocazionalità territoriale è spesso trascurata, compromettendo identità e posizionamento.
  5. Strategia vincente: migliorare l’offerta anziché puntare solo sulla riduzione dei costi.



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