“Il Green deal ha affossato l’industria: ci adegueremo ai diktat degli Usa”
“Inutile chiedere a Draghi perché non siamo più competitivi. Il Green Deal ha messo al tappeto l’industria europea, auto in primis”. Così Andrea Taschini, esperto del settore automotive con esperienze in aziende come Bosch e Brembo, commenta con Affaritaliani.it il passo indietro di Bruxelles.
L’Unione ci ripensa: non più solo auto elettriche dopo il 2035, e dopo anni di promesse sul divieto di veicoli a benzina e diesel, valuta di riaprire il mercato alle ibride plug-in. Ma è davvero una correzione di rotta sensata o l’ennesima mossa tardiva per cercare di rimanere competitivi?
L’Unione europea sarebbe intenzionata a fare un passo indietro, come si spiega questa inattesa apertura?
Le decisioni sul settore auto e, più in generale, sul Green Deal europeo, non sono dettate da questioni scientifiche, ma rispondono a un disegno politico. È ormai evidente che il Green Deal stia penalizzando l’Europa sotto il profilo industriale, e che i target fissati dall’Ue siano obiettivi troppo ambiziosi e suicidi per il settore automobilistico, dalle sanzioni fino all’interdizione dei motori endotermici nel 2035.
Oggi, il contesto globale è profondamente cambiato: negli Stati Uniti non c’è più Biden, ma Trump, e in Europa si è assistito a un netto spostamento verso destra. Resta solo da capire quale sarà l’esito delle elezioni in Germania, che potrebbero segnare un ulteriore orientamento verso il centro-destra.
Quali sono le motivazioni che spingono a una possibile deroga per le auto ibride?
La Commissione Ue si trova schiacciata tra diversi fattori: gli Stati Uniti, il movimento verso destra, e l’insostenibilità economica e industriale del Green Deal, in particolare per il settore auto. L’Europa sta cercando, in tutti i modi, di trovare una via dignitosa per salvarsi la faccia. Assisteremo quindi a progressive concessioni nella direzione dell’abolizione del Green Deal, e questo non è altro che il secondo passo.
Non dimentichiamo che il primo è stato fatto con i e-fuel, a cui seguiranno probabilmente i biocarburanti. Ora si comincia a dire di si alle plug-in, anche perchè ammettere queste e poi vietare le ibride è un controsenso. Pertanto, è probabile che si arriverà alla conclusione che i motori endotermici moderni, sia oggi che tra dieci anni, saranno estremamente puliti. Dal mio punto di vista, si arriverà a una soluzione che consentirà l’uso di motori endotermici, probabilmente con un mix di idrocarburi e biocarburanti.
Questo cambio di rotta può davvero essere considerato un buon compromesso, alla luce dell’attuale situazione geopolitica?
Trump dice alla gente di comprare le auto che preferiscono, e questo è un messaggio chiaro: l’Europa non può separare la propria industria da quella americana e legarla a quella cinese, sia per motivi oggettivi che geopolitici. Quindi, inevitabilmente, ci adegueremo ai diktat degli Stati Uniti, che hanno già indicato la direzione in cui vogliono andare. Inoltre, bisogna considerare che gli stessi automobilisti non vogliono e non comprano auto elettriche. Non si tratta solo di una questione geopolitica o industriale; tolti i paesi del Nord Europa, il resto dell’Europa è sotto il 20% di diffusione di veicoli elettrici.
Perché non si vendono auto elettriche?
Ci sono diversi fattori in gioco. Prima di tutto, c’è la scomodità d’uso, che è abbastanza evidente. Poi c’è il problema dell’autonomia: le auto elettriche percorrono molti meno chilometri rispetto a quelle diesel. Non è un caso che Stellantis stia ancora puntando sullo sviluppo dei motori diesel. A ciò si aggiunge un fattore di percezione: l’auto elettrica è vista da molti come un’auto cinese, questo influisce molto sul marketing, acquistare un’auto cinese viene spesso percepito come un downgrade sociale.
Si stima che in Europa solo il 20-25% delle auto saranno elettriche, e saranno principalmente citycar, piccole, con bassa autonomia e basso costo, tutte prodotte in Cina. In Europa non produrremo auto elettriche, perché non è economicamente sostenibile.
Ma quindi, in che modo la Commissione potrebbe bilanciare gli interessi economici dell’industria con gli obiettivi di decarbonizzazione fissati per il 2035?
Ma la verità è che l’Europa è già fortemente decarbonizzata: il Vecchio Continente emette solo il 7% delle emissioni mondiali lorde, e solo il 4-5% di quelle nette, e questo ci rende praticamente irrilevanti a livello globale. Anche se domani azzerassimo completamente le nostre emissioni, non cambierebbe nulla per il clima.
Considerando che Cina e India continuano a incrementare le proprio emissioni, e che gli Stati Uniti non sembrano preoccuparsene, noi saremmo i Don Chisciotte della situazione, impegnati in una lotta inutile contro i mulini a vento. Siamo già troppo decarbonizzati e, di conseguenza, l’industria europea non è più competitiva, avendo superato i limiti di ciò che sarebbe stato economicamente sostenibile. La crisi dell’industria europea, in confronto a quella cinese e americana, è principalmente il risultato del Green Deal, che ha minato la competitività.
Non c’è bisogno di cercare un compromesso tra Green Deal, ambiente e industria: bisogna lasciare che l’industria faccia il suo corso. Quante volte l’Europa ha preso decisioni senza rendersi conto che stava distruggendo il proprio tessuto industriale? E non serve chiedere a Draghi perché non siamo più competitivi. Le risposte sono semplici: troppa burocrazia, troppi privilegi e un Green Deal suicida.
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