Enorme getto radio nell’universo giovane – MEDIA INAF

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I getti radio sono eiezioni di materia ed energia che brillano intensamente alle frequenze delle onde radio. Prodotti come conseguenza dall’accrescimento del titanico buco nero supermassiccio presente nel cuore di luminosi nuclei galattici chiamati quasar, nell’universo locale – cioè le regioni a noi più vicine – questi getti radio sono abbastanza comuni, ma nell’universo lontano e primordiale sono rimasti finora sfuggenti. Finora, appunto.

Una collaborazione internazionale di ricercatori ha infatti ora individuato un getto radio prodotto agli albori dell’universo. E non un getto radio qualsiasi: un getto radio da record. Che si tratti di qualcosa di straordinario lo si intuisce già dal titolo dell’articolo che descrive la scoperta, accettato per la pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal Letters e disponibile come preprint su ArXiv: “Monster radio jet (>66 kpc) observed in quasar at z∼5”. Quel maggiore di 66 kiloparsec ci dice che il getto in questione si estende per almeno 200mila anni luce, il doppio della larghezza della nostra galassia, la Via Lattea, ma è probabile che la dimensione fisica del getto si estenda ben oltre questo valore. Il valore z∼5 – che è il redshift della sorgente, cioè il parametro che gli astrofisici usano per quantificare la distanza delle galassie più remote – ci dice invece che le sue onde radio osservate qui sulla Terra oggi hanno impiegato 12,5 miliardi di anni per raggiungerci: detto altrimenti, sono state emesse quando l’universo aveva solo un miliardo di anni. Si tratta, spiegano i ricercatori, del getto più esteso che sia mai stato osservato a redshift superiori a 4.

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Illustrazione artistica che mostra il più grande getto radio osservato nell’universo primordiale. Identificato per la prima volta utilizzando il telescopio internazionale Low Frequency Array (Lofar ), osservazioni di follow-up con il Gemini Near-Infrared Spectrograph (GNirs) e nell’ottico con l’Hobby Eberly Telescope, hanno permesso di dipingere un quadro completo del getto stesso e del quasar che lo produce: J1601+3102. Crediti: NoirLab/Nsf/Aura/M. Garlick

A produrre il mostruoso getto bilobato è stato J1601+3102. Si tratta di un quasar “radio loud” –ovvero, un forte emettitore di onde radio –  scoperto nel 2022 analizzando i dati ottenuti in modalità Vlbi dai radiotelescopi del Low Frequency Array (Lofar), una rete di radiotelescopi europea.

Grazie a nuove osservazioni con la stessa rete di telescopi e a osservazioni di follow-up nel vicino infrarosso con il Gemini Near-Infrared Spectrograph (Gnirs) e nell’ottico con l’Hobby Eberly Telescope (Het), i ricercatori non solo hanno scoperto il getto, ma hanno anche tracciato un quadro completo del getto stesso e del quasar che lo emette.

«Stavamo cercando quasar con forti getti radio nell’universo primordiale, il che ci aiuta a capire come e quando si formano i primi getti e come essi influenzano l’evoluzione delle galassie», dice Anniek Gloudemans, ricercatrice presso il NoirLab e prima autrice dell’articolo che presenta i risultati di ricerca. «È solo grazie al fatto che questo oggetto è così estremo che possiamo osservarlo dalla Terra. «Questo quasar mostra cosa possiamo scoprire combinando la potenza di più telescopi che operano a diverse lunghezze d’onda».

Le immagini Lofar di J1601+3102 mostrano una struttura del getto radio estesa, che include un lobo radio settentrionale, un lobo radio meridionale e un nucleo. Il lobo settentrionale si estende per 9 kiloparsec (circa 29mila anni luce). Il lobo meridionale dista invece 57 kiloparsec (circa 185mila anni luce) dal quasar. Oltre a essere sei volte più vicino al nucleo del quasar, il lobo settentrionale è cinque volte più luminoso. Ciò, spiegano i ricercatori, suggerisce che esso sia potenzialmente illuminato dall’interazione estrema con il mezzo interstellare circostante.

Quanto al quasar che l’ha emesso, determinare le proprietà di questi oggetti – come massa e velocità con cui consumano materia – è necessario per comprendere la storia della loro formazione ed evoluzione. Per misurare questi parametri, il team ha cercato negli spettri di emissione della sorgente una specifica lunghezza d’onda della luce. Gli addetti ai lavori la chiamano linea di emissione larga del magnesio II. Normalmente, questo segnale appare nell’intervallo di lunghezza d’onda della luce ultravioletta. Tuttavia, a causa dell’espansione dell’universo, che fa sì che la luce emessa dal quasar venga “allungata” a lunghezze d’onda maggiori, il segnale del magnesio II arriva sulla Terra nell’intervallo di lunghezza d’onda del vicino infrarosso, dove è rilevabile con lo spettrografo Gnirs. Individuata questa caratteristica spettrale, i ricercatori hanno derivato le proprietà del buco nero di J1601+3102, stimandone la massa e la velocità di accrescimento, e successivamente la potenza del getto. Secondo i calcoli dei ricercatori, il buco nero di J1601+3102 avrebbe una massa pari a quella di 450 milioni di soli. Considerato che i quasar possono avere masse miliardi di volte maggiori di quella del  Sole, si tratta di una sorgente relativamente piccola. Il suo tasso di accrescimento è pari al 45 per cento del limite di Eddington (la soglia massima di materia che un buco nero può consumare in un periodo di tempo), il che significa che sta ingurgitando materia in maniera efficiente ma non è ancora entrato nel regime alimentare estremo chiamato dagli astronomi “super-Eddington”. Quanto alla potenza del getto osservato, si parla di un valore pari a 8 x 1044 (8 seguito da 44 zeri) erg a secondo, che significa che la luce emessa dal getto è pari a circa il tre per cento della luminosità totale del quasar.

«È interessante notare che il quasar che alimenta questo enorme getto radio non ha una massa estrema rispetto ad altri quasar», dice a questo proposito Gloudemans. «Questo sembra indicare che non è necessario un buco nero eccezionalmente massiccio o un tasso di accrescimento estremamente elevato per generare getti così potenti nell’universo primordiale».

Questo quasar è unico in quanto è il primo individuato nell’universo primordiale ad avere getti radio estesi. Getti rimasti elusivi, concludono i ricercatori, probabilmente a causa del rumore del fondo cosmico a microonde – la radiazione fossile rimasta dal Big Bang – presente quando si osserva ad alto redshift. La conferma spettroscopica di nuovi emettitori forti di onde radio ad alto redshift e osservazioni in modalità Vlbi sono necessarie per rivelare ulteriori getti radio nell’universo primordiale e stabilire vincoli sul tempo di formazione dei primi quasar.

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Per saperne di più:

  • Leggi su arXiv il preprint dell’articolo “Monster radio jet (>66 kpc) observed in quasar at z∼5” di Anniek J. Gloudemans, Frits Sweijen, Leah K. Morabito, Emanuele Paolo Farina, Kenneth J. Duncan, Yuichi Harikane, Huub J. A. Röttgering, Aayush Saxena e Jan-Torge Schindler

 



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