Impresa in Abruzzo tra difficoltà e ripresa: l’indagine del Cresa

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L’Abruzzo chiude il 2024 con 144.289 imprese registrate (2,5% delle imprese italiane), di cui 123.150 attive. La distribuzione provinciale vede in testa Chieti che, con 43.249 registrate, detiene una quota pari al 30% del totale regionale, seguono Pescara (36.392 attività che corrispondono al 5,2%), Teramo (35.286 imprese che rappresentano il 24,5%) e L’Aquila (29.362 attività pari al 20,3%).

Sono i dati riportati dal Cresa, Centro studi dell’agenzia per lo sviluppo dell’Aquila.

Nel 2024 in 25 comuni abruzzesi (8,2%; Italia: 5,9%) non si sono registrate nascite di nuove imprese. Il dato apre la questione della marginalità di ampie aree del territorio, questione che comporta un’attenta analisi della molteplicità di variabili di natura demografica, economica e sociale che sottendono tale fenomeno.

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Per quanto riguarda la distribuzione per settore di attività assai più consistenti della media nazionale
le quote di imprese agricole (17% contro 12%) e manifatturiere (9% contro 8%) e inferiori quelle edili (13% contro 14%), commerciali (22% contro 23%) e di servizi non commerciali (31% contro 36%). Tra le province spicca il terziario a Pescara (60%), l’agricoltura a Chieti (26%), il manifatturiero a Teramo (11%) e l’edile a L’Aquila (17%).

Il saldo tra iscritte e cessate (al netto delle cessazioni d’ufficio) nel corso dell’anno è di -101 unità e il rapporto tra saldo e stock di imprese di inizio periodo si attesta sul -0,07% (era +0,23% l’anno precedente), assai peggiore del +0,62% italiano (+0,70% nel 2023), che posiziona l’Abruzzo al quintultimo posto tra le regioni italiane seguito solo da Piemonte, Molise, Marche e Umbria.

Positivi i tassi di crescita delle registrate a Pescara (+0,28%, +101 attività) e L’Aquila (+0,14%, +41 unità); registrano, al contrario, valori negativi Chieti (-0,44%, -193 imprese) e Teramo (-0,14%, -50 attività). Il risultato deludente mette in luce ancora una volta le difficoltà che accomunano il sistema produttivo nazionale e regionale derivanti principalmente dalle poche aperture.

Nel 2024 l’Abruzzo riporta un tasso di cessazione (escluse quelle d’ufficio) del 4,82% (7.000 imprese) e si colloca a metà della graduatoria delle regioni italiane (Italia: 4,80%), mentre il tasso di iscrizione del 4,75% (6.899 attività) e si classifica al 14° posto. È Chieti a riportare un aumento particolarmente modesto delle iscrizioni (+4,33%; le altre province si attestano intorno al 5%) e, insieme a Pescara e Teramo, registra tassi di cessazione intorno al 5% (L’Aquila: 4,4%). Dalle elaborazioni del Cresa – Centro Studi dell’Agenzia per lo Sviluppo della Camera di Commercio del Gran Sasso – dei dati rilasciati da Infocamere-Movimprese emerge che negli ultimi 15 anni, a fronte di tassi di crescita delle cessazioni tendenzialmente decrescenti e, soprattutto a partire del 2017, migliori dei nazionali, si registrano valori relativi alle iscrizioni peggiori di quelli medi italiani che si attestano intorno al 7% tra il 2010 e il 2012, al 6% nei sette anni successivi e al 5% nel periodo 2020-2024.

Chieti mostra i valori dei tassi di crescita delle iscrizioni più bassi, Pescara i più alti. Se si considerano le variazioni percentuali annue che tengono conto anche delle cancellazioni d’ufficio e delle variazioni si rileva una diminuzione tendenziale a livello regionale dello 0,7% (Italia: -1,3%) determinata dai cali dell’1,5% di Chieti, dello 0,5% dell’Aquila e dello 0,4% di Teramo e Pescara. Non buona la situazione anche nel confronto con il 2019: 4.423 attività in meno (-3%; Italia: -3,5%), 1.701 a Chieti (-3,8%), 1.208 a Pescara (-3,2%), – 733 a L’Aquila (-2,4%) e -781 a Teramo (-2,2%).

Rispetto al 2023 continua a diminuire l’ammontare di aziende registrate operanti in agricoltura (-2,6% pari al -653 unità che si aggiungono alle -486 dell’anno precedente), nel commercio (-1,5% che corrisponde a -503, nel 2023 se ne sono contate -335) e nel manifatturiero (-2,0% che significa -260 attività, nel 2023 erano -105). Aumentano quelle operanti nei servizi non commerciali (+1,2% pari a +524 imprese, +894 nell’anno precedente) e edili (+0,3% che equivale a +64 aziende, +203 nel 2023). Le variazioni percentuali regionali, se si esclude l’agricoltura, sono migliori di quelle nazionali: le manifatturiere e commerciali riportano una flessione del 2% e dell’1,5% migliori nell’ordine el -2,8% e -2,7% italiani, le costruzioni un aumento dello 0,3% contro il -0,9% nazionale e i servizi non commerciali un aumento dell’1,2% migliore dello 0,7% della media del Paese.

L’andamento provinciale rispecchia nelle tendenze quello regionale: più pesanti della media abruzzese le flessioni di Teramo e Chieti in agricoltura (-3%) e di Chieti e Pescara nel manifatturiero (nell’ordine -3% e -2%). Le imprese commerciali mostrano cali di intensità analoga in tutto il territorio, al contrario delle
edili che aumentano a Teramo (+1,9%) e mostrano lievi flessioni nelle altre province. In crescita i servizi non commerciali: L’Aquila e Chieti riportano un incremento dell’1%, Pescara e Teramo del 2%.

Nel complesso si osservano contrazioni del numero di aziende appartenenti ai principali settori manifatturieri inferiori alle nazionali. Fanno eccezione le imprese che fabbricano autoveicoli, rimorchi e semirimorchi che in Abruzzo riportano una flessione del -3,7% più pesante del -2,6% italiano. Al contrario positive, diversamente da quanto si osserva nella media italiana, sono in Abruzzo le variazioni del plateau di imprese metallurgiche (+2,9% contro -2,6%), chimico-farmaceutiche (+0,6%, contro -2,4%) e che producono mezzi di trasporto diversi dagli autoveicoli, rimorchi e semirimorchi (+1,2% contro -2,4%). Al contrario, relativamente ai servizi non commerciali, se si escludono il trasporto e magazzinaggio (-2,0% comunque migliore del – 2,5% italiano), i servizi di informazione e comunicazione e quelli sanitari (entrambi -0,5% contro nell’ordine il -0,2% e +0,7% nazionali) si osservano variazioni positive del numero di imprese generalmente migliori di quelle italiane: il settore dell’istruzione si attesta intorno al 6%, le attività professionali, scientifiche e tecniche e per quelle immobiliari al 4%. i servizi assicurativi e finanziari al 3%, le attività ricreative e quelle di supporto alle imprese poco al di sopra del 2%.

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Saldo e stralcio

 

Le flessioni sul 2019 si attestano sul 9% in agricoltura e nel manifatturiero (Italia: -7% e -12%). Le imprese agricole segnano il minimo a Chieti (-11%) e il calo meno accentuato a L’Aquila (-3%), quelle industriali in senso stretto si attestano sul -8% a Teramo e Chieti, sul -9% a L’Aquila e sul -11% a Pescara. Le costruzioni non mostrano variazioni di rilievo a livello nazionale, regionale e della provincia di Chieti, aumentano a Teramo (+3,1%) e a Chieti (+1,5%) e diminuiscono a L’Aquila (-1,5%). Per quanto riguarda il commercio l’Abruzzo segna un -8% migliore del – 9% italiano: superiori i cali dell’Aquila (-9%) e di Pescara (-10%), inferiore quello di Chieti (-7%). In aumento in tutti gli ambiti territoriali considerati i servizi non commerciali: l’Abruzzo riporta un +6% migliore del +4% nazionale, Chieti un +7%, Teramo e Pescara +6%, L’Aquila +4%. Sotto il profilo delle imprese artigiane si rileva che, a fronte di una stabilità nella media nazionale, nel 2023 in Abruzzo l’andamento si conferma negativo: le registrate che a fine 2024 sono 27.102, pari al 18,8% del totale delle imprese regionali (Italia: 21,3%), con un saldo tra iscrizioni e cancellazioni di -301 unità (tasso di crescita: -1,10%; Italia: -0,09%) derivante da 1.515 iscrizioni (tasso di iscrizione: +5,52% inferiore al +6,60% nazionale) e 1.815 cessazioni (tasso di cancellazione: 6,62% contro 6,69%). Le imprese artigiane attive fanno osservare un andamento del tutto simile alle registrate e
riportano un tasso di crescita del -0,12% (Italia: – 0,09%).

Tutte le province registrano tassi di crescita negativi sia per le registrate che per le attive. A Pescara si attestano intorno al -1,8%, a Chieti al – 1,4%, a Teramo al -0,8% e all’Aquila al -0,4%.In conclusione, il sistema regionale delle imprese totali e soprattutto artigiane operanti in agricoltura, nel manifatturiero e nel commercio mostra di attraversare una crisi di natura strutturale che non trova più spiegazione al di fuori dei confini regionali negli effetti economici derivanti dalle difficoltà nelle catene di fornitura, dal rincaro delle materie prime, in particolare dei prodotti energetici, e dall’inflazione. Resistono le
imprese di costruzione che beneficiano ancora dello slancio dovuto ai provvedimenti statali volti
all’ammodernamento energetico del patrimonio edilizio e cresce debolmente il terziario avanzato.



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