Rimettiamo in moto l’auto, serve lo stop immediato alle sanzioni Ue. Parla il ministro Adolfo Urso

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Per arrivare nell’ufficio del ministro delle Imprese e del Made in Italy occorre salire una scalinata sovrastata da una grande vetrata affrescata da Mario Sironi. Un’opera imponente degli anni Trenta dedicata al lavoro, proprio quello che oggi è minacciato dalla tecnologia e dalle assurde regole che l’Europa si è data sull’ambiente.

MF-Milano Finanza parla con Adolfo Urso in un giorno a due facce: i dazi di Trump e l’apertura di Bruxelles sul prolungamento oltre al 2035 della vendita di auto a motore ibrido. «Quella della Commissione è una decisione importante che porterà a rivedere anche le sanzioni ma ora occorre anche stabilire la neutralità tecnologica nel settore dell’automotive», sottolinea il ministro in partenza per Parigi, dove avrà un incontro proprio sul tema delle politiche industriali europee. «Pensi che mi devo confrontare con otto commissari europei per le mie competenze e ne ho già incontrati quattro solo per l’automotive. Il 26 febbraio sarà una data importante perché la Commissione farà il punto sul settore automobilistico dopo avere sentito tutti gli stakeholder», afferma Urso, rivendicando un primo risultato. «Nella revisione del Green Deal l’Italia è centrale e la nostra posizione sul settore automobilistico sta riscuotendo molte adesioni. È dietro questa la svolta dell’Ue». Quanto ai dazi di Donald Trump, presidente degli Stati Uniti, è lo stesso discorso: «serve una strategia comune».

Domanda. Ministro Urso, l’Europa ha deciso di non bandire i motori termini dal 2035 è una buona notizia. Cosa ne pensa?

R. Quella della Commissione è una decisione importante che porterà a rivedere anche le sanzioni ma ora occorre anche stabilire la neutralità tecnologica nel settore dell’automotive.

D. Non è un cammino semplice.

R. Pensi che mi devo confrontare con otto commissari europei per le mie competenze e ne ho già incontrati quattro solo per l’automotive. Il 26 febbraio sarà una data importante perché la Commissione farà il punto sul settore automobilistico dopo avere sentito tutti gli stakeholder.

D. Il caso Stellantis a che punto è?

R. Sull’automotive, il Piano Italia di Stellantis sancisce un nuovo approccio dell’azienda, che ha preso impegni chiari per la produzione nel nostro Paese. L’Italia torna finalmente al centro delle strategie del gruppo: solo nel 2025 sono previsti 2 miliardi di investimenti nei siti produttivi e 6 miliardi di acquisti da fornitori italiani, interamente finanziati con risorse proprie.

D. Sull’automotive lei è stato il primo a proporre un lodo che rinvii le sanzioni ai produttori europei di automobili nel 2025, ma la presidente della Commissione von der Leyen non si è ancora scoperta del tutto su questo punto ma semplicemente ha annunciato per marzo un piano d’azione. Salveremo il settore?

R. Abbiamo imposto il tema dell’automotive nell’agenda europea e non ci fermeremo, l’Italia in questa trattativa è centrale. Rivedere il sistema delle multe, una follia che rischia di mettere in ginocchio l’industria automobilistica europea, è necessario ma non sufficiente. Non servono rinvii, serve un vero Piano Automotive Europeo, come richiesto nel nostro non-paper sostenuto da 15 Paesi.

D. Ha fiducia che le sanzioni saltino quindi?

R. Sono fiducioso che dopo il dialogo strategico che è in corso a Bruxelles tra la Commissione e le categorie del settore possa emergere finalmente una visione pragmatica per rilanciare l’auto europea, a partire da un vero approccio basato sulla neutralità tecnologica e sulla necessità di investire in maniera organica per stimolare la domanda e l’offerta. Anche per questo sarò a Parigi lunedì 10 febbraio per concordare una strategia comune su auto, siderurgia, chimica. Poi il 26 febbraio sarà un’altra data importante perché si capirà cosa vuole fare la Commissione dopo aver sentito tutti gli stakeholders.

D. Si ha l’impressione che il Paese che ora più guadagnerà dal New Green Deal sarà la Cina. Come si può invertire la tendenza?

R. Lo abbiamo detto chiaramente: il Green Deal non può essere un suicidio industriale per l’Europa e un regalo ad altre potenze globali. Abbiamo chiesto e ottenuto, come si evince dalla Bussola sulla Competitività presentata pochi giorni fa a Bruxelles, che venga rivisto in una logica di autonomia strategica, perché non possiamo sacrificare la nostra industria sull’altare dell’ideologia. L’Europa deve investire in tecnologie e filiere produttive proprie, senza dipendere da fattori esterni.

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D. È fiducioso che Stellantis rispetti i patti produttivi raggiunti con il governo? Cosa si attende da John Elkann che si prepara a parlare in Parlamento?

R. Oggi c’è finalmente un piano concreto e definito per ogni stabilimento italiano e ci aspettiamo che Stellantis rispetti gli impegni. L’Italia è tornata centrale nelle strategie industriali del gruppo, e vigileremo affinché questo processo continui. Ho predisposto la convocazione a breve del tavolo automotive.

D. Servirà più di un tavolo per evitare i dazi di Trump, ci sono speranze che non arrivino?

R. L’Italia ha ben chiari i rischi di una guerra commerciale tra Europa e Stati Uniti per la nostra economia, perché abbiamo un surplus commerciale di 42 miliardi di euro. Per questo abbiamo chiesto all’Europa di prendere l’iniziativa per costruire da subito un dialogo strategico con gli Stati Uniti: agire, non reagire.

D. Agire come?

R. Serve la politica, non la burocrazia. Non possiamo dividere l’Occidente in una devastante guerra commerciale quando dobbiamo ancora fronteggiare la guerra della Russia in Ucraina e l’instabilità del Medio Oriente. Proprio l’Italia, grazie alla leadership di Giorgia Meloni, ha un ruolo centrale nel mantenere coesa l’Unione Europea e nel costruire un ponte con Washington.

D. Se l’Italia può salvarsi, come può l’Europa evitare di avere contraccolpi sulla crescita a causa della guerra commerciale in corso tra Usa e Cina?

R. L’Europa deve assolutamente da subito, senza infingimenti, predisporre, come chiediamo da due anni, una chiara politica industriale assertiva e strategica, come quella messa in campo dagli Stati Uniti, che sia supportata da una politica energetica e da una politica commerciale che tuteli il mercato interno, con l’obiettivo di rilanciare la competitività del nostro Continente. Vale per la siderurgia e l’acciaio, alla base dell’industria, come per l’intelligenza artificiale, il quantum, lo Spazio e quindi la Difesa.

D. Quindi niente risposte analoghe ai dazi di Trump.

R. Non servono misure tampone, non si devono rincorrere le emergenze, occorre avere visione e coesione di intenti.

D. L’ingente surplus commerciale dell’Italia è al riparo dai dazi americani? State predisponendo una rete di protezione?

R. Siamo un Paese aperto al mondo da oltre due millenni, con una cultura del lavoro e dell’impresa che ha dei punti di forza ineguagliabili. Per questo il Ministero ha assunto la denominazione di Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Posizioni che si sono rafforzate in questi anni.

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D. Come?

R. Nel 2024 abbiamo superato Giappone e Corea del Sud nell’export globale, posizionandoci al quarto posto a livello mondiale, con un aumento significativo del surplus commerciale a cominciare proprio dagli Stati Uniti. Abbiamo oltre duecentomila imprese esportatrici, oltre un quarto di quelle dell’intera Ue. Sempre nel 2024 abbiamo registrato la crescita record degli investimenti esteri greenfield in Italia, oltre 35 miliardi di euro, diecimila in più di Germania e Francia. La borsa italiana ha avuto la maggiore crescita tra le borse europee e siamo nel contempo diventati l’hub del gas europeo.

D. Questi numeri ci mettono al riparo?

R. Abbiamo bisogno più di chiunque altro di mercati aperti, in cui però siano rispettate le regole da tutti gli attori e in cui vi siano effettive condizioni di parità. Il commercio deve essere libero ma anche equo. Su questa comune convinzione si deve instaurare il confronto con gli Usa, ben consapevoli che i dazi sono la punta dell’iceberg, in cui sono evidenti le dimensioni geopolitiche che riguardano i nuovi assetti globali.

D. Le minacce di Trump sono reali?

R. Come dimostrano le tregue già conseguite con Canada, Messico e Panama e anche le richieste al Sud Africa, per l’America di Trump è prioritaria la sicurezza delle frontiere e il controllo dei traffici marittimi. In tal senso vanno anche interpretate le minacce alla Groenlandia e le lusinghe all’Argentina di Milei, attraverso cui si controllano le vie del futuro: quelle dell’Artico e quelle del Polo Sud. Vale anche per Panama come per il Sud Africa.

D. Lei si occupa anche di difendere il Made in Italy, in questo clima di guerre commerciali e dazi. I nostri prodotti e le nostre imprese sono al sicuro?

R. Il Made in Italy è il nostro patrimonio più prezioso e il governo ha messo in campo azioni concrete per difenderlo e valorizzarlo. Solo per il 2025 abbiamo destinato 22 miliardi di euro per incentivare i settori produttivi italiani ad affrontare la duplice transizione, di cui 3 miliardi dedicati esclusivamente alle pmi e 4 miliardi destinati esclusivamente alle imprese del Mezzogiorno. Questo è l’anno decisivo, serve il massimo sforzo da parte di tutti per sostenere lo sviluppo del nostro sistema industriale.

D. La Cina, che lei conosce bene, ha reagito duramente all’annuncio di Trump dei dazi su Pechino. Finirà con un accordo o questa situazione può peggiorare il clima del commercio?

R. La Cina non è più solo un grande mercato in espansione, ma un attore globale che influenza intere filiere industriali e di cui non possiamo fare a meno. Qualsiasi tensione commerciale con gli Stati Uniti ha ripercussioni sul nostro Continente anche come conseguenza diretta del surplus produttivo cinese. In ogni caso, dobbiamo garantire l’autonomia strategica europea a cominciare dalle materie prime e dall’energia, fondamento di ogni processo produttivo, e delle nostre supply chain per sottrarle alle dipendenze estere.

D. Cosa pensa dello strapotere del monopolista Elon Musk sui satelliti, rischiamo di perdere la sovranità delle connessioni? E sempre in questa chiave, Tim, Rete unica e l’intero settore delle tlc possono entrare in crisi in quanto obsoleti rispetto al comparto satellitare?

R. L’Europa è terribilmente in ritardo rispetto agli altri grandi attori globali. È il tema che abbiamo posto già nella ministeriale dell’Esa del novembre 2022, aumentando il contributo italiano e sottoscrivendo una dichiarazione di intenti con Francia e Germania sull’accesso autonomo dell’Europa allo spazio. Quando la costellazione Iris2 sarà completata avremo 290 satelliti europei, mentre Usa e Cina ne conteranno oltre 50 mila. E ci saranno anche altri attori competitivi: non solo la Russia, ma anche l’India, la Corea, il Giappone, gli Emirati.

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D. In questo quadro complesso l’Italia che può fare?

R. Ancora una volta siamo noi a denunciare i ritardi europei e a lavorare per colmarli: abbiamo realizzato la nostra prima legge nazionale sullo Spazio che regolamenta anche l’attività dei privati e stiamo predisponendo un documento strategico insieme alla Germania per sollecitare la Commissione Europea a realizzare una legge sullo Spazio. Nel contempo, abbiamo dato mandato all’Agenzia Spaziale Italiana di predisporre uno studio di fattibilità sulla realizzazione di una costellazione nazionale satellitare in orbita bassa che possa coprire la Penisola e le aree limitrofe del Mediterraneo.

D. A che punto sono i tanti tavoli di crisi che sta affrontando, a cominciare dall’automotive e dall’Ilva?

R. I tavoli di crisi erano 180 cinque anni fa, oggi sono 34. Questo significa che la politica industriale funziona quando viene affrontata con serietà e determinazione. Nessuna azienda giunta al Mimit è stata chiusa, ogni crisi è stata trasformata in un’opportunità. L’Ilva è tornata operativa dopo anni di incertezze, culminate con il commissariamento, e il processo di rilancio è ormai avviato: tra pochi giorni l’azienda sarà assegnata a un player internazionale, dopo una gara con tre grandi gruppi. Un successo in tempi record per l’Europa. Riguardo altre vertenze, in questi due anni abbiamo impedito licenziamenti collettivi in aziende come Trasnova, Berco, Abramo Customer Service e Fedrigoni, proteggendo centinaia di posti di lavoro. Allo stesso tempo, abbiamo risolto crisi storiche che sembravano insormontabili. Termini Imerese, dopo 14 anni di cassa integrazione, ha trovato una nuova prospettiva industriale grazie all’ingresso di un player globale, mentre l’acciaieria di Piombino, dopo un decennio di incertezza, riparte con due grandi investimenti internazionali. Abbiamo inoltre garantito la continuità produttiva e occupazionale in importanti realtà come Wartsila a Trieste, Marelli a Crevalcore, Fos a Battipaglia, Whirlpool Emea a Napoli, Fimer in Toscana e Industria Italiana Autobus, oggi Menarini, a Flumeri e Bologna.

D. La produzione industriale è in calo da quasi due anni, il pil si sta fermando mentre l’occupazione tiene. È preoccupato che si fermi l’economia italiana?

R. La produzione ha ripreso a crescere a dicembre e l’Italia sta facendo meglio di altri Paesi europei. Ma la recessione tedesca che ormai si protrae da due anni è un fattore penalizzante per tutte le industrie europee. Ed è proprio in Europa che serve un cambio di passo: per questo stiamo imponendo una nuova agenda industriale che tuteli il nostro sistema produttivo e rilanci la competitività del continente. (riproduzione riservata)



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