Se n’è andato l’arrotino, quali i fattori di crisi dell’artigianato italiano?

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L’arrotino se n’è andato. E con lui la ricamatrice e la merlettaia, il costruttore di gondole, il calzolaio, perfino il barbiere e il sarto.

L’ultimo Rapporto Censis conferma quanto già raccontato periodicamente dalla Cgia e dagli altri istituti di ricerca: in Italia gli artigiani scarseggiano. Secondo i dati Inps e Infocamere/Movimprese nell’ultimo anno se ne contavano 410mila in meno rispetto al 2012. Un caso per tutti: se nel 2013 c’erano 131mila falegnami, nel 2020 soltanto 110mila (Istat).

Le cause? L’eccessiva burocrazia, il costo del lavoro autonomo, la cultura dell’usa e getta per cui è meglio ricomprare che aggiustare e soprattutto la mancanza di ricambio generazionale. Secondo il rapporto Inps 2024 sul mercato del lavoro, infatti, la quota giovani tra gli artigiani è passata dalle 87mila unità del 2019 alle 58mila del 2023, appena il 4% del totale. Inoltre soltanto un terzo degli italiani tra i 16 e i 18 anni s’immagina artigiano.

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E così stanno scomparendo alcuni tra i mestieri che hanno contribuito all’eccellenza del Made in Italy e con le loro botteghe, hanno connotato il paesaggio urbano italiano. Analizziamone tre.

Non solo folklore

La lista dei ‘mestieri a rischio estinzione’ stilata dalla Cgia e che include tra gli altri anche materassaio, mugnaio e maniscalco, è guidata in ordine alfabetico dall’arrotino, figura entrata nel folklore cittadino grazie al suo annunciarsi con altoparlante e competenze pure da ombrellaio.

Oggi, secondo le Pagine Gialle, in Italia lavorano circa 500 arrotini, anche se non è possibile stabilirne un numero esatto perché non c’è un registro degli ‘affilatori e riparatori di lame’ e comunque non tutti aderiscono all’Associazione Arrotini e Coltellerie, nata per “rivalutare questa nobile arte” e organizzare corsi formativi. Un mestiere a cui forse proprio il folklore del tempo che fu ha sottratto appeal tra i giovani. Insieme al consumismo e al calo dei prezzi, con coltelli e ombrelli che ormai nella grande distribuzione costano meno di una riparazione. D’altronde, anche la macro categoria “Attrezzisti di macchine utensili e professioni assimilate” che li include nel Sistema informativo delle professioni Inapp-Istat registra un calo di 29mila lavoratori dal 2013 al 2020 (115mila contro 86mila), quasi tutti dipendenti (93,1%).

Tra innovazione e tradizione

Il passaggio dall’autonomo al dipendente è figlio di un altro processo in atto: alcuni artigiani per non estinguersi si sono adattati ai tempi. È il caso, ad esempio, di ricamatrici e merlettaie, che lavorano anche a livello industriale con macchinari specializzati. Il risultato è che, sempre nel Sistema informativo, nella categoria ‘Biancheristi, ricamatori a mano e professioni assimilate’ (molto generica, include per esempio anche i produttori di bottoni) si contano 17mila occupati, 4mila in più rispetto al 2016 (ma il 75,85% è over 40).

Se però poi si analizza un’altra categoria affine, ‘Artigiani di prodotti tessili artistici lavorati a mano’, gli occupati sono 3mila contro i 6mila del 2013, addirittura l’82,5% ultra 40enni e una difficoltà di reperimento sul mercato (dati Unioncamere) del 100%.

Le più abili specialiste oggi hanno 70-80 anni e sono figlie di un’altra epoca. Emma Vidal, una delle ultime grandi merlettaie italiane, scomparsa nel 2016 a 103 anni, raccontava di aver iniziato, orfana di padre, a usare l’ago a 10 anni per mantenere i fratelli. E che col consumismo cucire è diventato poco redditizio, perché per ricamare un centrino servono venti mesi e poi è difficile venderlo per i 400 euro che vale.

Gondole

A proposito di arte: a Venezia sono sempre meno i costruttori di gondole, gli ‘squerarioli’, termine veneziano derivato da un attrezzo da carpentiere, la squadra. I primi venivano dalle montagne del Cadore e della Val Zoldana e con loro portavano l’abilità nel trattare il legno che tramandavano di generazione in generazione.

Nel 1580 navigavano circa 10mila gondole in laguna, ma l’arrivo del motore ne ha limitato l’uso a solo scopo turistico, tanto che ora se ne contano poche centinaia. Sono quindi progressivamente diminuiti anche gli ‘squeri’, i cantieri specializzati che rispetto a quelli navali (che pure a volte realizzano gondole) hanno a disposizione una spiaggia per il varo. Oggi ce ne sono tre e il più antico è quello dei Tramontin, fondato nel 1884 e arrivato alla quinta generazione.

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Di gondole nuove ne nascono soltanto d’inverno ed è un lavoro di un paio di mesi per due persone, l’artigiano e l’apprendista. Ogni imbarcazione si vende dai 40mila euro in su, ma il vero guadagno si ha con la manutenzione estiva, perché il legno per costruire costa tanto. Il varo di una gondola è una festa per più di cento invitati e le ordinazioni, oltre che dai gondolieri locali, provengono da Europa, Stati Uniti e mondo arabo. Ma è un lavoro duro, con pochi aspiranti apprendisti.

Non c’è ricambio generazionale

“Eppure – sottolinea Marco Sanguin, segretario di presidenza dell’Associazione Antichi Mestieri – l’artigianato ha moltissime opportunità di mercato. Grandi imprese industriali usufruiscono di o hanno un comparto artigiano di produzione manuale su misura. O spesso derivano da aziende artigiane e non hanno mai lasciato, per lo meno totalmente, quel comparto. Si pensi che un arrotino veneto ha clienti parrucchieri vip che gli mandano le forbici da sistemare anche da Palermo o Milano. Di certo però mancano i ‘ragazzi di bottega’ a cui tramandare il sapere e questo per i costi della manodopera, la burocrazia ma anche per la poca voglia degli stessi giovani d’investire in sacrifici che pagheranno soltanto nel futuro”.



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