Energia, l’assessore del Veneto: «L’idrogeno per bus e tir sarà realtà tra due anni. Nucleare? Mai a Marghera»

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di
Gloria Bertasi

Il primo idrogeno made in Marghera pronto nel 2026. Roberto Marcato, assessore regionale allo Sviluppo economico: «Puntiamo su rinnovabili e sostenibilità: idrogeno, fotovoltaico e eolico offshore. L’idroelettrico ha poco margine»

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La pipeline già c’è, tra Malcontenta e il parco scientifico Vega, e l’impianto dovrebbe essere pronto per metà 2026. Ma l’obiettivo è di quelli faraonici: fare di Porto Marghera la prima «Hydrogen Valley» d’Italia per produrre idrogeno green e ridurre sempre di più l’uso di combustibili fossili. Tra l’altro, nei giorni scorsi, è stato rinnovato il memorandum per lo sviluppo dell’hub dell’idrogeno tra Sapio, Hydrogen Park (nato nel 2003 con, tra i soci, Confindustria, Sapio, Eni e Decal) e Autorità portuale. E a breve dovrebbe arrivare il permesso a costruire e quindi a giugno 2026 il primo chilo di idrogeno «made in Marghera». A regime, si parla di 750 tonnellate l’anno in un progetto che unisce Sapio e Eco + Eco di Veritas (multiutility veneziana di acqua e rifiuti), che fornirà energia dal suo fotovoltaico. «La tecnologia già esiste ed è necessario continuare sul fronte della ricerca: l’idrogeno è la sfida del futuro», dice l’assessore veneto allo Sviluppo economico Roberto Marcato.

Assessore, di idrogeno a Porto Marghera se ne parla da vent’anni, si sta finalmente percorrendo l’ultimo miglio?
«Noi, come Regione, ci crediamo molto, tanto che nel Piano energico licenziato dalla giunta e ora in discussione in commissione ci sono a disposizione 30 milioni di euro. E Porto Marghera è la sede perfetta per questo sviluppo, sarà la prima “Hydrogen Valley” del Paese».




















































L’unica con spazi così ampli e condutture, mentre altrove l’idrogeno è trasportato su gomma.
«Esattamente, per logistica e spazi non ha eguali. Per questo nel 2022 abbiamo partecipato al bando nazionale, cui ha aderito Sapio. E sulla ricerca è coinvolta l’università di Padova».

Altri scenari di sviluppo possibili oltre Marghera?
«Un’altra valley potrebbe essere Padova, proprio per la collaborazione in corso con l’università».

Al di là dei buoni propositi, che orizzonte, realistico, c’è per l’uso dell’idrogeno?
«Per trasporto pesante e mezzi pubblici siamo pronti (a Venezia, il gruppo della mobilità Avm/Actv ha già ordinato 94 autobus alimentati a idrogeno, ndr). Direi che in un paio d’anni si parte».

Altre applicazioni?
«Sul riscaldamento delle case si sono problemi di sicurezza insuperabili. Andrebbero poi fatti investimenti infrastrutturali importanti».

E per le produzioni industriali?
«Ci vorrà ancora tempo, qualche decennio».

Pare ancora molto lontano il giorno in cui si potrà dismettere l’uso dei combustibili fossili.
«Il Piano energetico punta sulle rinnovabili e sulla sostenibilità: idrogeno, fotovoltaico e eolico offshore. L’idroelettrico invece ha poco margine, è stato già molto sfruttato, si può puntare a qualche revamping. Se per arrivare a un’autosufficienza con le rinnovabili lo scenario è ancora lungo, di contro si può essere più indipendenti».

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Idrogeno, rinnovabili e sullo sfondo il dibattito sul nucleare, caldeggiato da industriali e politica. E sempre come candidata c’è l’area industriale di Porto Marghera.
«A Marghera non se ne parla, ha già dato abbastanza in passato. Poi è impensabile accostare San Marco al nucleare. Marghera nella nostra testa è la capitale del sostenibile. Però c’è un problema».

Qual è?
«Non esiste un Piano energetico nazionale. Un Paese serio per prima cosa fa un Piano con un orizzonte di dieci, venti, trent’anni in cui individua su cosa si investe e quali infrastrutture servono. Per questo ho dubbi sul nucleare, vietato tra l’altro dalla legge. Quando bisognerà individuare il “dove” scomparirà dallo scenario. Basti pensare alla barchetta del rigassificatore, a impatto zero, che continua a navigare su e giù per l’Italia e il cui scafo ormai è usurato».

Non che il fotovoltaico abbia meno problemi, ci sono impianti su terreni agricoli contestati da amministratori e residenti.
«Se il pannello sostituisce la produzione agroalimentare non va bene, va trovato un modo per la loro coesistenza. E poi abbiamo altre sedi candidabili: cave dismesse, tetti di capannoni, discariche non più in uso già messe in sicurezza. Ma ritorna il tema della programmazione nazionale che manca mentre è necessario correre. Noi pungoliamo i governi: basta tergiversare, l’approvvigionamento energetico deve essere una priorità politica».

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