Hamas rilascia i tre ostaggi a Deir-al-Balah: lo «show» in diretta su al Jazeera, il dramma di Eli Sharabi che non sa di moglie e figlie morte il 7 ottobre

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di
Davide Frattini

Anche il rilascio di questi tre ostaggi segue il«cerimoniale» dei terroristi: tute marroni, sorrisi forzati, telecamere per la mondovisione. Il 1 marzo la prossima liberazione

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I volti smagriti, i passi traballanti, i sorrisi perduti, le tute dello stesso marrone. Il sospiro di sollievo nella «piazza degli ostaggi» a Tel Aviv diventa il soffio affannato dell’ansia, il respiro mozzato della memoria collettiva di un Paese. «Lo Stato di Israele non è nato per lasciare gli ebrei nelle condizioni di Auschwitz. I rapiti devono tornare tutti. Adesso», scrive il giornalista Amir Tibon, sopravvissuto al massacro al kibbutz Nir Oz. La stessa urgenza la esprimono i famigliari degli ostaggi: «Queste immagini insopportabili sono la prova dolorosa che non resta tempo da perdere». 

Or Levy, Eli Sharabi e Ohad Ben-Ami appaiono irriconoscibili nella diretta globale trasmessa da Al Jazeera, di proprietà del Qatar, costretti fino all’ultimo a sottomettersi alla sceneggiatura dei terroristi, a ringraziarli al microfono, a raccontare parte della loro tragedia: Eli ricorda il fratello portato via assieme a lui dal kibbutz Be’eri e poi ucciso in cattività, i parenti non sanno ancora se è consapevole che la moglie e le due figlie sono state ammazzate all’alba del 7 ottobre di due anni fa. 




















































Questa volta i paramilitari di Hamas hanno scelto di rilasciare i tre uomini a Deir al-Balah, nel centro della Striscia. Come ogni sabato dall’inizio dello scambio – 183 detenuti palestinesi sono stati scarcerati dagli israeliani – organizzano attorno alla consegna una parata per dimostrare di essere forti, di aver resistito all’offensiva militare di 16 mesi, i palestinesi uccisi hanno superato i 47 mila. Attorno le telecamere riprendono palazzi ancora in piedi, meglio non diffondere le immagini della distruzione, della disperazione degli abitanti: il governo a Gerusalemme ha ordinato la risposta dopo gli assalti nel sud del Paese, 1200 persone uccise, pianificati da Yahya Sinwar, il capo dei capi eliminato lo scorso ottobre. 

Benjamin Netanyahu è rimasto negli Stati Uniti, mentre il resto della nazione seguiva la diretta inorridita e allo stesso tempo sollevata per le liberazioni. Sui social media gli attivisti mostrano i visi pasciuti dei ministri che hanno votato contro questa prima fase dell’accordo, si domandano quale colazione ordinerà il premier nella suite a Washington, chiedono una commissione d’inchiesta per determinare le responsabilità politiche e strategiche dietro alla mattanza del 7 ottobre, responsabilità che il premier non si è mai preso. 

Domani una delegazione israeliana arriva Doha per discutere le tappe successive dell’accordo: il primo marzo è previsto l’ultimo scambio, resteranno ancora 59 ostaggi nelle mani dei fondamentalisti, oltre la metà è stato dichiarato morto dall’intelligence. 

Nonostante i piani da immobiliarista che vagheggiano di una Riviera da costruire al posto delle macerie di Gaza dopo aver trasferito tutta la popolazione, il presidente americano Donald Trump sembra voler mantenere la promessa di riportare indietro tutti i rapiti. In contrasto con le assicurazioni di Netanyahu agli alleati oltranzisti e messianici che vogliono il ritorno alle operazioni massicce dell’esercito: «La guerra riprenderà fino alla distruzione di Hamas».

 L’intesa mediata da americani, egiziani e leader del Qatar prevede che le truppe completino il ritiro dal corridoio Netzarim – la base militare va da est al Mediterraneo, è profonda quattro chilometri e taglia in due la Striscia – ed entro i 42 giorni lascino anche l’area Filadelfia al confine con l’Egitto.

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8 febbraio 2025 ( modifica il 8 febbraio 2025 | 17:28)

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