Orti botanici: 50 giardini, 100 anni di dati

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Quale il futuro degli orti botanici? Le collezioni di piante viventi conservate ex situ, ovvero fuori dal loro ambiente naturale, svolgono un ruolo cruciale nel fornire soluzioni alle sfide globali in epoca di cambiamenti climatici. Tuttavia, le dinamiche di raccolta, utilizzo e conservazione sono scarsamente conosciute. Lo studio Insights from a century of data reveal global trends in ex situ living plant collections, recentemente pubblicato su Nature Ecology & Evolution, ha analizzato un secolo di dati, dal 1921 al 2021, provenienti da 50 giardini botanici e arboreti del mondo, che attualmente custodiscono mezzo milione di piante (in questo elenco, però, non figurano orti italiani).

Lo studio fornisce approfondimenti sull’evoluzione storica, lo stato attuale e la traiettoria futura delle collezioni a livello globale. Per caratterizzare le dinamiche di crescita, i cinquanta orti sono stati analizzato sia singolarmente che in combinazione, ricostruendo i contenuti di una meta-collezione in un periodo di 100 anni, a partire dal 1921 e fino al 2021, individuando l’espansione più rapida tra il 1975 e il 1992. Dopo questo periodo il ritmo è rallentato, raggiungendo un nuovo picco nel 2008, quindi stabilizzandosi ed entrando in una fase di graduale declino dal 2015 al 2021. “La rete globale di giardini botanici comprende collettivamente almeno 105.634 specie, che rappresentano il 30% della diversità di tutte le specie di piante terrestri”, si legge nello studio. “Queste collezioni svolgono una moltitudine di ruoli specialistici, integrando funzioni ricreative, educative, scientifiche e di conservazione. Ma le sfide emergenti del ventunesimo secolo richiedono una rivalutazione dei ruoli delle collezioni, in particolare per quel che riguarda la ricerca scientifica e la conservazione”.

Il 40% delle piante è a rischio elevato di estinzione, la percentuale è nota. Partendo da questa consapevolezza, lo studio evidenzia l’importanza della collaborazione tra orti botanici per proteggere la biodiversità vegetale globale, sottolineando la necessità di fare rete per salvaguardare le piante più minacciate, attraverso la condivisione di dati e competenze e il supporto allo sviluppo di nuove collezioni nel Sud del mondo, dove si trova gran parte della biodiversità mondiale. La ricerca, con l’appello per un concreto lavoro di network, è stata rilanciata anche dalla stampa internazionale: The Observer ha puntato l’attenzione sulla riduzione dello spazio di conservazione e sulla conseguente necessità di collaborazione a livello globale tra orti botanici.

I risultati dello studio suggeriscono infatti che le collezioni per la conservazione ex situ hanno raggiunto collettivamente la capacità massima e che le restrizioni alla raccolta di piante selvatiche in tutto il mondo, legate alla Convenzione di Rio,  stanno ostacolando gli sforzi per raccogliere la diversità vegetale nella misura necessaria per studiarla e proteggerla. Si legge nello studio: “Esploriamo l’impatto dei vincoli esterni e quantifichiamo l’influenza della Convenzione sulla diversità biologica, che colleghiamo alla riduzione dell’acquisizione di materiale di origine selvatica e di provenienza internazionale rispettivamente del 44% e del 38%”. A sottolineare questi aspetti è il primo autore Samuel Brockington, docente al dipartimento di Scienze delle piante della Cambridge University e curatore del Cambridge University Botanic Garden, che aggiunge: “Ora è necessario uno sforzo concertato e collaborativo tra i giardini botanici del mondo per conservare una gamma di piante geneticamente diversificata e renderle disponibili per la ricerca e la futura reintroduzione in natura”.

Le piante devono essere regolarmente sostituite o distribuite all’interno delle collezioni degli orti, la durata media di un esemplare è di quindici anni. I ricercatori rivelano che il numero di piante di origine selvatica, ovvero quelle raccolte in natura, nelle collezioni ha raggiunto il picco nel 1993 e da allora è in calo. “Di sicuro non sta diventando più facile sostenere la diversità delle nostre collezioni. Ciò è particolarmente vero per le piante raccolte in natura, che sono le più preziose in termini di supporto alla ricerca, per trovare soluzioni alle sfide del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità globale“. Il sito del Cambridge University Botanic Garden dedica una pagina alle spedizioni per la raccolta, sottolineando l’importanza di investire in questa attività, essenziale per garantire che le collezioni viventi siano rifornite di materiale vivo di provenienza selvatica. Brockington afferma che queste spedizioni rimangono vitali per la tutela e lo studio delle specie vegetali del mondo. E aggiunge che un lavoro di raccolta collaborativa è possibile, in modo equo ed etico.

La Convenzione sulla biodiversità di Rio de Janeiro, sottoscritta il 5 giugno 1992, è un trattato internazionale giuridicamente vincolante con tre principali obiettivi: conservazione della biodiversità, uso sostenibile della biodiversità, giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche. In particolare, l’art. 9 fa riferimento all’adozione di provvedimenti per la conservazione ex situ dei componenti della diversità biologica, di preferenza nel Paese di origine di tali componenti, all’installazione e mantenimento di strutture per la conservazione ex situ e la ricerca su piante, animali e microorganismi, di preferenza nel Paese di origine delle risorse genetiche, all’adozione di misure per assicurare la ricostituzione e il risanamento delle specie minacciate ed il reinserimento nei loro habitat naturali in condizioni appropriate, alla regolamentazione e gestione della raccolta delle risorse biologiche negli habitat naturali ai fini della conservazione ex situ, in maniera da evitare che siano minacciati gli ecosistemi e le popolazioni di specie in situ, infine, alla cooperazione nel fornire un sostegno finanziario e di altro genere per la conservazione ex situ e la realizzazione e il mantenimento di strumenti e risorse di conservazione nei Paesi in via di sviluppo.

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