«Organizzazione criminale» è la definizione che dà Musk di Usaid, l’agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, smantellata da lui e il presidente Usa. Le sfumature di Usaid sono tante, nel bene e nel male, quel che è però certo è che l’effetto del suo smantellamento sarà devastante nel campo degli aiuti umanitari mondiali. L’agenzia, infatti, è l’ente umanitario che conta il più alto tasso di donazioni al mondo, con cifre pari a 72 miliardi di dollari nel solo 2023, provvedendo al 42% di tutti gli aiuti umanitari del 2024 secondo le Nazioni unite. Opera attualmente in più di 100 paesi. Tra le operazioni ordinate da Trump vi è la riduzione a soli 70 membri del team incaricato della gestione delle zone di crisi, che prima contava più di 1000 persone.
Tragiche le conseguenze per il Nord Est della Siria. Ne abbiamo parlato con Luca Magno, responsabile progetti di Un ponte per nell’area, dove gestiscono il sistema sanitario di emergenza che comprende cliniche nei campi profughi, ospedali, ambulanze, laboratori: «Il taglio provoca dei rischi altissimi perché si fermano i servizi sanitari di emergenza, non abbiamo certezze sull’arrivo eventuale di finanziamenti. Fino ad ora coprivamo tanti servizi essenziali per donne vittime di violenza, i servizi legati all’accesso all’acqua, ai campi profughi, e quelli di collegamento. Nonostante ci siano delle esenzioni per gli aiuti umanitari non sono sufficienti per la prosecuzione dell’operazione. Questo blocco e dipendenza dai fondi statunitensi rischia di portare nell’immediato a una destabilizzazione della regione, parliamo di rischi immediati per la vita di centinaia di persone, laddove sono milioni quelle che necessitano di aiuto umanitario. La prima esenzione riguarda il cibo, ma si dimentica che la maggior parte dell’assistenza alimentare non passa attraverso i pacchi di cibo, ma dallo stanziamento di soldi distribuiti quotidianamente alla popolazione locale. Anche esentando questo settore, dunque, il problema rimane». Il nodo fondamentale, aggiunge, «è l’incertezza e l’indeterminatezza sul futuro dei finanziamenti, che fino a metà aprile rimarranno bloccati. A partire da quel momento, con lo smantellamento definitivo dell’agenzia, la maggior parte delle organizzazioni sul territorio perderà la capacità di operare».
Secondo il sito ReliefWeb, solo nel 2024 le persone che necessitano di aiuti umanitari erano 16.7 milioni. Ad oggi, la Siria vede ancora 7.2 milioni di sfollati.
Tra i programmi di Usaid vi è poi Unfpa, che assicura annualmente assistenza medica contraccettiva a 47.6 milioni di donne, ragazze e bambine in tutto il mondo. Solo nei 90 giorni di congelamento dei fondi stabilito da Trump, sarà negata questa cura essenziale a 11.7 milioni di donne e ragazze, secondo il Guttmacher Institute. L’istituto prevede che se non verrà ripristinato il programma saranno 8.340 le morti per complicazioni legate a parto e gravidanza nel solo 2025. Secondo Thomas Byrnes, fondatore e direttore di MarketImpact, se Usaid dovesse essere smantellata definitivamente il prospetto matematico dei fondi per gli aiuti umanitari del 2025, in tutto il mondo, sarà di 17 centesimi per persona al giorno. Usaid è anche la maggioritaria tra le 8 agenzie governative che implementano Pepfar, il programma nato per contrastare l’Hiv/Aids, che da solo contribuisce al 17% della spesa sudafricana per la lotta al virus. Ad oggi il Sudafrica conta uno dei più alti tassi di sieropositivi al mondo (14%), e dipende dai soldi statunitensi per l’accesso alle terapie antiretrovirali di 5,5 milioni di persone. Secondo il New York Times, la chiusura di Pepfar potrebbe comportare la morte di 600mila persone nel solo Sudafrica nel corso del prossimo decennio. Sappiamo dalle dichiarazioni di Donald Trump che intende utilizzare il peso di questi aiuti per far fare reteromarcia a Ramaphosa – il presidente sudafricano – sull’Expropriation Bill: la legge, firmata il 24 gennaio, prevede che il suo governo possa espropriare alcuni terreni nell’interesse pubblico, che in alcuni casi potrebbero avvenire senza indennizzi. L’obiettivo è far fronte ad una realtà che permane dall’era dell’Apartheid: il 72% delle terre del paese sono in mano alla minoranza bianca, che costituisce circa il 9% della popolazione. Lo smantellamento di Usaid, dunque, all’occorrenza funge anche da ricatto politico, per un «soft power» che non è più tanto soft.
Nonostante la chiusura di Usaid avrà effetti catastrofici in campo umanitario, l’agenzia non è senza macchia. Nel 2009 ha contribuito, insieme al dipartimento di Stato, alla stesura della Counterinsurgency Guide, un testo stampato dal dipartimento di affari politici e militari. La guida è volta a illustrare le pratiche di «risoluzione» e «stabilizzazione» che gli Stati uniti operano nei confronti di governi esteri a loro sgraditi, all’insegna dell’esportazione della democrazia. Tra i primi esempi di «successo» citati, già nella Prefazione, l’Iraq e l’Afghanistan. Non serve ricordare le informazioni rivelate da Julian Assange sulle operazioni statunitensi in Iraq. Per queste ragioni, la Bolivia di Evo Morales nel 2013 espulse Usaid dal territorio nazionale, accusata proprio di «counterinsurgency practices»; Associated Press rivelò poi che l’agenzia statunitense contribuiva a finanziare le opposizioni interne con il fine di rovesciare il governo Morales. Tra i maggiori beneficiari di Usaid spicca l’Ucraina, che ha ricevuto più di 7.6 miliardi di dollari dal 2022. Importante poi il finanziamento ai media ucraini, di cui l’agenzia statunitense è arrivata a coprire anche l’80% delle spese, come nel caso dell’Ukrainer Online News Portal. Oltre a «esportare la democrazia», Usaid si è dedicata a finanziare il giornalismo indipendente.
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