Vediamo quando, secondo la Cassazione, i pazienti affetti da Alzheimer che necessitano di ricovero in una Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA) possono usufruire del rimborso integrale delle spese da parte del Servizio Sanitario Nazionale (SSN)
In Europa si stima che la demenza di Alzheimer (DA) rappresenti il 54% di tutte le demenze, con una prevalenza nella popolazione ultrasessantacinquenne del 4,4%. La prevalenza di questa patologia aumenta con l’età e risulta maggiore nelle donne, che presentano valori che vanno dallo 0,7% – per la classe d’età 65-69 anni – al 23,6% per le ultranovantenni, rispetto agli uomini i cui valori variano, rispettivamente, dallo 0,6% al 17,6%.
Ma qual è il quadro normativo in materia?
In materia si richiamano le seguenti norme:
- l’art. 30 della L. n. 730/1983, laddove recita: “Per l’esercizio delle proprie competenze nelle attività di tipo socio-assistenziale, gli enti locali e le regioni possono avvalersi, in tutto o in parte, delle unità sanitarie locali, facendosi completamente carico del relativo finanziamento. Sono a carico del fondo sanitario nazionale gli oneri delle attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali. Le unità sanitarie locali tengono separata contabilità per le funzioni di tipo socio assistenziale ad esse delegate”;
- l’art. 3, comma 3, del D.P.C.M. del 14/02/2001, secondo cui sono da considerare prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria “tutte le prestazioni caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria, le quali attengono prevalentemente alle aree materno-infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da H.I.V. e patologie terminali, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative. Tali prestazioni sono quelle, in particolare, attribuite alla fase post-acuta caratterizzate dall’inscindibilità del concorso di più apporti professionali sanitari e sociali nell’ambito del processo personalizzato di assistenza, dalla indivisibilità dell’impatto congiunto degli interventi sanitari e sociali sui risultati dell’assistenza e dalla preminenza dei fattori produttivi sanitari impegnati nell’assistenza. Dette prestazioni a elevata integrazione sanitaria sono erogate dalle aziende sanitarie e sono a carico del fondo sanitario. Esse possono essere erogate in regime ambulatoriale domiciliare o nell’ambito di strutture residenziali e semiresidenziali e sono in particolare riferite alla copertura degli aspetti del bisogno socio-sanitario inerenti le funzioni psicofisiche e la limitazione delle attività del soggetto, nelle fasi estensive e di lungoassistenza“.
Ebbene, sulla scorta delle norme citate, la giurisprudenza consolidata di legittimità ha già avuto modo di affermare che, in tema di prestazioni a carico del SSN, l’art. 30 della L. n. 730 del 1983 – che per la prima volta ha menzionato le attività di rilievo sanitario connesse con quelle assistenziali – “deve essere interpretato, alla stregua della L. n. 833 del 1978 che prevede l’erogazione gratuita delle prestazioni a tutti i cittadini, entro i livelli di assistenza uniformi definiti con il piano sanitario nazionale, nel senso che, nel caso in cui oltre alle prestazioni socio-assistenziali siano erogate prestazioni sanitarie, tale attività, in quanto diretta in via prevalente alla tutela della salute, va considerata comunque di rilievo sanitario e, pertanto di competenza del Servizio sanitario nazionale” (Cass. n. 22776/2016; in senso conforme anche la successiva Cass. n. 21528/2021).
Da ultimo, la Corte di Cassazione, sentenza n. 525/2024, ha respinto il ricorso di una RSA, che reclamava il pagamento della retta per la quota di prestazioni socio-assistenziali a carico di una persona ricoverata affetta da morbo di Alzheimer. Ai fini della ripartizione della spesa, l’elemento determinante sta nella individuazione di un trattamento terapeutico personalizzato, che non può essere somministrato “se non congiuntamente alla prestazione assistenziale“. In tal caso, l’intervento sanitario socioassistenziale rimane interamente assorbito nelle prestazioni erogate dal servizio sanitario.
Trova, così, un epilogo la battaglia legale di Marco Gaito, che si era opposto al pagamento delle rette di ricovero della madre malata di Alzheimer, ritenendo che dovessero essere a carico del Servizio Sanitario Nazionale. La Cassazione ha dato ragione a Gaito, ritenendo che le prestazioni per i malati di Alzheimer siano da considerare principalmente sanitarie e che, quindi, sia prevalente il diritto alla tutela della salute ex art. 32, riconosciuto dalla Costituzione.
S’impongono, a questo punto, serie riflessioni sulla necessità di una riforma normativa chiara che regoli la questione, evitando alle famiglie di intraprendere costose battaglie legali per difendere diritti che dovrebbero essere già garantiti. La pronuncia potrebbe, quindi, rappresentare un passo decisivo verso un cambiamento strutturale nel sistema di assistenza, riducendo l’onere economico per le famiglie e garantendo un trattamento più equo per i malati di Alzheimer.
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