Quanto è difficile fare impresa al Sud? Lo abbiano chiesto al dottor Giovanni Musso, ceo di Irem Spa, azienda con sede a Siracusa di punta nel settore dell’impiantistica industriale per la produzione di energia tradizionale e green.
«L’economia del Mezzogiorno – risponde Musso è caratterizzata da criticità strutturali che rappresentano un freno allo sviluppo imprenditoriale. Tra i principali ostacoli troviamo il ritardo nella dotazione infrastrutturale, la qualità spesso insufficiente dei servizi pubblici erogati sia dagli enti locali che dallo Stato, e una burocrazia lenta e complessa. Nonostante queste difficoltà, nel Sud Italia si registrano diverse iniziative imprenditoriali, in particolare nel settore delle energie rinnovabili. Tuttavia, affinché questi progetti possano concretizzarsi e tradursi in un’opportunità di crescita, è fondamentale sviluppare le infrastrutture necessarie per rendere accessibili le aree destinate agli investimenti e semplificare le procedure di autorizzazione, evitando così il rischio che i progetti rimangano solo sulla carta».
Opere come il Ponte sullo Stretto potrebbero aiutare a colmare il gap infrastrutturale con il resto d’Italia?
« Il Ponte sullo Stretto rappresenta un’infrastruttura strategica per il futuro del Mezzogiorno. La sua realizzazione contribuirà a ridurre in modo significativo il gap logistico tra le regioni meridionali, con effetti positivi sul trasporto a livello nazionale ed europeo. L’opera fungerà da volano per lo sviluppo economico, sociale e infrastrutturale della Sicilia e dell’intero Sud. Oltre ai vantaggi in termini di collegamenti e trasporti, il Ponte porterà benefici ambientali, con una riduzione stimata di circa 140.000 tonnellate di CO² grazie al miglioramento dell’efficienza logistica. Inoltre, avrà un forte impatto occupazionale, generando circa 120.000 nuovi posti di lavoro per un periodo di 7-8 anni, e contribuirà alla crescita del PIL nazionale. È importante sottolineare che il Ponte di Messina non è solo una priorità per Sicilia, Calabria e Italia, ma è anche un’opera sostenuta dall’Unione Europea. Perdere questa occasione significherebbe rinunciare a un potente catalizzatore di progresso economico e socioculturale».
Le acciaierie green nel Nord Europa possono rappresentare un modello per la riconversione dell’Ilva di Taranto?
«Assolutamente sì. Il nostro cliente, Stegra, sta guidando una delle più grandi iniziative globali per la riduzione dell’impatto climatico: la costruzione di un’acciaieria green alimentata a idrogeno da fonti rinnovabili, grazie ai fondi del Next Generation EU. L’obiettivo dell’azienda è decarbonizzare le industrie cosiddette hard-to-abate, a partire dalla produzione di acciaio, riducendo le emissioni di CO₂ fino al 95% rispetto ai tradizionali altiforni a carbone. Un modello simile potrebbe essere applicato anche in Italia, con la riconversione del sito produttivo di Taranto, l’ex Ilva. Implementando tecnologie innovative per la produzione di acciaio green, si otterrebbero molteplici vantaggi: una drastica riduzione delle emissioni di CO², il raggiungimento dei target italiani di decarbonizzazione, il mantenimento dei livelli occupazionali e il miglioramento della qualità della filiera siderurgica, riducendo così la dipendenza dall’import di acciaio».
Qual è il ruolo dell’idrogeno nella transizione ecologica, energetica e industriale?
«L’Italia, in linea con la strategia europea, sta investendo nella produzione e nell’utilizzo dell’idrogeno attraverso tre direttrici principali: Riqualificazione di aree industriali dismesse, creando veri e propri hydrogen hub per favorire lo sviluppo del mercato dell’idrogeno. Ciò avverrà installando elettrolizzatori vicino ai siti industriali e distribuendo l’idrogeno prodotto alle aziende; Utilizzo nei settori industriali hard-to-abate, come siderurgia, produzione di vetro, carta e cemento, dove l’idrogeno può sostituire i combustibili fossili; Infrastrutture per il trasporto e la distribuzione, con la costruzione di 40 stazioni per il trasporto su strada e 10 per quello ferroviario entro il 2026. Anche noi stiamo contribuendo a questo percorso con il progetto H2-SR, un impianto per la produzione di idrogeno rinnovabile a Priolo Gargallo, vicino Siracusa. Il progetto prevede la ristrutturazione di un’area industriale dismessa e l’installazione di un elettrolizzatore alimentato da un impianto fotovoltaico da circa 5 MW. L’obiettivo è produrre circa 170 tonnellate di idrogeno rinnovabile all’anno, garantendo che anche l’energia elettrica utilizzata sia interamente green. Questo impianto è finanziato nell’ambito del bando Hydrogen Valley della Regione Sicilia, all’interno del PNRR».
Ma la produzione di idrogeno presenta ancora alcune criticità?
«Sì: alto consumo energetico. Per produrre 1 kg di idrogeno è necessaria la stessa quantità di energia consumata in un’ora da 20 appartamenti a pieno carico (ad esempio con lavatrice e phon accesi); alti costi: il prezzo dell’energia per produrre idrogeno si aggira intorno ai 130 euro/MWh; problemi di trasporto: l’attuale rete infrastrutturale non è ancora adeguata a supportare il trasporto su larga scala. Per ottimizzare i costi e l’efficienza, è strategico produrre idrogeno in aree con alta disponibilità di sole e vento, come la Sicilia e il Nord Africa. A tal proposito, il progetto SouthH2 Corridor, promosso dal governo italiano, mira a creare una dorsale di 3.300 km di condotte per il trasporto dell’idrogeno verde tra Tunisia, Italia e Germania, con una capacità di importazione di 10 milioni di tonnellate entro il 2030. L’idrogeno avrà un ruolo fondamentale nella transizione ecologica, ma sarà parte di un mix di fonti green che includerà anche nucleare, elettrico e biocarburanti».
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