Sergio Corazzini (1886-1907) è una delle voci più intense e delicate della poesia crepuscolare italiana. La sua opera, caratterizzata da un lirismo malinconico e da un senso profondo di fragilità esistenziale, riflette le inquietudini di un’epoca e di una sensibilità votata alla contemplazione della sofferenza e della precarietà della vita.
Nei versi tratti dalla poesia Vinto, Corazzini dà voce a un lamento struggente che assume la forma di un dialogo con la madre:
Mamma questa è la vita?! Allor la santa
felicità infantile non perdura?
Il riso che irradiava la mia pura
fronte, non verrà più?! Ah mi si schiantal’anima, mamma mia, ed ho paura!
Io mi sento morire. Quanta, quanta
dolce felicità di bimbo, ha infranta
con l’andar della vita, la sventura!
Sergio Corazzini: la felicità e il disincanto
Questi versi esprimono una profonda inquietudine e una dolorosa consapevolezza della perdita dell’innocenza infantile. Il poeta, rivolgendosi alla madre, pone una domanda quasi incredula, come se la scoperta della caducità della felicità fosse un trauma insopportabile. Il tono, tipico della poetica crepuscolare, è permeato di malinconia e di un senso di sconfitta esistenziale.
Il componimento si apre con una domanda diretta e disarmante: Mamma questa è la vita?! Il poeta si rivolge alla figura materna, simbolo di protezione e conforto, come se cercasse una risposta che possa aiutarlo a comprendere la natura stessa dell’esistenza. Il tono è quello di una sorpresa dolorosa: il giovane protagonista sembra aver appena scoperto che la vita non è l’idillio che aveva conosciuto da bambino.
La santa felicità infantile, evocata nel secondo verso, è presentata come un tempo di purezza assoluta, un’epoca quasi sacra che però non può durare. L’aggettivo santa sottolinea il valore inestimabile di quella condizione, che si contrappone in modo netto alla realtà adulta fatta di sofferenza e disillusione. L’interrogativo successivo, Il riso che irradiava la mia pura fronte, non verrà più?!, amplifica l’angoscia: il sorriso innocente, spontaneo e luminoso della fanciullezza è scomparso, sostituito dalla consapevolezza della durezza della vita.
Il poeta usa un linguaggio semplice ma estremamente espressivo per rendere tangibile il dolore di questa scoperta. L’esclamazione Ah mi si schianta l’anima è un’immagine forte e drammatica: il protagonista non può sopportare la perdita di quella serenità e si sente sopraffatto dall’angoscia.
La paura della vita attraverso una giovinezza minata dalla tisi
La seconda parte della strofa intensifica il tono di disperazione: Io mi sento morire. Quanta, quanta dolce felicità di bimbo, ha infranta con l’andar della vita, la sventura! Qui, Corazzini dipinge l’infanzia come un bene fragile e irrimediabilmente compromesso dal passare del tempo. Il termine sventura diventa il fulcro della riflessione: la vita stessa è vista come un processo di distruzione della felicità primigenia, un viaggio che inevitabilmente porta alla sofferenza.
Questa visione è profondamente legata alla poetica crepuscolare, che si distingue per il rifiuto degli ideali eroici e grandiosi tipici della poesia ottocentesca. I crepuscolari, tra cui Corazzini, Gozzano e Moretti, abbandonano il modello del poeta-vate e si concentrano invece su temi intimisti, sulla fragilità della condizione umana e sulla malinconia della quotidianità.
Il tema della paura è centrale in questi versi. Il poeta non solo si sente morire, ma esplicita la propria paura di fronte alla realtà della vita adulta. Questa paura non è tanto legata alla morte fisica, quanto alla perdita di un’illusione, alla consapevolezza che la vita è segnata dalla sofferenza. Il poeta si sente vinto, come suggerisce il titolo stesso della poesia: non c’è lotta né ribellione, solo un’accettazione dolorosa della propria impotenza.
Un elemento significativo di questi versi è la figura materna, evocata fin dal primo verso con l’esclamazione Mamma questa è la vita?! La madre rappresenta il rifugio, la sicurezza dell’infanzia, l’unico punto di riferimento in un mondo che si rivela improvvisamente ostile. Tuttavia, la madre non risponde: la domanda resta sospesa, e il lettore non può che intuire l’assenza di un vero conforto.
Questa invocazione materna richiama altri celebri esempi letterari, come la Vergine Madre dantesca o le figure materne della poesia romantica, ma in Corazzini il tono è diverso: qui la madre non è idealizzata, ma è piuttosto l’ultimo baluardo prima della resa definitiva. È come se il poeta si rivolgesse a lei non tanto per ottenere una soluzione, ma per esprimere il proprio sconforto, quasi un ritorno a un linguaggio infantile nell’estremo tentativo di ritrovare un’innocenza ormai perduta.
I versi di Vinto sono un’espressione toccante della poetica crepuscolare, in cui il tema della perdita dell’infanzia si intreccia con una riflessione più ampia sulla fragilità della condizione umana. Il contrasto tra la felicità dell’infanzia e la consapevolezza adulta della sofferenza è il nucleo emotivo del componimento, che trova il suo culmine nell’angosciata esclamazione Ah mi si schianta l’anima!
Sergio Corazzini, con il suo stile semplice e diretto, ma carico di pathos, riesce a trasmettere con straordinaria efficacia il dolore della crescita, il senso di smarrimento di chi si accorge che la vita non è altro che un cammino di perdita e disillusione.
Alla fine, resta una domanda sospesa, senza risposta: è davvero questa la vita?
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