Agli Italiani o almeno al 52% di loro non piace Trump, che sembra però piacere al governo italiano, il quale ultimamente pare avere gusti quanto meno dubbi in fatto di amicizia. Prima preferisce ingraziarsi la Libia, restituendogli in pompa magna un delinquete ricercato dalla Corte Penale Internazionale. Poi non firma il documento contro le sanzioni decretate da Trump verso i vertici e dipendenti della Corte penale internazionale. La dichiarazione di «continuo e incrollabile appoggio all’indipendenza, imparzialità e integrità» della Cpi, «pilastro vitale del sistema di giustizia internazionale» raccoglie l’approvazione di due terzi (79 su 125) dei Paesi che nel 1998 firmarono lo Statuto di Roma, quello che istituì la Cpi, ma non quello del governo che a Roma ha sede, il quale evidentemente, pur senza dirlo, vuole ingraziarsi Trump.
Epoca della svergognatezza
Che la politica estera italiana sia ondivaga e ambivalente, non è certo cosa nuova, ma che l’ingiustizia vi venga sostenuta con tanta sfrontatezza è cosa che lascia davvero perplessi. D’altro canto viviamo da un po’ di tempo nell’epoca della sfrontatezza e della svergognatezza, in cui Narciso ha sostituito Edipo e la vergogna, o rispettivamente l’assenza della stessa, la colpa. Di tale svergognatezza Trump è indubbiamente il più emblematico rappresentante, peraltro eletto democraticamente dalla maggioranza degli americani. Con lui al governo vi è poi un altro fulgido esempio di svergognatezza, Elon Musk, che pur non essendo stato eletto da nessuno ha la faccia tosta di insultare, dall’alto del suo patrimonio, primi ministri e giudici dei paesi europei.
Shock e stupore
Grazie a questa accoppiata vincente di innovatori ,”lo shock e lo stupore – come si legge in un recente articolo del Guardian – “diventano sempre più scioccanti e terribili. Negli ultimi giorni, gli americani hanno visto un miliardario tecnologico non eletto distruggere ampie porzioni del governo federale – Elon Musk si è vantato di aver dato in pasto l’agenzia di sviluppo internazionale USAid, che salva vite umane, “alla cippatrice” – “macchina impiegata per ridurre il legno in trucioli o schegge sottili” (Treccani) – eppure questo non è stato nemmeno l’evento più scandaloso della settimana. Quell’onore è andato invece a Donald Trump e alla sua proposta di “pulire semplicemente” la Striscia di Gaza, rimuovendo la sua gente, spazzandola al suolo e poi riqualificandola come “la Riviera del Medio Oriente” sotto la proprietà permanente degli Stati Uniti.”
Narcisista patologico
Visto che le sue parole e ancor più i suoi atti sono sotto gli occhi di tutti, non c’è pericolo di violare nessun segreto professionale né di venir meno alla deontologia professionale se si afferma che Trump è un narcisista patologico, un narcisista cioè non solo megalomane ma con tratti di cinismo ed aggressività talmente elevati da violare insieme alle regole della convivenza civile anche le norme del codice penale, pur non dovendo scontare le pene cui è stato condannato, in quanto Presidente degli Stati Uniti (sic!). Non è peraltro da meno il suo alleato/rivale Elon Musk, cui il mio collega inglese Aaron Balick dedica un azzeccato ritratto psicoanalitico
Diagnosi e poi?
Dopo che ci siamo tolti la soddisfazione di fare diagnosi psichiatrica all’uomo più potente del mondo e all’uomo più ricco del mondo (nonché a diversi altri membri del governo Trump) sentendoci in tal modo delle anime candide, dei bravi ragazzi/ragazze dal cuore d’oro, la situazione rimane drammaticamente la stessa, per cui la probabilità che ce li dovremo sopportare per altri quattro anni, se nel loro narcisismo patologico non provvedono a mettersi fuori combattimento l’un l’altro prima, è molto elevata.
Freud e la massa
Vale allora forse la pena di rivolgere la nostra attenzione più che a loro, a noi, che abbiamo permesso a Musk di diventare l’uomo più ricco del mondo e a simili compari di Trump in Europa dí diventare primi ministri. Qui la psicoanalisi ci può essere di qualche aiuto. Gli psicanalisti, si sa, sono bravissimi a capire tutto, quando tutto è già avvenuto (ma d’altro canto fanno qualcosa di diverso gli economisti e diciamolo pure gli ortopedici?). Freud, che non può mai mancare, si era già interrogato sulla scarsa capacità critica della massa e in Psicologia delle masse e analisi dell’io (1921) aveva naturalmente trovato un’adeguata spiegazione, la sua.
Spirito comunitario
“Pensiamo allo stuolo di donne e ragazze entusiasticamente innamorate che fanno ressa intorno al cantante o al pianista dopo
un’esecuzione. Ciascuna di esse potrebbe indubbiamente essere gelosa delle altre, ma, dato il loro numero e la conseguente impossibilità di raggiungere la meta del loro amore, ci rinunciano, e invece di strapparsi i capelli a vicenda agiscono alla stregua di una massa unitaria, rendono omaggio al festeggiato con gli stessi gesti, lietissime di spartirsi magari una ciocca dei suoi capelli”, scrive Freud (Freud 2013) – che, guarda caso, non cita esempi di uomini e ragazzi che si comportano in modo analogo per una cantante. Freud conclude che le persone che compongono questi stuoli di adoratori/adoratrici, “originariamente rivali, hanno potuto, in forza del medesimo amore per lo stesso oggetto, identificarsi l’un l’altra”.
Identificazione
Proprio grazie all’identificazione, “la più primitiva ed originaria forma di legame emotivo”, l’originaria invidia si trasforma, nella massa, in spirito comunitario, nel senso che ciascuna persona rinuncia alle proprie pretese sul/la cantante affinché e a patto che anche le altre persone vi rinuncino. Freud passa poi ad analizzare le due “masse artificiali” della Chiesa e dell’esercito, giungendo ad analoghe conclusioni, ossia che in entrambe queste istituzioni l’invidia reciproca dei partecipanti si trasforma in accettazione reciproca sulla base del fatto che ogni persona della comunità ritiene di essere amata in egual misura dal capo. La fiducia di essere amati in ugual misura dal capo crea dunque una “comunanza affettiva”, sia pure parziale, tra tutti i membri della comunità, laddove peraltro, aggiungo io, l’identificazione vale anche in direzione inversa, il fatto di appartenere ad una stessa o quanto meno analoga comunità- ed oggi community- porta a condividere la stessa identificazione nel “capo”.
Personalizzazione della democrazia
Ora che la personalizzazione delle contese politiche ha preso sempre più piede – e in Italia siamo stati sicuramente degli antesignani al riguardo – l’identificazione con il capo si è ulteriormente accentuata, creando un rapporto sempre più diretto tra elettore ed eletto con tendenza a bypassare invece il rapporto istituzionale percepito come impersonale e burocratico.
Idealizzazione
Proprio tale personalizzazione della politica accentua un carattere del rapporto tra individuo della massa e leader politico che Freud aveva già chiarito. Egli aveva infatti sottolineato come il rapporto tra gregario e capo fosse segnato da un atteggiamento affettivo molto simile a quello dell’ innamoramento o meglio dell’ infatuazione degli adolescenti e dell’ipnosi. L’oggetto amato come pure l’ipnotizzatore sfuggono cioè ad ogni critica: “l’Io – scrive Freud – diventa sempre meno esigente, più umile, l’oggetto sempre più magnifico, più prezioso, fino a impossessarsi da ultimo dell’intero amore che l’Io ha per sé, di modo che, quale conseguenza naturale, si ha l’auto sacrificio dell’Io. L’oggetto ha per così dire divorato l’Io”. A questa esaltazione del valore e delle qualità dell’oggetto amato viene appunto dato il nome di idealizzazione.
Ideale dell’Io
Nelle relazioni caratterizzate da marcata idealizzazione cioè l’oggetto viene a tal punto idealizzato da sostituire “un proprio non raggiunto Ideale dell’Io. L’oggetto viene amato a causa delle perfezioni cui abbiamo mirato per il nostro Io e che ora, per questa via indiretta, desideriamo procurarci per soddisfare il nostro narcisismo” scrive Freud. Il capo subisce lo stesso processo di idealizzazione da parte delle masse per cui Freud può concludere che “una tale massa primaria è costituita da un certo numero di individui che hanno messo un unico medesimo oggetto al posto del loro ideale dell’Io e che pertanto si sono identificati gli uni con gli altri nel loro Io”.
La pulsione gregaria
Proprio da tale legame ed investimento affettivo deriverebbero, secondo Freud, i caratteri di quella che lui chiama la regressione dell’attività psichica tipica delle masse: “la mancanza di autonomia e d’iniziativa nel singolo, il coincidere della reazione del singolo con quella di tutti gli altri, l’abbassamento del singolo – per così dire – a individuo massificato” … “l’indebolimento delle facoltà intellettuali, il disinibirsi dell’affettività, l’incapacità di moderarsi o di differire, la propensione a oltrepassare tutti i limiti nell’espressione del sentimento che tende a scaricarsi per intero nell’azione” – come già descritto da Le Bon, citato da Freud.
Disagio della civiltà e sadomasochismo
Nel successivo Disagio della civiltà (1930) Freud discute la tensione tra il desiderio di libertà e la necessità di ordine. Il desiderio inconscio di un’autorità forte nasce dalla paura del caos e del declino della civiltà. I dittatori sfruttano questa paura e si presentano come salvatori. Inoltre, Freud collega il bisogno di sottomissione a impulsi sadomasochistici latenti, dove il leader soddisfa la pulsione aggressiva del popolo, spesso canalizzandola contro un nemico comune.
L’Ombra di Jung
Analogamente Jung, nei suoi Archetipi dell’inconscio collettivo, spiega come il dittatore possa emergere come un archetipo dell’Ombra collettiva. Quando una società reprime i suoi conflitti e problemi irrisolti, questi emergono in forma proiettata su un leader carismatico, che incarna sia la speranza che il lato oscuro della psiche collettiva. L’Ombra, rappresentata dal dittatore, è seducente perché permette alla popolazione di esprimere la propria aggressività e il proprio bisogno di ordine senza assumersene la responsabilità.
Totalitarismo e il Paradosso del Godimento
Žižek rilegge invece il totalitarismo attraverso Lacan: Il dittatore funziona come una sorta di “grande Altro” lacaniano, colui che sembra detenere il senso ultimo della realtà e che permette al popolo di evitare la responsabilità individuale. Per Žižek il potere autoritario si basa su una combinazione di cinismo ideologico e godimento perverso. I dittatori non solo impongono la loro volontà basandosi sulla repressione e sull’obbedienza cieca, ma sfruttano anche una forma di godimento proibito (jouissance), un piacere paradossale che emerge proprio nella sottomissione al potere e al tempo stesso nella partecipazione ai suoi rituali violenti o repressivi, violando i limiti imposti dalla società civile (con atti di brutalità, violenza e deumanizzazione, che diventano fonte di piacere per chi li commette) sotto la copertura del regime.
Ieri e oggi
L’idealizzazione del capo, l’inflazione del suo Io, l’ombra collettiva che il dittatore incarna, il cinismo ideologico e il godimento perverso non sono forse gli stessi meccanismi che troviamo all’opera nei leader autoritari, negli autocrati e nei dittatori odierni? Loro sono i nuovi uomini forti, in realtà debolissimi, cui noi attribuiamo la capacità di risolvere il problema dei migranti respingendoli senza pietà o facendoli annegare senza umanità. A loro chiediamo di mostrarsi economicamente inflessibili nell’illusione di poter noi godere di un po’ di benessere in più se i poveri non vengono più curati, gli emarginati non vengono più assistiti, i diritti lavorativi non più rispettati. Accettiamo che le conquiste sociali e i diritti individuali delle donne, delle minoranze LGTBQ, dei più deboli vengano nuovamente conculcati nell’illusione di restaurare un ordine esteriore, in assenza di una nostra sicurezza interiore.
Prendersi cura, di noi e degli altri
Constatare la (grave) psicopatologia di Trump, Musk e Co., condannarli moralisticamente come persone cattive non ci aiuterà a liberarcene. Possiamo solo liberarci dalle nostre paure di incertezza ed impotenza, dalla nostra dipendenza dal potere, dalle illusioni dí scorciatoie autoritarie che portano solo a nuove atrocità e nuove sofferenze. Abbiamo un patrimonio di cultura, educazione, scienza ed anche umanità dalla nostra parte, anzi dentro di noi. Non lasciamoci prendere dal panico e dallo sconforto.
Come scrive l’editoriale di Lancet:
“La comunità sanitaria ha superato ostacoli enormi molte volte in passato per dare enormi contributi al benessere dell’umanità. Queste esperienze hanno cristallizzato una visione di ciò che è la salute e di ciò che può essere. Che tutti hanno diritto alla salute. Che la salute degli americani dipende dalla salute di tutti, ovunque, e viceversa. Che la cooperazione e i partenariati costruttivi sono fondamentali e che la scienza ha la capacità non solo di far progredire la nostra comprensione del mondo, ma anche di unire le persone. Che la salute è un bene sociale, un beneficio per le società, un motore per le economie e un percorso di sviluppo. Che la medicina può aiutare le persone più deboli, alleviare le sofferenze e migliorare le vite. Che l’equità – trattare in base alle necessità – è fondamentale per la medicina. E che prendersi cura non è un atto di debolezza, ma di forza.”
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link