«Qui lo staff del ministro Crosetto, la questione è urgentissima». Il muro da Armani a Beretta contro la truffa

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di
Giuliana Ferraino

La telefonata al gruppo Menarini. La verifica con il ministro di Pietro Beretta. I contatti con Moratti: «Sembrava tutto vero»

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La telefonata alla segreteria di presidenza del gruppo farmaceutico Menarini, controllato dalla famiglia Aleotti, è arrivata mercoledì. Dall’altra parte della cornetta una persona, che si è presentata come un collaboratore del ministro della Difesa Guido Crosetto. Precisando di chiamare dal ministero, ha chiesto «un contatto urgentissimo» con la famiglia Aleotti citando «una ragione di sicurezza nazionale» e ha lasciato un numero da richiamare subito. Un modo di fare irrituale. Lucia Aleotti è vice presidente di Confindustria, non sarebbe difficile arrivare direttamente a lei. La segreteria perciò si è insospettita e ha avvertito i fratelli Aleotti. Ma, invece di cadere nel tranello, Lucia e Alberto Giovanni Aleotti venerdì hanno presentato denuncia alla procura di Firenze, dove ha sede il gruppo. «Facciamo un training per aumentare l’attenzione su potenziali truffe, abbiamo un’allerta altissima anche sulle email e ci viene richiesto di fare verifiche doppie e o triple», spiegano dall’azienda.

Modalità simile per arrivare a Giorgio Armani. La telefonata con la medesima richiesta è arrivata alla segreteria dello stilista, che però ha sollecitato un’e-mail. Mai arrivata. La questione è finita là. E Armani non è stato nemmeno informato della chiamata con la richiesta urgente dal ministro Crosetto, apprendendo di essere stato nel mirino dei truffatori soltanto quando è scoppiato il caso. 




















































La famiglia Gussalli Beretta, la multinazionale bresciana che fornisce armi a esercito e forze armate, Crosetto lo conosce bene da quando il ministro era a capo dell’associazione confindustriale che si occupa di difesa. C’è confidenza. Così quando la finta telefonata, mercoledì nel tardo pomeriggio, è arrivata in azienda, la segreteria ha fatto da filtro, ma poi Pietro Gussalli Beretta, presidente della holding, ha subito fatto una verifica direttamente con Crosetto, mettendolo in allerta. È seguita la denuncia alle istituzioni.
   
Il copione nei giorni scorsi si è ripetuto con i grandi nomi del capitalismo italiano. I truffatori, al telefono, fingendosi uomini dello staff del ministro della Difesa, chiedevano somme ingenti, sfruttando il recente caso di Cecilia Sala, per arrivare alla liberazione di giornalisti rapiti in Medio Oriente. Tra gli imprenditori presi di mira, ma che non sarebbero stati raggirati, figurano il fondatore e presidente di Tod’s Diego Della Valle, salvato dal filtro della segretaria; l’amministratore delegato di Pirelli, Marco Tronchetti Provera; Patrizio Bertelli, marito di Miuccia Prada e presidente della casa di moda; la famiglia Caltagirone e la famiglia Del Vecchio. 

L’ex presidente dell’Inter, Massimo Moratti, è stato il primo ad ammettere di essere stato ingannato da una telefonata che, grazie a un algoritmo, riproduceva la voce di Crosetto. «Questi sono bravi, nel senso che sembrava assolutamente tutto vero. Comunque può capitare, poi certo uno non se l’aspetta una roba di questo genere. Ma succede a tutti…», ha raccontato a Repubblica. Non dice se ha pagato un milione su un conto di Hong Kong, come gli è stato chiesto. Ammette solo di aver presentato denuncia.
  
Non solo può capitare, come dice Moratti, capita sempre più spesso. Secondo The Economist, che questa settimana dedica la copertina alle truffe online («Scam Inc», cioè Truffa Spa), il fenomeno vale più di 500 miliardi di dollari all’anno (sottratti alle vittime in tutto il mondo) ed è paragonabile per dimensioni e portata all’industria illegale della droga. Non colpisce solo anziani o ingenui, ma anche ricercatori di neuroscienze e perfino parenti di investigatori dell’Fbi. Le criptovalute consentono ai truffatori di spostare denaro in modo rapido e anonimo nel mondo reale. E l’AI moltiplica i rischi. Un caso citato dal settimanale: un dipendente dell’ufficio di Hong Kong di Arup, un’azienda di ingegneria britannica, è stato convinto a pagare 25 milioni di dollari grazie a una videochiamata con dei deepfake dei suoi colleghi, tra cui il responsabile finanziario.

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9 febbraio 2025 ( modifica il 9 febbraio 2025 | 11:06)

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