Tutti i piani elettrici di Volkswagen tra Cina e Usa per uscire dalla crisi

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La vittoria temporanea dei sindacati tedeschi sul piano di tagli ha costretto Volkswagen a ripensare la propria strategia per uscire dalla crisi. Il gruppo rinuncia alle ID.7 elettriche negli Usa. In Europa, invece, pensa di creare joint venture con le case cinesi. Tutti i dettagli.

Chiarito che Volkswagen non potrà uscire dalla crisi usando la mannaia dei tagli lineari, la dirigenza sta elaborando in tutta fretta piani alternativi che le permettano di tornare in tutta fretta competitiva sul mercato. L’azienda di Wolfsburg si sta muovendo su più fronti, in patria e all’estero.

IL CDA VUOLE NUOVI TAGLI

Il quotidiano economico Handelsblatt ha riportato che i membri del Consiglio di amministrazione del gruppo di Wolfsburg sono orientati a chiedere ulteriori tagli in aggiunta a quelli concordati coi sindacati alla fine del 2024 in quello che la stampa locale ha soprannominato “compromesso di Natale”.

Microcredito

per le aziende

 

L’accordo prevede 35 mila uscite entro il 2030 per arrivare a un risparmio di circa 15 miliardi di euro. Inoltre, Volkswagen avrebbe posticipato il suo obiettivo di redditività, puntando a raggiungere un margine operativo del 6,5% entro tre o quattro anni, anziché entro la fine del 2026.

NIENTE ID.7 NEGLI USA

Tra le giravolte più eclatanti spicca soprattutto la possibile decisione di non far sbarcare l’elettrica ID.7 sul mercato nordamericano: una inversione a “u” marcata nella strategia elettrica di Volkswagen, tra i marchi più entusiastici nei confronti della nuova propulsione (non a caso molti detrattori sostengono che l’attuale crisi sia stata provocata dagli investimenti nell’elettrico portati avanti senza preoccuparsi che le soluzioni proposte avessero un mercato).

TUTTI GLI STOP AND GO DELLA ID.7

Non è la prima volta che Wolfsburg rivede le proprie strategie circa il debutto statunitense della berlina alla spina: lanciata nel 2023, la ID.7 sarebbe infatti dovuta arrivare sul mercato statunitense l’anno successivo. Ma la scarsa domanda di veicoli elettrici aveva costretto i vertici della casa tedesca a rinviare il debutto al 2025. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca potrebbe però tracciare un tratto di pennarello sulle varie strategie di Wolfsburg, data la nota ostilità del presidente repubblicano nei riguardi delle quattro ruote elettriche.

Un problema non di poco conto per Volkswagen che, data anche la foggia della propria vettura, contava sulle vendite negli States. Anche perché, sempre secondo rumors, la ID.7 con ogni probabilità sarebbe stata ben più costosa dell’ID.Buzz, ovvero la riedizione elettrica del famosissimo Bulli, che negli Usa parte da 59.995 dollari e non può certo dirsi un successo commerciale. Il mancato guadagno per Volkswagen rischia insomma di essere particolarmente alto e di aver peso nei suoi conti già in crisi. Ulteriore elemento, questo, che porta a dubitare della bontà della strategia elettrica del marchio tedesco.

JV TRA VOLKSWAGEN E CASE CINESI PER USCIRE DALLA CRISI?

Un’altra voce di corridoio, che per alcuni sarebbe stata confermata dallo stesso amministratore delegato del gruppo tedesco, Oliver Blume (in realtà si è limitato a dire che “È sempre positivo quando le aziende investono in Europa. Abbiamo forti partnership in Cina e, ovviamente, ci sono state delle conversazioni, ma non abbiamo preso delle decisioni concrete”), riguarda la possibilità che il gruppo ceda le due aziende che avrebbe voluto vendere prima dell’altolà dei sindacati a possibili compratori cinesi.

LE FABBRICHE TEDESCHE NEL MIRINO DEI CINESI

Reuters, che per prima aveva ventilato la possibilità di shopping cinese tra le proprietà di Vw, sostiene che le più papabili a tal fine sarebbero gli industrie presenti a Dresda e Osnabrück, entrambe prossime alla chiusura.

I due impianti tedeschi, però, a differenza dell’hub Audi (parte del Gruppo di Wolfsburg) di Bruxelles destinato a chiudere a giorni, sono presidiati dai sindacati, guidati col pugno di ferro da Daniela Cavallo, la presidente del consiglio di fabbrica diventata famosa per essere stata l’artefice della defenestrazione dell’ex Ad Herbert Diess quando iniziò a ventilare che la mobilità elettrica avrebbe inevitabilmente comportato tagli al personale.

STELLANTIS HA FATTO SCUOLA?

Per questo secondo indiscrezioni della rivista Manager Magazin, i tedeschi potrebbero indorare la pillola trasformando l’alienazione degli impianti a cessioni di asset all’interno di futuribili joint venture con partner cinesi da tessere qui in Europa, sul modello già sperimentato da Stellantis e Leapmotor.

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L’azienda del resto attraverso il direttore finanziario Arno Antlitz ha fatto capire che non ci sono grandi margini di manovra per evitare la chiusura in quanto all’appello “mancano le vendite di circa 500.000 automobili, pari all’incirca ai volumi di due stabilimenti. E questo non ha nulla a che fare con i nostri prodotti o con le scarse performance commerciali. Il mercato, semplicemente, non esiste più”. I sindacati dovranno dunque sperare che si trovi un acquirente perché l’alternativa sarebbe chiudere. Lo si cercava (sempre tra i marchi cinesi) anche per il già citato impianto di Bruxelles, senza fortuna.

CINESI CHE POTREBBERO AIUTARE VOLKSWAGEN A USCIRE DALLA CRISI

In Cina Volkswagen ha stretto accordi di collaborazione con molti gruppi di spicco, da Saic a Faw, passando per Jac ed è azionista della Xpeng. Tutte Case che non hanno al momento impianti o presidi europei e che potrebbero dunque essere interessate a rilevare stabilimenti ben avviati posti strategicamente nel cuore dell’Europa, soprattutto se la Ue dovesse mantenere i propri dazi sulle auto elettriche che arrivano dalla Cina.



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