Trattenimento in Albania. Atto terzo. Giurisdizione lampo senza difesa
Pubblichiamo la nota della Commissione Centri di permanenza per i rimpatri UCPI.
La Corte di Appello di Roma – cui il recente Decreto Flussi (D.L. n. 145/2024) aveva trasferito la competenza in materia – si è pronunciata sabato scorso sulla convalida del trattenimento presso il C.P.R. di Gjader, in Albania, di una cinquantina di migranti soccorsi in mare che vi erano stati trasferiti nei giorni precedenti.
Anche in questo caso, come era già avvenuto con le decisioni adottate dalla Sezione Immigrazione del Tribunale di Roma nelle precedenti due analoghe occasioni, il trattenimento non è stato convalidato perché è stato disposto rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sui presupposti in presenza dei quali, alla luce della normativa europea, il Governo può individuare Paesi di provenienza sicuri ai cui cittadini riservare una procedura accelerata per l’esame delle domande di asilo in zone di frontiera.
La questione era già pendente e sarà decisa, da calendario, il 25 febbraio, ma i ristretti termini previsti per il giudizio di convalida, che non può essere sospeso, non consentivano di attendere l’esito senza sollevarla formalmente di nuovo.
Stando ad insistenti notizie di stampa, alcune pronunce della Corte di Cassazione del dicembre scorso avrebbero potuto far supporre un esito diverso perché avrebbero sancito il principio secondo cui la designazione dei Paesi sicuri sarebbe prerogativa del Governo ed il giudice della convalida se ne potrebbe discostare solo per situazione specifiche del caso concreto.
In realtà, le decisioni cui presumibilmente ci si riferisce, cioè quelle adottate in seguito ai ricorsi del Ministero dell’Interno e del Questore di Roma contro le decisioni della Sezione Immigrazione del Tribunale di Roma di ottobre, si erano espresse in termini non proprio esattamente rispondenti a quanto insistentemente riportato, ad esempio, dal TG1, affermando che anche «il giudice della convalida, garante, nell’esame del singolo caso, dell’effettività del diritto fondamentale alla libertà personale, non si sostituisce nella valutazione che spetta, in generale, soltanto al Ministro degli affari esteri e agli altri Ministri che intervengono in sede di concerto, ma è chiamato a riscontrare, (…) la sussistenza dei presupposti di legittimità della designazione di un certo Paese di origine come sicuro (…)» (Cass., I Sez. Civ., ord. n. 34898/2024 del 30 dicembre 2024).
Nessuna sorpresa, dunque, da questo punto di vista.
La notizia di questi giorni, che deve destare grande attenzione soprattutto nell’ambito dell’avvocatura, è un’altra.
I 49 migranti, prima ancora della convalida del trattenimento, sono stati tutti ascoltati dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che, a tempo di record, ha respinto ben 48 delle 49 domande da loro avanzate.
Ora, poiché il d.l. 145/2024, convertito nella l. 187/2024, ha ridotto da 15 a soli 7 giorni il termine entro il quale queste decisioni possono essere impugnate, la concreta possibilità di accedere ad un effettivo controllo giurisdizionale sulla decisione amministrativa, imposta dal diritto europeo oltre che dalla Costituzione, rischia di risultarne davvero azzerata.
Alla riduzione del termine, si accompagna il macabro contesto generale entro il quale il ricorrente è costretto a muoversi senz’armi.
Non è, di fatto, assicurato il contatto con un difensore. Il ricorrente, che di norma sappiamo non parlare la lingua italiana e che si trova ristretto nel centro albanese, dovrebbe in qualche modo – non si sa bene quale – reperire un difensore in Italia, contattarlo, conferire formale procura all’impugnazione nonché, quantomeno, illustrare le motivazioni nel merito per le quali procedere con il ricorso e presentare istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Il tutto, in soli sette giorni, nel corso dei quali verrà anche trasferito via mare in Italia.
Il ricorso è proposto su impulso di parte e, quindi, non prevede la nomina di un difensore d’ufficio, viceversa prevista per la convalida del trattenimento (il cui esito, se si conclude negativamente l’iter della domanda di protezione internazionale, diviene sostanzialmente irrilevante). Ciò significa che, ove il richiedente diniegato non provveda alla nomina di un difensore di fiducia per l’impugnazione, il provvedimento della Commissione territoriale diviene irrevocabile ed il soggetto è sottoposto alla procedura di rimpatrio (già attestata, peraltro, dalla stessa Commissione territoriale con il provvedimento di rigetto adottato).
Tutto ciò, ove si intenda dare per scontato che il ricorrente – soccorso in mare poche ore prima e spesso oggetto di torture e trattamenti inumani e degradanti nei c.d. paesi di transito – abbia avuto compiuta conoscenza dei propri diritti e facoltà. Ma di scontato, oggi, non possiamo dare niente, anzi. E non possiamo non rimanere perplessi di fronte alla legge di ratifica del Protocollo Italia-Albania, che affida al responsabile del centro detentivo un compito che spetterebbe alla legge, ossia quello di «adottare le misure necessarie a garantire il tempestivo e pieno esercizio del diritto di difesa»: ennesima, clamorosa forma di amministrativizzazione della libertà personale dei migranti, che per ora si è rivelata utile ad avallare le circostanze di fatto in cui versano i richiedenti asilo più che a garantire il diritto di difesa.
L’ossequio alle regole dello Stato di diritto impone – tanto per la restrizione della libertà personale quanto per la valutazione delle domande di protezione internazionale – la garanzia del controllo giurisdizionale. Ma tale garanzia, che a sua volta implica l’effettività del diritto di difesa, è sempre più apparente e si scontra con una realtà di totale impotenza della persona e di chi sarebbe chiamato ad assisterla.
L’avvocatura tutta, per il ruolo che riveste e la funzione che dovrebbe esercitare in questi contesti, non può accettare di diventare un mero convitato di pietra.
è di questi giorni, per fortuna, la notizia di un’ordinanza con cui la Cassazione ha investito il Giudice delle leggi di una questione di legittimità costituzionale posta dalla nuova disciplina concernente il ricorso per cassazione contro la convalida del trattenimento (per violazione, fra gli altri, degli artt. 24 e 111 Cost.). La nuova procedura (introdotta il 9 dicembre 2024) è costruita con molta poca precisione, e, soprattutto, va definita entro 7 giorni dalla presentazione del ricorso, così contribuendo a mortificare un diritto di difesa già fortemente compresso dal termine per ricorrere contro il decreto di convalida del trattenimento (termine di appena 5 giorni, non ancora sottoposto al vaglio di legittimità costituzionale, ma che dovrà parimenti esser portato davanti alla Consulta).
Una tempistica tanto serrata mortifica qualsiasi garanzia, specie considerando le notevoli difficoltà di accesso dei difensori all’interno dei centri, e specialmente di quelli collocati in Albania (per i quali la legge persegue la distanza fisica tra il richiedente asilo, oltremare, e il suo difensore, collocato a Roma).
Già nel 2023, l’ufficio del Garante Nazionale dei Diritti delle Persone Private della Libertà Personale aveva segnalato l’esigenza di intervenire per rendere effettivo il diritto di difesa in questi contesti.
Tocca ora agli avvocati attrezzarsi per affrontare degnamente il compito che sono chiamati ad assolvere e denunciare la drammatica realtà in cui si trovano ad operare.
Roma, 10 febbraio 2025
La Commissione Centri di permanenza per i rimpatri
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