Val di Zena, dubbi e paura dopo l’alluvione: «Qui un deserto ma andare via è una sconfitta»

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di
Federica Nannetti

I residenti: «Dalle istituzioni messaggi vaghi». Almeno una quarantina di famiglie, tra il Farneto, Botteghino di Zocca e gli abitati successivi ha lasciato la propria casa, ancora inagibile

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Restano porte chiuse, ancora schizzate di fango. E, ancora, tronchi accatastati, portati dalla furia del torrente per chissà quanti chilometri. Poi finestre divelte transennate, che lasciano intravedere dentro quel che è stato. Almeno una quarantina di famiglie della Val di Zena, tra il Farneto, Botteghino di Zocca e gli abitati successivi, dopo l’alluvione di ottobre ha lasciato la propria casa, ancora inagibile; senza luce e gas. Una casa non più casa. In una, ancora vuota, è tornata la corrente solo sabato mattina. «È il paese dei morti viventi», racconta Morena Menti, rappresentante del comitato Val di Zena e residente al Mulino del Farneto, in quella via laterale trasformata il 19 ottobre in voragine e ripristinata dopo giorni dagli uomini dell’esercito. Intorno alla sua villetta finita sotto due metri e mezzo d’acqua, acquistata dai genitori nel dopoguerra e condivisa ancora con la madre e altri familiari, non è rimasto quasi più nessuno: «Intere vie sono disabitate – prosegue –, anche gli anziani, da sempre in Val di Zena, hanno dovuto lasciare tutto. È difficile e stancante e triste alzarsi la mattina e vedere una valle bellissima, con un parco patrimonio Unesco, trasformata in un luogo spettrale – alza le braccia Morena –, ma non vorremmo arrivare alla delocalizzazione». 

Ordinanza e risarcimenti

Perché è di questo che nelle ultime ore si è tornato a parlare, con l’anticipazione da parte del commissario alla ricostruzione Fabrizio Curcio di un’ordinanza apposita e conseguenti risarcimenti: tra le zone interessate potrebbe esserci la Val di Zena. «Sarebbe stato meglio ricevere una comunicazione ufficiale e precisa tramite le istituzioni — il commento di Menti e del comitato —: così è molto vago e poco rispettoso per i diretti interessati. Perché le domande che sorgono sono subito molteplici: chi potrebbe riguardare esattamente? In che tempi? In quali modalità? E chi non potrà permetterselo? Lunedì in Regione ci sarà un incontro con il commissario e i comitati, la speranza è di un dialogo». A certe condizioni «si potrebbe anche accettare a malincuore di andare via – ammette Morena –. È che si è arrivati allo stremo; a pensare, a ogni pioggia, se tornare a casa dal lavoro per mettere al riparo un parente. A mia figlia, che studia lingue e ama la Spagna, ho chiesto di andare via». Delocalizzare, però, «sarebbe una sconfitta – aggiunge –; possibilità di mettere in sicurezza il territorio ce ne potrebbero essere». 




















































Interventi puntuali

Proprio per individuare interventi puntuali partirà a breve uno studio idrologico e idraulico finanziato dal Movimento 5 Stelle e messo a punto dal professor Stefano Orlandini dell’Università di Modena e Reggio. «Zone di inondazione, anche naturale, ci sono — le parole di Menti — e il torrente è molto alto. Le curve si sono rivelate i punti più critici, come pure i ponti, ma studiando le carte, anche storiche, si possono trovare soluzioni».
In alcuni punti le sponde sono minime, alberi e tronchi, talvolta pericolanti, sono ancora decine e decine, come le frane attive. Dal Farneto a Cà di Lavacchio, dove la via di Zena è interrotta, si contano una ventina di punti in cui la strada è tuttora mangiata e franata. Poi arriva «il buco — spiega Morena —: è stato ribattezzato così il luogo dell’interruzione della provinciale. Un residente ha costruito un ponte» pedonale, in legno. Ha lasciato anche un cartello: «Qui finisce la civiltà».

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10 febbraio 2025

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