La Corte penale internazionale ha aperto un’indagine sull’Italia. Il motivo è il caso Almasri: lo Stato italiano non ha rispettato l’obbligo internazionale di eseguire il mandato d’arresto nei confronti del generale libico, liberandolo. Per il momento nessuna singola persona è indagata. Il governo Meloni sarà chiamato a dare spiegazioni, e sembra aver scelto una linea ‘diplomatica’.
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La Corte penale internazionale ha aperto un fascicolo che riguarda l’Italia e la sua gestione del caso Almasri. Non i membri del governo Meloni e la loro responsabilità individuale, ma più in generale come lo Stato italiano si è mosso dopo la richiesta di arresto del generale libico. La notizia è arrivata ieri, a darla è stato il portavoce della Cpi. La reazione dell’esecutivo italiano è stata molto più moderata, rispetto alle accuse lanciate ai giudici dell’Aja nelle scorse settimane: si aprirà un confronto per cercare di chiudere la questione rapidamente e senza grosse ripercussioni internazionali.
Il portavoce della Corte ha detto che “la mancata osservanza da parte dell’Italia di una richiesta di cooperazione per l’arresto e la consegna di Almasri” verrà assegnata alla Camera preliminare, che si occuperà di ricostruire l’accaduto e verificare se è necessario indagare delle singole persone – che potrebbero essere funzionari o politici italiani – oppure se il caso si può archiviare. Il procedimento potrebbe richiedere diverse settimane, e in questo tempo l’Italia potrà “presentare osservazioni”.
Era prevedibile che questa indagine sarebbe partita. L’articolo 87 dello Statuto di Roma (quello che regola il funzionamento della Cpi) recita al comma 7 che se uno Stato “non aderisce ad una richiesta di cooperazione” e quindi impedisce alla Corte “di esercitare le sue funzioni ed i suoi poteri”, allora la Corte stessa può aprire un’indagine. E in seguito, in alcuni casi, può anche rimandare il caso al Consiglio di sicurezza dell’Onu per chiedere azioni contro lo Stato indagato. Questo potrebbe essere uno di quei casi, visto che proprio da una risoluzione del Consiglio era partito il lavoro dei giudici dell’Aja sulla Libia.
Sostanzialmente, ora, la Cpi chiederà al governo italiano di spiegare perché Almasri, dopo essere stato arrestato dalla Digos di Torino, è stato scarcerato. E perché poi sia stato subito messo su un volo di Stato dei servizi segreti e riportato in Libia, dove era certo che non sarebbe più stato possibile applicare il mandato di arresto internazionale.
Una risposta ufficiale a queste domande era già arrivata, nell’informativa svolta in Parlamento la scorsa settimana dai ministri Piantedosi e Nordio. In particolare, il ministro della Giustizia era stato decisamente duro proprio nei confronti della Corte penale internazionale. Aveva parlato di un mandato d’arresto “nullo” perché i giudici non avrebbero rispettato le procedure previste, e aveva messo in discussione anche l’impianto accusatorio della Cpi. Come avevano notato in molti nell’opposizione, si era spinto anche più in là di quanto avessero fatto i legali di Almasri.
Secondo quanto emerso, invece, ora la risposta del governo sarà decisamente più diplomatica. Fonti governative hanno fatto sapere che il ministero di Nordio ha “chiesto all’Aja di avviare consultazioni“, che servano per una “comune riflessione sulle criticità che hanno connotato il caso Almasri” e per “scongiurare il ripetersi di situazioni analoghe”.
Quando inizieranno queste consultazioni, e cosa avranno al centro, per il momento non è noto. Ma vedendo la prima reazione sembra che il governo Meloni abbia intenzione di abbassare i toni. È possibile, quindi, che nelle prossime settimane si vedranno la premier e i suoi ministri evitare atti di accusa pubblici nei confronti dell’Aja – per chiudere il caso in tempi brevi, e forse anche per evitare l’isolamento internazionale. Resta la questione di cosa dirà l’Italia ai giudici per convincerli che non sia necessario proseguire l’indagine.
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