«Guarascio è in difficoltà da tre anni, ma non vuole mollare»

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COSENZA Damiano Paletta è stato il presidente della rinascita del Cosenza dopo il fallimento del 2003. Uno dei più apprezzati della storia recente del calcio cosentino. Con il direttore sportivo Massimiliano Mirabelli, il vice Pino Citrigno e, soprattutto, insieme al suo amico di sempre Pino Chianello – amministratore delegato di quella società che in due anni conquistò due promozioni di fila (dalla D alla Prima divisione) – hanno regalato momenti e ricordi indimenticabili ai tifosi cosentini. Ed è proprio dal ricordo di Pino Chianello, scomparso lo scorso 5 gennaio a 70 anni, che abbiamo iniziato la nostra chiacchierata con Damiano Paletta.
«Pensare a Pino – ha ammesso l’ex presidente rossoblù – mi fa emozionare e commuovere. Pochi giorni fa lo abbiamo ricordato con una messa a un mese dalla sua morte. Una ferita ancora fresca che richiederà del tempo per rimarginarsi. È stato un imprenditore assennato, che è riuscito in 30 anni di lavoro come concessionario di un’azienda importante di stampanti e fotocopiatrici, ad avere il rispetto e la stima di tutti. Ma Pino è stato soprattutto un sognatore. Dico sognatore in senso positivo, perché nella nostra bella esperienza nel Cosenza calcio, fu il primo che disse di voler portare i Lupi in serie A. Sembrava una boutade, ma le basi le aveva create e ci credeva davvero».

Le cose, però, non sono andate come si aspettava.

«Purtroppo, i conti si fanno sempre con i vari osti che ci sono. Quando siamo arrivati nella C1 di allora, abbiamo pensato, sbagliando, di allargare l’assetto societario, io ho ceduto la mia presidenza dopo una serie di trattative. Una successione che non ha avuto fortuna, ma gli eventi ormai si conoscono. Andai via, mentre Pino rimase un altro po’ fino a gettare la spugna il 27 marzo del 2010, ricordo ancora la data. In questi anni abbiamo parlato spesso di quei momenti, gli è rimasto il cruccio di non aver potuto completare il suo lavoro. Il fallimento della società lo fece stare male. Ma Pino va ricordato anche per aver unito sport e socialità. A Paola ha creato un centro sportivo, oggi gestito dal figlio Luca, con l’intento di recuperare tutti quei giovani che per tanti motivi stavano prendendo una strada sbagliata. Lo porterò sempre con me e ci sono due cose che mi hanno procurato molto dispiacere».

Cosa?

«Mi ha ferito innanzitutto il comportamento del Cosenza Calcio che a mio avviso non gli ha reso l’onore che meritava. Grazie alla sensibilità dell’addetto stampa Pasqua che conosceva bene Pino, è stato posizionato un mazzo di fiori ai piedi della tribuna dal capitano D’Orazio, e nulla più. Nessun invito alla famiglia. Ma mi ha amareggiato maggiormente il silenzio della tifoseria che non ha trovato il tempo di dedicargli neanche uno striscione. Pino, come me, amava molto i tifosi, per loro è stato come un fratello».

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Paletta, Chianello, Mirabelli e il segretario Mangiarano nella loro esperienza al Cosenza calcio

Ha fatto cenno alla società, quindi è impossibile non parlarne. A Cosenza, almeno dal punto di vista ambientale, sembra di essere tornati indietro di 15 anni.

«Mi voglio rifare ad una frase che ha pronunciato pochi giorni fa in un intervento televisivo Stefano Fiore, il primo dirigente a scappare da questa società. Ha detto che il Cosenza si trova in serie B per puro caso. Sono d’accordo con lui, certe categorie si raggiungono con un progetto di due, tre, quattro anni. Questa società si è trovata tra i cadetti per una serie di eventi favorevoli, ha esordito in campionato con una partita persa a tavolino e via via tutto quello che sappiamo. Oggi, ahimè, ci troviamo in una situazione che io conosco da tre anni. So che il Cosenza da un punto di vista societario e finanziario è in difficoltà da diverso tempo, ma non ha mai fatto nulla per fare entrare nuove forze nel club».

Può spiegarlo meglio?

«Per esempio, ho visionato i documenti della trattativa che la Breda Holdings (che oggi ha il 38% delle quote societarie della Juve Stabia, a marzo salirà al 52%, ndr) voleva intavolare con il presidente Guarascio per l’acquisizione del club. Gli sono stati chiesti ripetutamente degli incontri fino alle festività di Pasqua dello scorso anno, poi uno dei soci è riuscito a fissare un appuntamento in un albergo di Reggio Emilia prima della partita contro la Reggiana che abbiamo vinto 4 a 0. Questo signore ha atteso invano per ore l’arrivo di Guarascio, alla fine si è trovato da solo con una fattura pagata del fitto della sala riunioni dell’albergo. Di quella fattura ho la fotocopia. Ma penso anche a quello che è successo durante la pandemia».

A questo punto ce lo dica.

«Alcuni imprenditori locali avevano proposto alla società di creare un centro sportivo giovanile mettendo a disposizione dei terreni di loro proprietà. La risposta di Guarascio è stata negativa. Questo per dire che non è assolutamente vero che qui non ci sono imprenditori pronti ad investire nel Cosenza calcio. Basta pensare anche al pesante contributo fornito ogni anno dagli sponsor locali, si può dire che sono loro a tenere in piedi il club. Lui a dicembre scorso li ha esortati non ad entrare in società, ma a dare di più. Io sto ancora chiedendo scusa ad un amico a cui nella passata stagione ho fatto fare una sponsorizzazione importante per il Cosenza. Neanche un punto di quel contratto è stato rispettato e la vicenda non è finita bene. Tutto questo, e tanto altro, sta durando da almeno tre anni e soltanto oggi esce allo scoperto».

A questo punto la domanda è d’obbligo: crede all’intenzione di Guarascio di voler cedere la società?

«Spero che non sia una delle sue solite frasi buttate lì per calmare un po’ le acque. Non è che non ci credo, però dico che se ha deciso per la vendita, vuol dire che ha già fatto vedere tutte le carte agli eventuali acquirenti, altrimenti le sue sono solo parole prive di fondamento. È ovvio che una volta lette le carte, chi vuole acquistare sa di cosa si parla e lancia la sua offerta».

Qualcuno leggendo questa intervista potrebbe pensare che lei ce l’ha con Guarascio.

«Per niente, ho sempre avuto un buon rapporto con lui, molto franco. Quest’anno, non so perché, mi è stato tolto l’accredito ma non mi interessa assolutamente. Ho sempre preferito la curva alla tribuna blu. Io tifo Cosenza e mi auguro che queste trattative di cui parla siano reali e che si possa trovare una soluzione soddisfacente per tutti».

A suo avviso perché Guarascio non è mai riuscito a farsi amare dalla piazza?

«Perché gli manca una caratteristica fondamentale, con lui ne ho parlato più volte: non è mai stato tifoso del Cosenza e non si è mai innamorato di Cosenza e del suo pubblico. Non ha mai compreso l’eccezionalità e la generosità dei tifosi, non si è mai confrontato con loro. Anzi, è sempre andato allo scontro e ora ne sta pagando le conseguenze» 

Cosa pensa dell’incontro di giovedì scorso con il sindaco, seguito dalla contestazione dei tifosi?

«Ammetto che un po’ mi dispiace, ma se si è arrivati a questo punto, c’è un motivo. Se si crede di essere trasparenti e di avere la coscienza a posto, le contestazioni vanno affrontate e non evitate. Anche la sua fuga dallo stadio di qualche settimana fa, non è stato un bel vedere, sono episodi che bisognerebbe evitare. Ma, ripeto, non è stato compreso fino in fondo l’amore estremo che questa piazza nutre per la propria squadra del cuore». (f.veltri@corrierecal.it)

Nella foto di copertina Damiano Paletta con Pino Chianello

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