di Marco Alterini – Come sappiamo i nostri tradizionali mercati rionali sono in difficoltà e subiscono quella crisi che li accomuna ai negozi di vicinato, insieme ai quali contribuiscono a mantenere in vita i nostri borghi e il turismo, che vede nei centri storici il made in Italy più autentico, quando questi sono realtà vive e vitali con il loro commercio di prossimità, sia stanziale che ambulante.
Nel quinquennio 2018-2023 le imprese attive del settore in Toscana sono passate da 13.453 a 11.202, subendo un calo del 16,7%, lo 0,5% in più della media nazionale. Nel commercio ambulante alle problematiche oggettive della concorrenza della grande distribuzione e dell’e-commerce, insieme al ridotto potere di acquisto di stipendi e pensioni e alle cambiate abitudini sociali che portano un minore afflusso di persone nei centri storici, come accade anche per i negozi di vicinato, si somma l’incertezza determinata dalla Bolkestein, che mette in discussione il rinnovo delle concessioni.
A Ponte a Poppi abbiamo il nostro mercato storico del martedì che fino ad ora sembra resistere alla crisi e si presenta, con i suoi 30 banchi in grado di dare un’offerta commerciale ben variegata, come l’unico mercato della vallata che ancora funziona e come uno dei meglio riusciti a livello provinciale. Sono ancora tante le persone che il martedì si recano a fare spesa in piazza Garibaldi provenienti da tutto l’alto Casentino.
Tutto questo nell’indifferenza delle nostre Amministrazioni, diversamente come si spiega che oggi, quello che maggiormente mette in difficoltà questa area mercato, è il fatto di subire ancora le norme adottate contro l’epidemia di Covid, ufficialmente terminata il 5 maggio 2023. Il mercato di Ponte a Poppi occupava tradizionalmente l’intera piazza Garibaldi con i banchi dei generi alimentari amalgamati con quelli di generi diversi, come accade in tutti i mercati, in quanto, essendo questi considerati più attrattivi, devono spingere la clientela a visionare anche i banchi di altri settori commerciali.
La vecchia Amministrazione, per evitare il passaggio delle auto attraverso il mercato, giudicato potenzialmente pericoloso, aveva deciso di posizionare i banchi solo su metà piazza, utilizzando anche parte del piazzale antistante la casa della salute, fermo restando la diversificazione dei vari generi. Questo fu uno dei motivi, non il solo, che giustificarono l’abbattimento del vecchio e fatiscente cinema Dante.
L’ emergenza pandemica con l’obbligo di aumentare gli spazi tra i banchi per evitare che la clientela si accalcasse, costrinse l’Amministrazione a utilizzare tutta piazza Garibaldi insieme al piazzale dell’ex cinema, dove furono posizionati tutti i banchi di generi alimentari, che erano quelli che richiamavano più gente e lì si trovava più spazio per garantire il distanziamento. Tutto questo ha messo in crisi l’integrità del mercato e penalizzato i banchi di generi diversi dall’alimentare, che si sono visti tagliati fuori dal maggiore flusso di visitatori, ma purtroppo era necessario per proteggersi dalla diffusione del Covid.
Quello che non si capisce è perché a distanza di 2 anni dalla fine della pandemia non è stato ripristinato il mercato con i giusti criteri commerciali, riassegnando i posti secondo una graduatoria che può essere aggiornata, tanto più che tre postazioni hanno chiuso e una è in vendita e attualmente non presente. Questo poteva già essere stato fatto dalla vecchia Amministrazione e qui hanno una responsabilità anche le associazioni di categoria con i loro sindacati di riferimento, compreso noi di Confesercenti, che non abbiamo fatto abbastanza per sensibilizzarla su questo problema.
Oggi quello di Ponte a Poppi è l’unico mercato della provincia e forse dell’intera regione ancora bloccato dalle norme contro il Covid, con il disappunto, per non dire rabbia, degli ambulanti, che minacciano di non pagare più il suolo pubblico. In questo modo si sta uccidendo l’ultimo mercato funzionante, con un danno per tutto il Centro Commerciale Naturale di Ponte a Poppi e un disagio per tutti gli abitanti del comune, che vedono morire un riferimento storico che caratterizza l’intera area urbana di Poppi.
Arrivata la nuova Amministrazione sembrava che il problema si sarebbe velocemente risolto riposizionando il mercato nell’intera piazza Garibaldi con un equa distribuzione delle varie categorie merceologiche, questo per dichiarazione dello stesso sindaco, che è poi la soluzione preferita dagli stessi ambulanti. Successivamente l’Amministrazione ha poi cambiato idea ed è sembrata tornare alla vecchia soluzione delle due mezze piazze, per poi rimettere tutto in discussione e dichiarare che niente è stato ancora deciso.
Federico Bracciali (nella foto), storico ambulante del mercato settimanale di Ponte a Poppi, mi esprime il suo disappunto per quello che considera un delitto: in questo modo si uccide uno degli ultimi mercati rionali che ancora funzionano e lo si fa nell’indifferenza generale e di chi ci amministra. Sempre secondo Bracciali la soluzione sarebbe quella di riutilizzare l’intera piazza Garibaldi con una razionale distribuzione dei banchi e utilizzare il doppio senso di circolazione in via Nazario sauro solo per il martedì mattina, eliminando in questo modo l’attraversamento del mercato da parte delle auto, soluzione del resto già utilizzata in passato per la realizzazione di alcune fiere.
Federico continua esprimendo il desiderio di incontrare in piazza l’altro Federico, che è il nostro primo cittadino, per spiegargli sul posto come lui vede la soluzione di un problema che non giudica difficile da attuare. Le difficoltà che incontra il mercato di Ponte a Poppi sono l’ennesima dimostrazione di come, almeno nell’alto Casentino, non si capisce che i mercati rionali, insieme ai negozi di prossimità, contribuiscono in modo determinante a salvare i nostri borghi dal degrado e dall’abbandono.
Come si può pensare che il turismo sarà quel settore che nel futuro prossimo sosterrà l’economia della vallata, senza capire che per fare questo bisogna salvare l’integrità e la vitalità dei nostri centri storici e di come questi siano strettamente legati alla sopravvivenza dei piccoli negozi e dei mercati. Nel 2024 solo a Soci hanno chiuso 5 attività commerciali confermando un trend nazionale dal quale purtroppo anche la nostra vallata non è esclusa e questo sembra non interessare nessuno, mentre si continua a dichiarare di dover sostenere lo sviluppo turistico del Casentino.
È vero che nella nostra vallata è aumentata la ricezione, grazie soprattutto ai numerosi agriturismi ed è anche vero che questi lavorano, ma è anche altrettanto vero che si tratta principalmente di pernottamenti brevi, 4-5 giorni, di una clientela che tende a non uscire dalle strutture e che quindi porta poco alle altre attività della zona. L’ultima novità sono i villaggi eco compatibili immersi in quella natura dove un tempo andavamo a funghi o al pascolo e dove non è rimasto molto altro da fare, non si capisce come possano portare ad un esito diverso dagli agriturismi.
Le stesse presenze al castello di Poppi, anche se numerose, sono presenze mordi e fuggi, di un turismo di passaggio che visita il castello e se ne va. Poppi centro storico è giustamente annoverato tra in “Borghi Più Belli D’Italia”, ma senza un articolato progetto di supporto e di sostegno, non fa la differenza. Quel faraonico e costoso progetto della ciclopista sull’Arno, dalla sorgente alla foce, che doveva portare in Toscana le presenze del cicloturismo internazionale non è ancora concluso, tanto meno in Casentino, dove primi tratti conclusi necessitano già di essere ristrutturati e del cicloturismo internazionale nemmeno l’ombra.
Il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi poteva potenzialmente essere motore di turismo, ma non ha assolutamente centrato l’obiettivo. Il Golf Club di Poppi non ha ancora le 18 buche, che gli consentirebbero, in questo caso veramente, di portare turismo di qualità.
Nessuno ha il coraggio di affermare che, nonostante tutti i nuovi progetti, nella vallata abbiamo raggiunto l’apice turistico negli Anni ’70-’80 e dopo le cose sono solo peggiorate. A malincuore mi sorprendo, sempre più spesso, ad essere pessimista sul futuro della vallata.
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