Le ventate di novità sui temi più attuali continuano a spalancare le porte del palazzo arcivescovile di Siena e anche quelle, questo l’obiettivo, delle menti: un esempio è l’evento dedicato oggi al tema “Pena e speranza, la vita in carcere, le riforme necessarie”, nell’ambito delle iniziative giubilari dell’arcidiocesi, promosso dall’Arcidiocesi di Siena-Colle di Val D’Elsa-Montalcino e dalla Fondazione Derek Rocco Barnabei. Gli interventi
sono stati del cardinale Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena – Colle di Val D’Elsa- Montalcino; della presidente della Fondazione Derek Rocco Barnabei, Mario Marazziti della Comunità di Sant’Egidio; Giuseppe Fanfani, Garante dei detenuti per la Regione Toscana. E la sala gremita di pubblico.
“Il carcere, così com’è oggi, ha poche possibilità di svolgere la funzione per cui esiste: non dovrebbe essere solo un luogo di detenzione, ma un’istituzione capace di riabilitare. Purtroppo, spesso vediamo il contrario: persone che escono e tornano a delinquere nel giro di pochi giorni. Questo è particolarmente drammatico nei casi di violenza contro le donne o i bambini. Dobbiamo chiederci come migliorare la situazione. È necessario un confronto continuo, uno scambio di idee e un impegno per trovare soluzioni nuove ed efficaci” ha commentato Lojudice e in merito a un impegno della CET di cui è presidente, ha aggiunto “A volte cerchiamo soluzioni complesse, ma basterebbe guardare alle realtà che già funzionano. Perché in alcune carceri le cose vanno meglio e in altre no? Capire questi meccanismi ci permetterebbe di intervenire in modo più mirato.
L’obiettivo dell’iniziativa è quello di focalizzare l’attenzione sulle tante criticità che coinvolgono le persone che scontano una pena all’interno del carcere ed anche a sostegno della moratoria e dell’abolizione della pena di morte. “Papa Francesco – ha concluso – ha voluto aprire una porta santa all’interno di un carcere indicando a tutti la strada da percorrere per trasformare i luoghi di detenzione in ‘laboratori’ dove coltivare la speranza. Per questo abbiamo deciso, con la Fondazione Barnabei, di iniziare un percorso che ci porterà a vivere a dicembre il Giubileo dei detenuti”.
“La Fondazione Derek Rocco Barnabei – dice la presidente Anna Carli – fu costituita dalle Istituzioni senesi per dare seguito al testamento morale di questo giovane italo-americano la cui esecuzione della condanna a morte non fu scongiurata nonostante una campagna internazionale a suo sostegno, per la quale Siena si impegnò a fondo anche per i legami che la famiglia di origine aveva avuto con la nostra Città. La Fondazione, oltre a sostenere la moratoria e l’abolizione della pena di morte, è impegnata per il riconoscimento di tutti i diritti umani e per la dignità delle persone che scontano una pena all’interno del carcere. Il Giubileo dei Detenuti e la collaborazione con l’Arcidiocesi – conclude la Presidente della Fondazione – sono opportunità di riflessione e di impegno per tutti noi, credenti e non credenti, che hanno a cuore la dignità della persona e il rispetto delle finalità previste dalla nostra Costituzione per la pena detentiva. La perdita della libertà deve essere accompagnata da una condizione di vita attenta alle potenzialità e alle fragilità della personalità del detenuto o della detenuta, e quindi umanamente rispettosa e tale da dare nuovo senso al futuro e da scongiurare scelte personali drammatiche e irreversibili”.
“Le carceri e i detenuti hanno bisogno di talmente tante cose che qualsiasi cosa lei o io o qualsiasi altro possa fare è utile e gradita. In carcere manca oggettivamente tutto, manca lo spazio vitale, manca la dignità della pena, manca la speranza del futuro. Tutte queste sono cose particolarmente importanti lunghe da costruire, difficilissime da perseguire e quindi qualsiasi cosa si possa fare per queste è ben fatto” ha commentato Giuseppe Fanfani, Garante dei detenuti per la Regione Toscana. E Mario Marazziti della Comunità di Sant’Egidio ha aggiunto: “Gli obiettivi sono chiari: trasformare il carcere da un luogo disfunzionale, dove la vita si spegne nella disperazione e nella rassegnazione, a un ambiente di crescita e rinascita. Oggi, il 68% dei detenuti che scontano l’intera pena torna in carcere. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il carcere non rieduca, ma riproduce criminalità. Al contrario, vogliamo che il periodo detentivo diventi un’opportunità per ritrovare se stessi, la propria umanità e per riflettere. Inoltre, è fondamentale offrire formazione e strumenti concreti affinché i detenuti possano accedere al mondo del lavoro, in collaborazione con le imprese. Oggi c’è un forte richiamo da parte di Papa Francesco, nell’anno della speranza e del Giubileo, a compiere gesti concreti di misericordia. Abbiamo visto come Cuba abbia risposto liberando centinaia di prigionieri, così come accadde in passato con gli appelli di Papa Giovanni Paolo II. Ma attenzione: questo non è un atto di indulgenza né uno sconto immotivato della pena. È, piuttosto, il segno di uno Stato forte, capace di guidare la società verso una vera riabilitazione. L’indulto, quindi, non deve essere visto come una concessione ingiustificata, ma come uno strumento che, se ben strutturato, può favorire la reintegrazione sociale. Un esempio pratico? Creare un patto tra Stato, Regioni, Comuni e carceri per sviluppare progetti di formazione negli ultimi anni di detenzione, in collaborazione con le imprese. Questo modello ha già dimostrato di poter ridurre la recidiva dal 68% al 2%. I dati lo confermano: basta mettere in atto le giuste strategie”.
Katiuscia Vaselli
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