Dopo una lunga fase di stallo, nelle ultime settimane l’esercito regolare del Sudan ha raggiunto alcune importanti vittorie nella guerra civile che dall’aprile del 2023 sta combattendo contro il gruppo paramilitare Rapid Support Forces (RSF). Ora dice di essere vicino a riconquistare la capitale Khartoum: sarebbe la vittoria più importante in quasi due anni di guerra, e una svolta che cambierebbe la situazione sul campo. Abdel Fattah al Burhan, a capo dell’esercito regolare del Sudan (SAF) e presidente di fatto del paese, ha annunciato che quando riprenderà il controllo della capitale instaurerà un nuovo «governo tecnocratico» per gestire la guerra e «liberare il Sudan dai ribelli».
Il Sudan è il terzo paese più grande del continente africano e uno dei 20 più poveri al mondo. La sua popolazione è a larghissima maggioranza musulmana e per ampia parte di etnia araba. Al centro della guerra civile c’è il conflitto fra i due generali che con una fragile alleanza avevano instaurato una dittatura militare dopo il colpo di stato del 2021. Uno è al Burhan, a capo dell’esercito regolare, che conta circa 300mila soldati. L’altro è Hamdan Dagalo, conosciuto anche come Hemedti, che guida le RSF, gruppo paramilitare di grandi dimensioni (si stima abbia 100mila miliziani). Le RSF nacquero dai cosiddetti janjawid, miliziani di etnia araba che nel corso della guerra nella regione del Darfur, cominciata nel 2003, furono accusati di vari crimini di guerra e contro l’umanità.
Dopo il colpo di stato al Burhan e Dagalo iniziarono a guidare una giunta militare, il Consiglio Sovrano: al Burhan era presidente, Hemedti era il suo vice. Nel dicembre 2022, su pressione internazionale, i due generali acconsentirono ad avviare una transizione democratica, ma sul come farlo non ci fu accordo e nacquero le prime divisioni. A provocare la rottura dei rapporti fu in particolare la decisione di Burhan di integrare nell’esercito sudanese le RSF, guidate da Dagalo: questa scelta fu osteggiata molto duramente proprio dallo stesso Dagalo. La guerra iniziò pochi mesi dopo, nell’aprile del 2023.
Dagalo rispose con una prima offensiva nella capitale, sulle coste del Mar Rosso e in Darfur, ottenendo inizialmente alcune importanti vittorie. Da allora è cominciata una guerra cruenta: secondo stime incomplete ha causato almeno 60mila morti e ha obbligato 11 milioni di persone a lasciare le proprie case. Oltre 25 milioni di sudanesi, la metà della popolazione, sono gravemente malnutriti e molti rischiano la fame e la carestia. In questi mesi entrambi gli eserciti hanno bombardato i civili, saccheggiato le loro case, incendiato decine di città, commesso omicidi su base etnica, stupri e altri crimini sessuali nei confronti di donne e ragazze.
Dopo gli iniziali successi dell’RSF la guerra è entrata in una lunga fase di stallo che sembra essersi sbloccata solo nell’ultimo mese: l’esercito regolare ha prima conquistato Wad Madani, una città nel sud-est del paese che dal dicembre del 2023 era sotto il controllo delle RSF, ora ha annunciato di controllare tutta la parte nord della capitale Khartoum, dal fiume Nilo fino al centro cittadino. Era una zona considerata una roccaforte di Dagalo, che potrebbe decidere di ritirarsi completamente dalla capitale per concentrare le sue forze nell’ovest del paese, in Darfur. Se non lo facesse, la battaglia di Khartoum potrebbe proseguire ancora per alcune settimane, ma le RSF nella zona sono al momento isolate e in difficoltà.
La svolta nella guerra è arrivata anche per via del maggiore appoggio all’esercito regolare da parte di alcune forze islamiste presenti nel paese, nonché da parte della popolazione, quella più convintamente democratica, che era rimasta finora neutrale, considerando entrambi i generali come ugualmente colpevoli della situazione attuale.
Nel conflitto intervengono poi vari paesi stranieri, che in questi due anni hanno sostenuto le due parti. Il Ciad, la Russia (attraverso l’ex gruppo Wagner) e gli Emirati Arabi Uniti hanno armato e finanziato le RSF, anche se il governo emiratino ufficialmente ha sempre smentito ogni coinvolgimento. L’esercito regolare ha invece il sostegno di Egitto e Qatar, ma anche dell’Iran, che è stato accusato di avergli venduto dei droni.
Le vittorie dell’esercito sono state raggiunte con battaglie intense, nelle quali sono stati uccisi anche centinaia civili. Ci sono poi segnalazioni di esecuzioni sommarie, compiute da entrambi le parti.
Oltre alla zona della capitale, i combattimenti sono particolarmente intensi nel Darfur, dove le RSF mantengono il controllo delle maggiori città e dove da mesi assediano El Fasher, la capitale del Darfur del Nord: nella città la condizione dei civili è disastrosa, a gennaio un bombardamento ha colpito l’unico ospedale operante, uccidendo oltre 70 persone secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Al Burhan ha annunciato l’intenzione di approvare una nuova Costituzione e ha chiesto alla comunità internazionale di riconoscere il suo governo, rifiutando ogni ipotesi di negoziati con le RSF. Anche se l’esercito dovesse riuscire a riconquistare Khartoum e quindi l’est del paese, questo non risolverebbe la situazione in Darfur.
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