I centri migranti in Albania restano vuoti, il gestore licenzia i lavoratori

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Il governo ha assicurato che il progetto andrà avanti, ma i contratti del personale dell’ente gestore dei centri migranti sono stati annullati. I contratti stipulati tramite una succursale della coop Medihospes creata a Tirana. L’appalto vinto a maggio valeva 133 milioni di euro

La cooperativa Medihospes ha interrotto il rapporto di lavoro con quasi tutti i dipendenti assunti per la gestione dei centri in Albania, realizzati in base al protocollo firmato dalla premier Giorgia Meloni e dall’omologo albanese Edi Rama. In pratica non c’è più bisogno di lavoratori nei Cpr: il documento ottenuto da Domani conferma in via definitiva il fallimento del piano albanese del governo.

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha assicurato durante il question time alla Camera che il progetto Albania sarebbe andato avanti – «per sviluppare le notevoli potenzialità di utilizzo delle strutture» – nel tentativo di evitare di alzare bandiera bianca sul progetto che l’esecutivo considera un modello per tutta Europa.

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Mentre spiegava questo al Parlamento, un centinaio di lavoratori dell’ente gestore hanno ricevuto una lettera – che Domani ha potuto vedere – dal loro datore di lavoro: «La informiamo che a causa di una serie di pronunce giudiziarie contraddittorie e non conformi agli orientamenti della Corte di Cassazione italiana, nonché dell’impossibilità momentanea di accogliere nuovi flussi di migranti, siamo costretti a sospendere temporaneamente il nostro servizio», si legge.

La prefettura di Roma aveva aggiudicato a maggio 2024 l’affidamento alla cooperativa, un colosso già noto nel settore, mesi prima dell’effettiva apertura delle strutture di Shengjin e Gjader, i centri di identificazione e trattenimento destinate a persone salvate dalle autorità italiane in acque internazionali e provenienti da paesi considerati sicuri. E quindi sottoponibili alle procedure accelerate di frontiera. Centri che in quattro mesi sono stati operativi per un totale di circa due settimane.

Medihospes era stata scelta all’esito di una procedura negoziata, senza gara, del valore di 151,5 milioni di euro per quattro anni con un ribasso del 4,94 per cento. Questo accadeva a maggio 2024. Otto mesi dopo, a fine gennaio 2025, però, la prefettura e la cooperativa non avevano ancora firmato alcun contratto. A riferirlo la deputata del Partito democratico Rachele Scarpa, entrata nei centri per monitorare le procedure del terzo trasferimento di 49 migranti, a cui i funzionari avevano riferito di aver ultimato le procedure e di essere pronti a firmarlo, il giorno successivo.

La succursale

Ora, però, dalla lettera di licenziamento emerge un ulteriore novità: l’intestazione della comunicazione ai lavoratori è della succursale della cooperativa, aperta in Albania con sede a Tirana, creata dopo l’aggiudicazione dell’appalto. Il presidente è lo stesso della cooperativa italiana: Camillo Aceto, ex amministratore delegato della Cascina, la cooperativa commissariata – il commissariamento è poi stato revocato – nell’inchiesta della procura di Roma su “mafia capitale”.

Ad ogni modo, così come la srl è stata creata sulla base del diritto albanese, anche le norme – richiamate nella lettera – su cui si basa il rapporto di lavoro interrotto sono disposizioni del codice del lavoro albanese. Quindi, nonostante la stazione appaltante e l’ente gestore fossero italiani – senza contare che i centri sono considerati in base all’accordo territorio italiano – sono state applicate le norme albanesi, attraverso quello che viene definito il distacco comunitario del lavoratore.

La comunicazione, firmata quindi dall’amministratore di Medihospes Albania, ha informato i dipendenti che «il contratto di lavoro» tra la cooperativa e il lavoratore «sarà considerato risolto a partire dal 15 febbraio 2025 fino a nuova comunicazione». E, «in attesa di una soluzione giuridica stabile e definitiva», conclude la lettera, «la ringraziamo per la sua comprensione».

Non è chiaro se la decisione della cooperativa sia arrivata su impulso della prefettura di Roma, la stazione appaltante. Di certo, le prime righe della lettera, che richiamano le pronunce giudiziarie «contraddittorie e non conformi agli orientamenti della Cassazione», sembrano essere state scritte dai rappresentanti del governo, che dal primo trasferimento a oggi hanno accusato i giudici, prima delle sezioni specializzate e poi delle Corti d’appello, di essere politicizzati e di remare contro i progetti dell’esecutivo.

Secondo una fonte sentita da Domani, a conoscenza del caso, nei centri sarebbero quindi rimasti solo alcuni medici e alcuni addetti delle pulizie, oltre agli agenti delle forze dell’ordine.

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Incognita governo di Tirana

Dalla riunione tecnica di lunedì a palazzo Chigi, per trovare una nuova soluzione normativa senza attendere la decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea, la soluzione più plausibile sembra essere quella di trasformare le strutture in Centri di permanenza per il rimpatrio. Il governo mira a non modificare l’accordo firmato con il primo ministro albanese. Anche perché per Rama, contestato internamente dalle opposizioni per l’intesa con l’Italia, è iniziata la campagna elettorale in vista delle elezioni del prossimo 11 maggio e potrebbe non essere politicamente conveniente concedere modifiche all’Italia.

L’accordo è passato dai parlamenti di entrambi i paesi e modificarlo significherebbe ricominciare l’iter parlamentare. In caso contrario, se si riuscisse a trovare un escamotage per non cambiare l’intesa, la soluzione più accreditata dei Cpr comporterebbe comunque molte incognite: come portare le persone già sul territorio italiano senza un permesso di soggiorno nei centri albanesi? Come rimpatriarli? Probabilmente dovrebbero rientrare in Italia per essere rimpatriati nei paesi di origine. «Il governo è al lavoro per superare gli ostacoli» ha detto Piantedosi in aula, ma la comunicazione ufficiale arrivata a un centinaio di dipendenti di Medihospes sembra suggerire il contrario.

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