La giusta battaglia in Europa, anche dell’Italia, per considerare la spesa sull’IA come una spesa per la Difesa

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I capitalisti piuttosto che essere osteggiati andrebbero aiutati dai governi a competere tra di loro per innovare. È arrivato il momento di trattare il tema dell’intelligenza artificiale come se fosse parte di un grande conflitto, e scomputare dal calcolo del deficit ogni investimento sull’IA


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Il summit mondiale sull’intelligenza artificiale celebrato a Parigi negli ultimi due giorni ha offerto numerosi spunti di riflessione per provare a ragionare attorno al futuro della leva innovativa più importante del mondo. Il primo spunto importante riguarda la presa d’atto da parte dei principali paesi europei che la vera sfida sull’intelligenza artificiale non si gioca sui princìpi, sulle regole, sull’etica, sulle buone intenzioni ma si gioca su un terreno unico che passo dopo passo appare essere sempre più esplicito, sempre più alla luce del sole e sempre meno un tabù: quello dei soldi. In questo senso, la novità più interessante della due giorni parigina è la consapevolezza da parte dell’Europa che nella grande guerra tecnologica sull’intelligenza artificiale che si sta combattendo  negli ultimi anni tra l’America e la Cina per l’Europa vi è solo una speranza per non restare schiacciati, per non essere irrilevanti, e quella speranza è fare qualche passo in più per provare a rendere l’Unione non un paradiso di norme ma di opportunità.

 

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione, ieri, intervenendo al summit, ha annunciato che la cifra messa sul piatto dalla Commissione, nell’ambito della strategia “InvestAi”, è pari a 200 miliardi di euro, ripartiti tra le iniziative europee private (150 miliardi) e i 50 miliardi mobilitati direttamente da Bruxelles (di cui 20 miliardi destinati alla creazione di Gigafactory). Nella logica di voler dare un futuro europeo all’intelligenza artificiale, spostare l’attenzione dalla centralità dello stato alla centralità dei privati può aiutare a considerare anche su questo terreno il perseguimento della logica del profitto non come uno scandalo ma al contrario come una via necessaria per creare innovazione attraverso la competizione.

 

Nella consapevolezza, come ha scritto mesi fa il Wall Street Journal, che creare valore e dare valore a ciò che si crea è l’unico modo per non disperdere un patrimonio di idee e anche di tecnologia. La direzione è giusta (e se sono veri i dati su DeepSeek, l’IA cinese, se davvero cioè si può competere con ChatGPT & Co. anche con piattaforme open source, senza doversi dotare della stessa capacità di hardware, allora significa che l’Europa è meno tagliata fuori di quello che credevamo, su questo terreno). Ma lungo questa direzione vi è un problema legato ai numeri. I 200 miliardi di euro dell’Europa sono una cifra poderosa se confrontata con l’Italia (mesi fa, il governo ha presentato come una rivoluzione copernicana un accordo tra Cdp e OpenAI sull’intelligenza artificiale dal valore di un miliardo di euro all’interno del quadriennio 2024-2028). Ma si tratta di una cifra irrisoria se confrontata non solo con tutto ciò che hanno stanziato negli Stati Uniti le grandi aziende tecnologiche (Google, Amazon, Microsoft e Meta hanno appena annunciato investimenti per oltre 500 miliardi di dollari per lo sviluppo dell’IA) ma anche con tutto ciò che nelle ultime quarantotto ore hanno fatto un paese europeo (la Francia ha annunciato investimenti dei privati per 109 miliardi di euro nell’IA) e un singolo privato (Musk ha inviato a Sam Altam un’offerta pari a 92 miliardi di euro per acquisire OpenAI).

 

La battaglia tra capitalisti non deve far paura, i capitalisti piuttosto che essere osteggiati andrebbero aiutati dai governi a competere tra di loro per innovare (ed evitare che i paesi europei producano altra spesa improduttiva, come capita oggi). E in questa logica è  interessante seguire una battaglia di cui il governo italiano si sta facendo  portavoce in Europa: se è arrivato il momento di trattare il tema dell’IA come se fosse parte di un grande conflitto, è arrivato il momento di considerare ogni investimento sull’IA come una spesa legata alla difesa del paese, dunque da scomputare dal calcolo del deficit. La direzione è giusta, ma per provare a contare qualcosa sul tema dell’IA la logica del profitto più che essere combattuta va incentivata, favorita e agevolata, non frenata a colpi di norme pericolosamente liberticide.



  • Claudio Cerasa
    Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e “Ho visto l’uomo nero”, con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.





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