Il primo ministro israeliano: se Hamas non restituisce gli ostaggi entro sabato a mezzogiorno il cessate il fuoco terminerà. 40.000 palestinesi sfollati in Cisgiordania
Non sembra esserci ancora pace per il popolo palestinese, che ora rischia di ritrovarsi nuovamente trascinato in una carneficina.
A minacciare l’inizio dell’ennesima scia di sangue è ancora Benjamin Netanyahu: in un messaggio diffuso martedì, ha dichiarato che se Hamas non rispetterà i termini dell’accordo di cessate il fuoco rilasciando i prigionieri entro sabato, Israele riprenderà le operazioni militari. “I militari torneranno a intensi combattimenti fino a quando Hamas non sarà finalmente sconfitto“, ha affermato il primo ministro israeliano, che ha anche ordinato alle truppe israeliane di radunarsi “all’interno e intorno alla Striscia di Gaza” in preparazione di un possibile ritorno alle ostilità.
“All’unanimita‘”, il governo israeliano ha deciso che “se Hamas non restituirà gli ostaggi entro sabato a mezzogiorno, il cessate il fuoco terminerà e l’Idf riprenderà a combattere intensamente finche’ Hamas non sarà definitivamente sconfitto“, ha ammonito Netanyahu.
In precedenza, Hamas aveva annunciato il 10 febbraio la sospensione “a tempo indeterminato” del rilascio degli ostaggi israeliani previsto per il 15 febbraio, accusando Israele di non rispettare i termini dell’accordo di cessate il fuoco. Abu Obaida, portavoce delle Brigate al-Qassam, l’ala militare di Hamas, ha dichiarato che il rilascio sarà posticipato fino a quando Israele non adempierà ai propri obblighi, ribadendo l’impegno di Hamas a rispettare l’intesa a condizione che anche Israele faccia altrettanto.
Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha definito la decisione “una completa violazione dell’accordo di cessate il fuoco” e ha ordinato alle Forze di Difesa Israeliane (IDF) di prepararsi “al massimo livello di allerta per ogni possibile scenario a Gaza”. Hamas ha accusato Israele di diverse violazioni, tra cui il ritardo nel consentire il ritorno degli sfollati nel Nord di Gaza, l’uso della forza contro i civili e il blocco degli aiuti umanitari ai livelli precedentemente concordati.
La situazione umanitaria a cui deve far fronte il popolo di Gaza continua ad essere drammatica.
Secondo l’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, solo 330 camion di aiuti entrano giornalmente nella striscia, poco più della metà dei 600 promessi nell’accordo di cessate il fuoco. Inoltre, molte delle tende e dei rifugi temporanei promessi non sono ancora arrivati, lasciando migliaia di sfollati senza un riparo adeguato. “Le persone stanno dormendo per strada o in tende improvvisate, senza accesso a cibo, acqua o medicine“, ha riferito Hani Mahmoud, corrispondente di Al Jazeera da Gaza.
La mancanza di carburante e di elettricità sta aggravando ulteriormente la crisi. Nonostante l’accordo prevedesse l’ingresso di 35 camion di carburante al giorno, solo 15 sono stati autorizzati finora, lasciando molti ospedali e strutture pubbliche senza energia e rendendo difficile fornire assistenza medica ai feriti e ai malati.
Al contempo, nonostante il ritiro israeliano dal Corridoio Netzarim, un’area strategica che divideva la Striscia di Gaza in due parti, la violenza intermittente non si è fermata: l’agenzia di difesa civile di Gaza che ha denunciato l’uccisione di tre persone e il ferimento di diverse altre a causa del fuoco israeliano nella zona orientale di Gaza City.
Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno dichiarato di aver sparato colpi di avvertimento verso “sospetti” che si erano avvicinati alla recinzione di confine nel Nord di Gaza, confermando che sono stati identificati “alcuni colpi a segno”, ma non hanno specificato se tra le vittime ci fossero civili o se qualcuno fosse effettivamente entrato nella zona cuscinetto.
Anche in Cisgiordania i palestinesi continuano a subire. Negli ultimi giorni, sono state segnalate incursioni e arresti in diverse città e campi profughi, tra cui Jenin, Tulkarem e Tubas. Le organizzazioni per i diritti umani hanno denunciato la distruzione di case e infrastrutture, nonché l’uso eccessivo della forza contro i civili palestinesi.
Sempre secondo l’UNRWA, oltre 40.000 palestinesi sono stati sfollati con la forza nelle ultime settimane a causa delle operazioni militari israeliane. “L’uso di attacchi aerei, bulldozer corazzati e armi avanzate da parte delle forze israeliane è diventato comune“, ha dichiarato l’agenzia in un comunicato. “Tali approcci militarizzati sono incompatibili con il contesto di applicazione della legge nella Cisgiordania occupata“.
La decisione di Hamas arriva inoltre poco dopo un’intervista in cui il presidente americano Donald Trump ha dichiarato che i palestinesi non potranno tornare a Gaza secondo il suo piano di trasferimento, che prevede lo spostamento dell’intera popolazione della Striscia in Giordania o in Egitto. Soluzione che sancirebbe l’ultimo capitolo di una pulizia etnica che perdura da decenni.
Tuttavia, la mossa ha suscitato forti critiche in Giordania, con il re Abdullah che si trova a dover bilanciare la dipendenza del paese dagli aiuti statunitensi con la popolarità interna dell’opposizione allo sfollamento forzato. “La Giordania non accetterà mai di diventare un paese alternativo per i palestinesi”, ha dichiarato un portavoce del governo giordano.
Ma anche l’Egitto ha respinto fermamente qualsiasi piano in tal senso. Il presidente Abdel Fattah el-Sisi ha sottolineato la necessità di ricostruire Gaza “senza spostare i palestinesi e in un modo che garantisce la conservazione dei loro diritti“. Il pericolo è senza dubbio che l’arrivo di due milioni di palestinesi muova la feroce opposizione interna della Fratellanza Mussulmana.
Anche a Gaza, nonostante la difficile situazione umanitaria, i palestinesi hanno espresso sconcerto rispetto alle dichiarazioni di Trump. “Non vogliamo lasciare la nostra terra. Siamo stanchi, ma vogliamo vivere in pace”, ha dichiarato Kamal Tbail, uno sfollato nella striscia.
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