Egitto e Giordania hanno ripetuto che la ricostruzione di Gaza dovrebbe avvenire senza lo spostamento della popolazione palestinese. Il presidente al-Sisi ha comunicato l’unità di intenti raggiunta ieri con re Abdallah durante una conversazione telefonica.
Una dichiarazione non del tutto scontata, dopo il cordiale e amichevole incontro tra il sovrano hashemita e il presidente degli Stati uniti, Donald Trump. Incontro conclusosi con la richiesta di assistenza del tycoon, perché Abdallah, faccia in modo che «Hamas, e gli altri leader arabi della regione, comprendano la gravità della situazione».
FONTI EGIZIANE hanno confermato alla Reuters che Abdel Fattah al-Sisi non si recherà negli Usa fino a quando l’agenda di Trump includerà il piano per spostare gli abitanti della Striscia. Anche il segretario generale della Lega Araba, Ahmed Aboul Gheit, ha affermato che l’opzione non è assolutamente contemplata e che il piano è «inaccettabile» per l’intera regione, perché il progetto non si fermerebbe a Gaza e «il mondo arabo ha resistito e combattuto questa idea per cento anni».
L’Egitto si sta muovendo su più fronti e sembra seriamente intenzionato a occuparsi non solo dell’attuale e delicatissima fase negoziale tra Israele e Hamas ma anche del destino della Gaza del dopoguerra. La delegazione di Hamas che è giunta al Cairo per parlare con i mediatori egiziani dimostra cauto ottimismo in merito al futuro del cessate il fuoco.
Dopo una giornata di scambi verbali feroci con i politici israeliani e statunitensi, il gruppo islamico ha dichiarato che dall’Egitto arrivano segnali positivi e i mediatori si sarebbero detti fiduciosi di riuscire a risolvere lo stallo entro sabato. Il Times of Israel, citando fonti egiziane, spiega che Tel Aviv si sarebbe impegnata a far entrare nella Striscia un numero maggiore di tende e mezzi pesanti che consentirebbero agli sfollati di ripararsi dal freddo e ai soccorritori di recuperare i corpi dalle macerie delle case distrutte.
Al-Sisi incontrerà presto al Cairo i leader di Arabia saudita, Emirati arabi e Qatar, per discutere la sua proposta di ricostruzione di Gaza. Secondo il canale qatariota Al Araby, il piano egiziano prevede due fasi per la sistemazione della Striscia del dopoguerra, da completare entro tre o cinque anni.
La popolazione di Gaza, intanto, vive al ritmo macabro dei giuramenti di sangue e vendetta e aspetta che giunga l’ora X stabilita dal premier israeliano Netanyahu alle 12 di sabato (le 11 in Italia). Se per quell’ora gli ostaggi (sul numero si starà trattando) non verranno rilasciati, la promessa è che gli aerei ricominceranno a bombardare e l’esercito riprenderà a sparare. I riservisti sono già stati richiamati. Non che gli attacchi si siano mai del tutto fermati. Anche ieri una persona è stata uccisa a Rafah e diverse sono state ferite. Israele ha dichiarato di aver colpito alcuni individui sospetti.
DOPO IL RITIRO dei militari dal Corridoio Netzarim, sempre più persone stanno raggiungendo la clinica gestita da Medici senza Frontiere nel nord di Gaza. L’ong ha fatto sapere ieri che arrivano tantissimi bambini, a piedi nudi, con ferite infette e che non riescono ad accedere alle cure necessarie.
L’Unicef si è detta, invece, «profondamente allarmata» per il numero crescente di bambini feriti e uccisi nella Cisgiordania occupata. Nei primi due mesi del 2025 sono stati tredici i bambini ammazzati nella West Bank, sette dall’inizio della violenta operazione militare israeliana «Muro di ferro».
Dal 7 ottobre 2023, 195 bambini palestinesi e tre israeliani sono stati uccisi nel territorio, compresa Gerusalemme est. A Nur Shams ieri un militare israeliano è stato ferito in uno scontro con i combattenti palestinesi, uno dei quali è rimasto ucciso. Il confronto armato è cominciato dopo un ordine di sfollamento forzato da parte dell’esercito che, secondo l’agenzia palestinese Wafa, ha usato gli altoparlanti di una moschea mentre sparava lacrimogeni e bombe sonore per spaventare la popolazione.
In diversi luoghi della Cisgiordania stanno sorgendo nuovi muri di divisione e i coloni prendono possesso di strade e aree in quello che sembrerebbe essere un piano geograficamente coordinato.
Ieri, Israele ha chiesto di posticipare nuovamente il ritiro delle sue truppe dal sud del Libano, previsto in seconda istanza per il 18 febbraio. Il presidente libanese Joseph Aoun ha immediatamente scartato l’ipotesi.
SECONDO l’emittente pubblica israeliana Kan, però, gli Stati uniti, che fino a un giorno fa sembravano voler costringere l’alleato a rispettare i tempi concordati, starebbero sostenendo ora la richiesta israeliana di mantenere truppe in cinque aree fino al 28 febbraio. Dopo la smentita delle notizie su un accordo tra Tel Aviv ed Hezbollah, la presidenza libanese ha rilasciato una dichiarazione in cui conferma di attendersi che Israele lasci il paese entro sei giorni.
L’esercito di Tel Aviv continua freneticamente a far esplodere abitazioni e strutture. Ieri ha dato alle fiamme alcune case e una fattoria, mentre i carri armati avanzavano nella zona di Meis el-Jab e gli aerei rompevano il muro del suono a Beirut.
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