Il Congo denuncia Apple per lo sfruttamento illegale delle sue risorse naturali – Scienza & Pace Magazine

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di Saverio Solimani

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La Repubblica Democratica del Congo (RDC) ha intentato azioni legali in Francia e Belgio contro Apple per crimini connessi all’approvvigionamento di materie prime provenienti da zone di conflitto. La multinazionale è accusata di usare prodotti di contrabbando all’interno della propria catena di fornitura globale. Le denuncia, che Apple respinge con forza, riporta l’attenzione sul problema di una “filiera etica” dei materiali nell’industria tecnologico-digitale.

L’azione legale, promossa dal ministero della Giustizia della Repubblica Democratica del Congo e supportata da una squadra di avvocati internazionali, accusa in particolare Apple di complicità con gruppi armati che esercitano il controllo sulle aree di estrazione mineraria situate nella regione orientale del paese.

I materiali al centro della controversia sono stagno, tantalio e tungsteno (i cosiddetti “minerali 3T”), componenti essenziali per la fabbricazione di dispositivi elettronici. L’accusa specifica che queste risorse vengono “estratte in Congo, vendute sui mercati internazionali e impiegate nei prodotti Apple”.

La catena di approvvigionamento di Apple sarebbe contaminata da “minerali sporchi di sangue” e finanzierebbe, indirettamente, milizie e gruppi terroristici, perpetrando un ciclo di violenza, sfruttamento minorile e devastazione ambientale: “queste attività hanno direttamente contribuito a migrazioni forzate, perdita di reddito e gravi violazioni dei diritti umani”.

Lo sfruttamento delle risorse della RDC durante il dominio coloniale belga, tra la fine del’800 e l’inizio del ‘900 conferisce una dimensione storica di lunga durata all’attuale azione legale. L’avvocato belga Christophe Marchand ha sottolineato questa responsabilità: “spetta al Belgio aiutare il Congo nel suo sforzo di usare i mezzi legali a sua disposizione per porre fine al saccheggio”.

Apple ha replicato alle accuse. “Con l’escalation del conflitto nell’ultimo anno – hanno affermato i vertici dell’azienda – abbiamo dato ordine ai nostri fornitori di sospendere la fornitura di stagno, tantalio, tungsteno e oro dalla Repubblica Democratica del Congo (RDC) e dal Ruanda”. Apple ha sottolineato i suoi sforzi per supportare organizzazioni che cooperano per alleviare le sofferenze della comunità e ha ribadito di aver rimosso imprese di smaltatura e raffinazione non conformi agli standard dalla propria catena di forniture.

Nonostante queste rassicurazioni, l’accusa ritiene le misure prese da Apple ancora insufficienti. Robert Amsterdam, uno dei legali che rappresenta la RDC, ha descritto l’azione legale come la “prima di una serie di azioni legali” indirizzate contro le multinazionali ritenute complici di violazioni dei diretti umani connesse all’estrazione dei minerali.

La parte orientale della RDC, al confine col Ruanda, è una delle regioni più ricche al mondo di minerali e, forse proprio per questo, è da anni segnata da violenti conflitti armati e da forme molto gravi di sfruttamento: più di cento gruppi armati si contendono il controllo dei redditizi giacimenti. Secondo le Nazioni Unite e le organizzazioni per i diritti umani, la violenza derivata dallo sfruttamento di queste aree ha costretto milioni di persone a migrare e ha portato a gravissime violazioni dei diritti umani, tra cui uccisioni di massa e violenze sessuali.

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Le Nazioni Unite e il governo della RDC denunciano da tempo il contrabbando di minerali 3T nel vicino Ruanda, da dove vengono poi esportati a livello globale. Il Ruanda ha ripetutamente negato queste accuse. Le nuove denunce della RDC contro Apple accusano l’azienda anche di pratiche commerciali ingannevoli, che avrebbero indotto i consumatori a credere in una catena di approvvigionamento “etica” che, nella realtà, non esisterebbe.

La questione dei “minerali sporchi di sangue” era già emersa con forza nel 2018, quando un’inchiesta della CBS attribuiva ad Apple e altre compagnie pratiche irregolari nell’estrazione del cobalto. Apple ha dichiarato di aver interrotto i legami con i fornitori problematici, ma i critici sostengono che alcune di queste collaborazioni continuino tutt’ora.

Parallelamente alla denuncia relativa ai minerali 3T, nel marzo del 2024 un tribunale federale statunitense ha respinto una causa intentata da privati contro Apple, Google, Tesla, Dell e Microsoft, accusate di sfruttamento del lavoro minorile nelle miniere di cobalto della RDC. Si tratta di un caso distinto dalle attuali denunce presentate dalla RDC in Francia e Belgio.

La documentazione legale raccolta dalla RDC cita anche l’esistenza di rapporti tra Apple e altre aziende, come la Global Advanced Metals e KEMET, accusate di approvvigionarsi di minerali attraverso pratiche di sfruttamento. Nel rapporto sarebbero coinvolte altre note multinazionali della tecnologia: “i team di due diligence di grandi aziende tecnologiche come Apple, Intel, Sony, Motorola e Lockheed Martin sarebbero stati informati del contrabbando di minerali dalla RDC attraverso il Ruanda, in un contesto di sfruttamento violento. Nonostante questa consapevolezza, le aziende continuerebbero a utilizzare tali minerali, provenienti da aree di conflitto armato e venduti in modo irregolare, nella fabbricazione dei loro prodotti, dai computer portatili agli aeroplani”.

Ulteriori evidenze accusano Apple di aver tratto profitto da attività criminali condotte in Ruanda, a dispetto delle dichiarazioni rilasciate ai media e delle comunicazioni inviate alla SEC, l’agenzia federale degli Stati Uniti per la regolamentazione e la supervisione dei mercati finanziari.

Per anni, Apple ha affermato che nessun fornitore di minerali ha finanziato gruppi armati in RDC o Ruanda. Nel gennaio 2014, ad esempio, l’azienda sosteneva che “tutte le fonderie di tantalio sono convalidate come estranee a situazioni di conflitto da revisori terzi”. Tuttavia, nello stesso periodo, gli investigatori delle Nazioni Unite hanno riferito che sacchi di tantalio estratto a Rubaya, nel Kivu settentrionale, regione devastata dalla guerra, venivano contrabbandati in Ruanda, e successivamente portati in magazzini di Gisenyi, dove venivano etichettati secondo il sistema di tracciabilità dell’International Tin Supply Chain Initiative, un’organizzazione che si occupa di monitorare la catena di approvvigionamento globale dello stagno e di altri materiali sensibili.

Un responsabile di Apple per i diritti umani e la sostenibilità sarebbe stato informato, durante viaggi a Kigali, del coinvolgimento di David Bensusan (direttore di MSA e noto contrabbandiere di minerali congolesi) nel trasporto di 3T attraverso il confine ruandese. Tra le aziende che acquistavano minerali da MSA e che figurano come fonderie e raffinatori nella catena di fornitura di Apple (ma anche di Intel, Boeing, Motorola, Dell, Tesla e Lockheed Martin), ci sono Global Advanced Metals, KEMET, Ulba Metallurgical Plant JSC, Wolfram Bergbau und Hütten AG, Malaysia Smelting Corporation e Thaisarco.

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Il rapporto legale predisposto dalla RDC, nel fare appello alla responsabilità delle imprese nell’approvvigionamento delle materie prime, raccomanda un boicottaggio globale dei minerali 3T di provenienza ruandese e auspica partnership dirette con i fornitori congolesi. “L’industria tecnologica deve assumersi una maggiore responsabilità delle sue materie prime”, ha dichiarato Amsterdam.

Ora spetterà alle autorità francesi e belghe stabilire se le denunce della RDC meritino ulteriori indagini. Qualora le accuse dovessero dar luogo a un procedimento, si produrrebbe un precedente significativo nell’accertamento della responsabilità delle multinazionali rispetto alla condotta delle loro catene di approvvigionamento a livello globale.

Con la crescente diffusione della tecnologia, l’attenzione all’approvvigionamento etico dei materiali è diventata una sfida globale. La Repubblica Democratica del Congo riveste un ruolo cruciale in questo contesto, essendo il principale fornitore mondiale di cobalto. In particolare, la regione sud-orientale del paese, nota come “cintura del rame”, concentra l’estrazione del 60-70% del cobalto mondiale, un minerale essenziale per le batterie agli ioni di litio e per altre tecnologie.

Nella causa contro Apple è in gioco la possibilità di uno sviluppo più equo, capace di interrompere il ciclo di sfruttamento e di violenza che affligge una delle regioni più ricche di risorse, ma anche tra le più tormentate del pianeta. Anche i consumatori dovrebbero far sentire la loro voce, in questo contesto, e far comprendere all’azienda – che vanta la più elevata capitalizzazione al mondo – che non sono più disposti ad accettare questo stato di cose.

 

Saverio Solimani studia “Informatica umanistica” all’Università di Pisa ed è collaboratore part-time di “Scienza&Pace Magazine”. Interessato al mondo dell’informazione e della comunicazione sui media, è speaker della radio dell’università, “Radio Eco”, e fa parte di “Attivamente”, un movimento nazionale di contro-informazione e attivismo antimafia e per i diritti umani.

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