La sessione di quest’anno del Tribunale Permanente dei Popoli (TPP), che ha avuto luogo il 5 e 6 febbraio 2025 presso la Vrije Universiteit di Bruxelles, ha esaminato i crimini di guerra e le violazioni dei diritti umani commessi dallo Stato turco contro la popolazione curda nella regione del Rojava (Nord ed Est della Siria) dal 2018 a oggi.
Con la partecipazione di procuratori dell’accusa e giudici, sono state esaminate prove, ascoltate testimonianze dirette e analizzati report di attivisti per i diritti umani. Tra gli enti sostenitori, il Centro per la Ricerca e la Protezione dei Diritti delle Donne, il Congresso Nazionale del Kurdistan (KNK) e l’Associazione Internazionale degli Avvocati Democratici (IADL). Inoltre, tra le delegazioni internazionali, hanno partecipato alla sessione anche Francesca Baruffaldi e Giuseppe Augurusa dell’area politiche internazionali della Cgil Lombardia, portando il proprio supporto e il proprio impegno per il rispetto dei diritti umani, nel contesto internazionale ma anche italiano.
Nelle stesse giornate, infatti, anche in Italia si è alzata l’attenzione sulla questione curda con l’occasione della svolta giudiziaria sul caso di Maysoon Majidi, attivista curda iraniana liberata dopo dieci mesi di detenzione con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Una scarcerazione accolta con grande soddisfazione, soprattutto da tutti i soggetti difensori dei diritti umani che hanno sempre sostenuto la sua innocenza. Maysoon Majidi, dichiarava infatti di essere una migrante come gli altri, e durante la detenzione aveva anche intrapreso uno sciopero della fame per protestare contro la sua incarcerazione. Si definisce infatti una «perseguitata politica, né scafista né una migrante economica, ma scappata dall’Iran per sfuggire alle persecuzioni del regime. Trentasette organizzazioni hanno accertato che ho collaborato in tutti questi anni con loro».
Crimini documentati e accuse al governo turco
La sessione del Tribunale ha quindi trattato nella prima giornata i temi dello sfollamento forzato della popolazione e dell’ingegneria etnica in Afrin. Pratiche che, insieme ai bombardamenti indiscriminati, alle torture dei civili sfollati a Tel Rifat e alla distruzione delle infrastrutture essenziali, hanno portato all’accusa rivolta allo stato turco di crimini contro l’umanità. La seconda giornata, invece, ha approfondito la pratica dei femminicidi e degli stupri mirati come strategia di attacco alla forte presenza delle donne nel confederalismo democratico curdo, e strumenti di sostituzione etnica come l’uso di droni contro i civili per provocare lo sfollamento, la detenzione arbitraria nei cosiddetti “carceri segreti” e la cancellazione culturale e storica.
L’investigatore della squadra dell’accusa, Anni Pues, docente di diritto internazionale presso l’Università di Glasgow, ha presentato infatti una relazione dal titolo “Stupro e violenza sessuale nelle carceri segrete – metodi di tortura e guerra”. Tra tutti, il caso di Nadia Hassan Suleiman e Lonjin Abdo è stato illustrato come emblematico per le accuse di detenzione arbitraria, tortura, stupro e sparizione forzata. Questi atti esercitati dalla Turchia, ha dichiarato Pues, sono considerati crimini di guerra ai sensi del diritto internazionale consuetudinario. Nadia Hassan Suleiman e Lonjin Abdo, secondo l’accusa e le prove rilevate, sono state infatti sequestrate dalle autorità turche tra il 2 agosto 2018 e il dicembre 2020, detenute in condizioni disumane, torturate e violentate.
“Stiamo difendendo la coscienza collettiva, non stiamo solo difendendo il popolo curdo” ha affermato nella sua arringa finale una delle rappresentanti dell’accusa, “il Rojava è una storia di resistenza e le donne stanno combattendo per tutte le donne nel mondo.”
L’investigatore della squadra di persecuzione Socrates Tziazas ha poi illustrato il fenomeno della cancellazione culturale e storica, consultando il professor Odisseas Christou riguardo alla distruzione di siti archeologici come il Tempio di Ain Dara, distrutto dai bombardamenti turchi nel 2018. Afrin, ha sottolineato Tziazas, è una delle regioni con il più alto numero di siti archeologici e storici saccheggiati o distrutti dall’operazione militare turca “Ramo d’Ulivo” iniziata nel 2018.
“In Siria – afferma Tziazas – i droni turchi hanno bombardato la storia della civiltà, cercando di cancellarne anche le tracce. Oltre ad uccidere donne, bambini e uomini, oltre a distruggere le loro case, l’esercito siriano complice delle forze di occupazione turca bombarda la storia dell’umanità, perché non deve rimanere traccia di questi popoli, come se non fossero mai esistiti. E i ruderi vengono trasformati in uno scenario di guerra e di esercitazioni militari, dove ogni pietra antica affonda nella storia e si macchia di sangue.”
Dal punto di vista giuridico, l’avvocato ha spiegato come questo rientri nella fattispecie di un crimine contro l’umanità e un crimine di guerra. Con l’aggiunta di una fattispecie di reato internazionale ancora più mirata: l’ecocidio. Il degrado dell’habitat ambientale, distrutto di proposito, è catalogabile infatti come un crimine contro la popolazione locale.
Un altro episodio drammatico esposto dall’investigatore Rengin Ergol è il caso del bombardamento della scuola di Shemoka. Il 18 agosto 2022, un attacco aereo ha colpito una scuola civile dell’Amministrazione Autonoma della Siria Settentrionale e Orientale (AANES), causando la morte di diversi studenti e ferendo molti altri. I sopravvissuti hanno denunciato i fatti attraverso videomessaggi, evidenziando la mancanza di aiuti da parte delle organizzazioni internazionali.
L’ultimo caso esaminato dal Tribunale riguarda il bombardamento della Simav Printing House a Qamishlo, avvenuto il 25 dicembre 2023. Secondo l’investigatore Florian Bohsung, l’attacco ha ucciso sette civili e causato ingenti danni alla tipografia. Il Ministero della Difesa turco ha dichiarato che l’operazione mirava a obiettivi terroristici legati al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), ma le prove raccolte dimostrano che le vittime non avevano alcuna affiliazione politica o militare.
Testimonianze dirette e analisi delle prove
Durante il Tribunale, numerosi testimoni hanno fornito racconti diretti. Ibrahim Sheho ha descritto la situazione in Afrin dopo l’occupazione turca, mentre Hoshang Hasan ha testimoniato sugli attacchi contro i giornalisti e la repressione della libertà di stampa. Avin Suwed, Co-Presidente del Consiglio Esecutivo dell’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord e dell’Est, ha infine parlato delle conseguenze politiche e sociali dell’occupazione turca.
La strategia di sfollamenti forzati e ingegneria etnica nelle aree di Afrin, Ras al-Ayn e Tel Abyad è stata evidenziata come una pratica sistematica, così come la violenza di genere e i femminicidi mirati volti a indebolire il ruolo sociale delle donne. La distruzione delle infrastrutture mediche, energetiche e di rifornimento idrico sono armi puntate contro la popolazione civile siriano-curda. L’obiettivo di tutte queste pratiche è lo sfollamento definitivo dell’area, per una sostituzione etnica con popolazioni turcomanne e di lingua araba.
“Con gli occhi lucidi abbiamo assistito in diretta al racconto della storia recente di una parte del mondo che è vicinissima ai nostri confini, ma troppo spesso incompresa o ignorata” commenta Francesca Baruffaldi, dell’area politiche internazionali CGIL Lombardia.
Il verdetto del Tribunale
I risultati principali delle udienze del Tribunale hanno rivelato che dall’occupazione turca di Afrin nel 2018, oltre 300.000 persone sono state sfollate con la forza, e la popolazione curda ad Afrin è crollata da oltre il 90% ad appena il 25%. Le prove includono testimonianze di bombardamenti indiscriminati che hanno causato vittime tra i civili, in particolare tra i bambini, e la distruzione di infrastrutture vitali, portando a gravi crisi umanitarie, tra cui la mancanza di accesso all’acqua potabile e all’assistenza sanitaria.
Nella loro dichiarazione, i giudici hanno criticato la giustificazione della Turchia delle sue operazioni militari come autodifesa contro il terrorismo, affermando che l’Amministrazione autonoma democratica della Siria settentrionale e orientale (DAANES) rappresenta un modello di democrazia, coesistenza etnica e uguaglianza di genere che il governo turco cerca di smantellare.
Il verdetto del Tribunale, letto il 6 febbraio 2025, ha ribadito la responsabilità del governo turco per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, sottolineando la necessità di un’azione internazionale immediata per fermare la violenza e garantire giustizia al popolo curdo. Le prove indicano infatti lo Stato turco e i suoi alti funzionari come i principali responsabili del terrore contro le popolazioni civili, piuttosto che i combattenti curdi che si sono opposti attivamente all’ISIS. La decisione del Tribunale rappresenta un’importante denuncia pubblica, contribuendo a documentare le violazioni e a sensibilizzare la comunità internazionale sulla gravità della situazione in Rojava.
Per Giuseppe Augurusa, presente alla sessione insieme a Francesca Baruffaldi, “la storia sembra tornare indietro, ma finché potremo, lotteremo per i diritti degli oppressi contro gli oppressori. Come sindacalisti che da sempre lottano per il riconoscimento dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, crediamo che questi siano inscindibili dai diritti umani e civili di ogni popolo. La lotta per l’autodeterminazione del popolo curdo, schiacciato come minoranza dalla Turchia e non solo, riecheggia purtroppo il genocidio in Palestina. Un tragico filo conduttore che si dipana in questa fase storica, in cui le teorie negazioniste e le destre estreme stanno prendendo piede anche nelle democrazie più antiche del mondo.”
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