Pieni poteri a Elon Musk: perché la «logica della rivoluzione» della Silicon Valley è entrata nello Studio Ovale

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di
Massimo Gaggi

La prima apparizione del miliardario nello Studio Ovale: attacco senza precedenti (e senza prove) alla macchina governativa Usa

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Donald Trump ben piantato dietro la Resolute Desk dello Studio Ovale con Elon Musk in piedi al suo fianco: l’immagine smentisce la copertina di Time che aveva messo il miliardario di Tesla e SpaceX dietro la scrivania simbolo del potere. Ma il video della straordinaria mezz’ora della prima apparizione di Musk nello Studio Ovale rende ufficiale quella specie di diarchia fin qui emersa dalle prime tre settimane della nuova amministrazione: Trump che si limita a cenni benevoli di approvazione mentre Elon racconta il contenuto rivoluzionario di quello che sta facendo. Usa la stessa tecnica oratoria del presidente: affermazioni esplosive come sulla pubblica amministrazione accusata di essere tutta nelle mani di corrotti e incompetenti (senza, peraltro, esibire le relative prove) per giustificare il tentativo della sua task force dell’efficienza, il Doge, di azzerare intere agenzie federali.

Di fatto Musk rivendica pieni poteri con l’assenso di Trump e per la prima volta ammette quello che scriviamo da mesi: l’obiettivo dei tecnologi trumpiani era quello di trasferire nella macchina del governo di Washington la logica della rivoluzione imprenditoriale della Silicon Valley fissata nello slogan «muoviti velocemente e sfascia tutto». Ora Musk spiega che sta facendo proprio questo perché non solo il deep state al quale Trump ha dichiarato guerra, ma l’intera macchina del governo va demolita: secondo lui, miliardario non eletto che smonta un sistema costruito sulla base di leggi votate dal Congresso, «la burocrazia è un quarto potere non eletto e incostituzionale: se comandano loro che democrazia è?». Trump non solo annuisce ma firma l’ennesimo ordine esecutivo presidenziale che lo autorizza ad attuare una riduzione della forza lavoro su larga scala in tutte le agenzie governative e gli dà pieni poteri anche per sostituire i licenziati con nuovi assunti.




















































Cose mai viste nella storia americana: affermare il contrario è surreale. Ma il surreale sta prendendo piede perché, messo per ora a tacere il Congresso, il tandem Trump-Musk usa le tecniche miranti ad alterare la percezione della realtà contro l’unico potere che ancora può contestare decisioni che violano le leggi esistenti: quello giudiziario. Anche se il governo già li ha ignorati più di una volta, Trump dice che rispetterà gli ordini sospensivi dei giudici. Ma farà ricorso e li ha bollati come un tentativo di fermare le sue riforme mentre Musk va molto più in là nel travisare i fatti: nello Studio Ovale attacca il giudice che ha sospeso l’accesso dei ragazzi del Doge al sistema dei pagamenti del Tesoro, definendolo un attivista. Poi su X afferma che è in atto un colpo di Stato giudiziario per fermare Trump. E, ancora, «c’è un tentativo di golpe da parte di attivisti radicali di estrema sinistra che si fingono giudici». E, come se non bastasse, ritwitta, aggiungendo «Bravo!», un post nel quale si chiede l’impeachment dei magistrati «che minano la volontà del popolo e distruggono l’America».

Musk porta alle estreme conseguenze la logica distorta di Trump che considera il voto degli elettori un’autorizzazione a realizzare tutto quello che ha promesso e minacciato in mille accaldati comizi. E pazienza se prima delle elezioni il futuro presidente aveva spiegato che Musk avrebbe avuto un ruolo di consulente esterno al governo col compito di effettuare un auditing, identificare problemi e proporre soluzioni. Del resto allora aveva anche disconosciuto il piano di smantellamento dell’attuale pubblica amministrazione e radicale espansione dei poteri presidenziali contenuti nel Project 2025 della Heritage Foundation che ora sta puntualmente attuando. Avendo, oltretutto, chiamato a gestire l’Ufficio del Bilancio (e, quindi il centro nevralgico di tutti i pagamenti), l’architetto di quel progetto, Russell Vought.

Ma ormai l’invettiva e la rivendicazione enfatica contano più della fredda, e assai meno attraente, realtà dei fatti. Così Musk può sostenere che l’azione del suo Doge è legittima anche perché assolutamente trasparente, anche se, in realtà, fin qui la task force si è mossa in segreto e lui ha definito addirittura un crimine la pubblicazione dei nomi di suoi membri da parte della stampa. E la trasparenza? La fa lui mettendo su X le informazioni che gli garbano. E il conflitto d’interessi, visto che le sue aziende hanno contratti miliardari col governo? Non c’è perché quei contratti non li firma personalmente lui. Unica differenza da Trump che non ammette mai un errore: lo scandalo dei 50 milioni di dollari spesi per preservativi distribuiti a Gaza era una bufala. Musk riconosce che farà errori e promette di correggerli. E se sta smantellando sulla base di informazioni errate? Inconvenienti che capitano nelle rivoluzioni. Così è, se vi pare.

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