tre milioni di italiani chiedono aiuti, gli altri sprecano

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Sulla base dei dati del Fondo per l’aiuto europeo agli indigenti (Fead), sarebbero circa 3 milioni le persone in Italia ad aver richiesto aiuti alimentari nel 2022. È per questo che quanto emerso dall’Ispra in occasione della Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare dello scorso 5 febbraio risulta ancora più indigesto: in estrema sintesi, “sono sprecati circa due terzi dell’energia alimentare prodotta. Da ciò si deduce che è prodotto il triplo di quanto mediamente è necessario e viene distribuito iniquamente e sprecato”.

Si fa presto a dire “spreco”

Non è banale soffermarsi per un momento sul significato. Come spiegato anche nella nota metodologica dell’Ispra, l’analisi guarda all’intero sistema alimentare nazionale (“spreco sistemico”) considerando tanto i dati relativi alle perdite (ovvero al momento della raccolta dai campi e della pesca e durante le fasi di conservazione, trasporto, trasformazione e distribuzione all’ingrosso), quanto quelli relativi ai rifiuti alimentari (che riguardano le fasi di distribuzione al dettaglio e di consumo). Non solo: ci si sofferma anche sulla sovra-alimentazione (cioè l’eccedenza rispetto ai fabbisogni raccomandati) e sulla perdita netta negli allevamenti derivante dalla conversione di input edibili per l’essere umano (cioè grano, soia, mais, ecc sottratti al consumo umano per nutrire gli animali negli allevamenti).

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Dati indigesti

In termini di kcal/persona/giorno secondo Ispra c’è un aumento del 17% tra il 2015 e il 2021 e più in generale, nonostante la riduzione della popolazione del 2,7%, lo spreco del Paese (in termini di kcal/giorno) aumenta del 14%. Interessante il nodo allevamenti: qui “lo spreco edibile rappresenta la componente maggiore, circa due terzi dello spreco totale, con un’inefficienza del 77% nella conversione in derivati animali. Gli sprechi lungo la filiera tra produzione e consumo aumentano del 6%. Ogni 5 calorie consumate una è in eccesso rispetto ai fabbisogni medi raccomandati, con una forte crescita del 32%”. Il che apre il tema della dieta e della salute, per cui “circa il 43% della popolazione adulta è in sovrappeso o obesa”, soprattutto a causa del consumo di prodotti industriali ultraprocessati a base di cereali, zuccheri, sali e grassi insaturi. Si può stimare che più di un italiano su due soffra gravi problemi nutrizionali (sovrappeso, denutrizione…) con probabilità di sviluppare tra l’altro cancro, diabete, danni cardiovascolari, sindromi metaboliche. Il tutto mentre, come si è detto, 3 milioni di persone hanno difficoltà a fare la spesa.

Lavorare in piccolo

Sul tema, gli appelli alla responsabilità da parte degli enti nei confronti dei cittadini si sprecano – appunto. Certo, qualche attenzione in più il consumatore ce la può mettere, ma deve anche sapere che ad esempio lo yogurt, se tenuto in frigo, può durate anche 10 giorni in più rispetto alla data di scadenza indicata (restrittiva invece per il distributore); molti prodotti secchi come craker e biscotti possono durare anche un mese di più. Inoltre, secondo Ispra, “rispetto ai sistemi convenzionali, si osserva un miglior uso delle risorse e una riduzione media degli sprechi del 67% nei sistemi alimentari regionali, biologici, a medio-piccola scala, per esempio mercati locali degli agricoltori bio. Fino al 90% in meno in reti agroecologiche, locali, mutuali, a piccola scala, per esempio in Csa o Gruppi di Acquisto Solidali. Purtroppo solo il 3% circa dell’alimentazione riesce a passare stabilmente dalle filiere corte, nonostante incontrino elevata preferenza da parte della popolazione”.

L’esperienza dell’Emporio solidale Beato Erico

Siamo in via del Bagattino (pieno centro storico) in una location rinnovata lo scorso autunno dove operano decine di volontari e registra ad oggi almeno 115 persone “clienti”. In questo Emporio (ce ne sono altri 20 in Veneto) quanti hanno un Isee inferiore a 9.360 euro possono “acquistare” i prodotti loro necessari tra alimentari, cura per la casa e per l’igiene con una tessera a punti in proporzione al numero di componenti del nucleo familiare. L’associazione, facente capo alla S. Vincenzo di Treviso, nel 2024 ha potuto donare 274mila euro di generi di prima necessità, di cui il 98% donato dal Banco Alimentare o da privati e il 2% acquistato direttamente (per quei sei o sette beni che non è facile trovare in gran quantità vicini alla scadenza, come latte e olio di semi). Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, i volontari si recano in nove supermercati della zona e al Mercato ortofrutticolo, che donano le loro eccedenze; i prodotti vengono poi vagliati uno ad uno in termini di qualità (e il 30% finisce comunque con l’essere buttato via) sia di quantità, ovvero se ci sono eccedenze rispetto alla richiesta media dell’Emporio, esse vengono ridistribuite attraverso una decina di associazioni territoriali, ad esempio a parrocchie o altri empori. “Noi svolgiamo una buona integrazione, ma certamente non risolutiva” spiega Roberto Santomaso, presidente della San Vincenzo di Treviso, e questo perché la problematica in città è molto estesa, e sempre meno latente. “Il meccanismo virtuoso però è importante: ciò che le aziende scartano, le eccedenze appunto, per noi sono una risorsa preziosa perché ci permettono di aiutare molte persone”.

Il Banco Alimentare a contatto con le aziende

L’Emporio solidale di via del Bagattino è uno dei 463 partner territoriali del Banco Alimentare Veneto. Compito del Banco Alimentare è quello di supportare le associazioni nel reperimento e rifornimento del cibo, di modo che possano concentrare maggiormente le energie nel rapporto con i clienti. I numeri sono importanti ma non esaustivi: 10.846.000 pasti consegnati nel 2023, 5.423 tonnellate di cibo raccolte, oltre 85mila persone assistite. E il vantaggio è anche per l’azienda che dona le eccedenze: “fiscale perché il prodotto donato è detraibile, economico perché si risparmia nel costo di smaltimento, ma anche sociale, perché molte aziende hanno constatato che questo tipo di azione solleva i propri indici Esg in termini anche ambientali e sviluppa il legame con il territorio” spiega Adele Biondani, presidente del Banco Alimentare Veneto. “C’è sicuramente sensibilità crescente da parte del mondo produttivo industriale e della Gdo rispetto a chi è in difficoltà”.

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Obiettivi globali

Stando al rapporto SOFI – The State of Food Security and Nutrition in the World della FAO (l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) sono state 828 milioni di persone ad aver sofferto la fame nel 2021, quasi il 10%; si tratta di 150 milioni in più rispetto al 2019, segno che il trend è tutt’altro che in diminuzione. E questo senza contare quanti si trovano in situazioni di insicurezza alimentare e di quanti non possono permettersi una dieta sana. Per questo le Nazioni Unite hanno dedicato l’obiettivo 12 dell’agenda 2030 a “consumo e produzione responsabili”, che passa anche per il punto 3: “Entro il 2030, dimezzare lo spreco alimentare globale pro capite a livello di vendita al dettaglio e dei consumatori e ridurre le perdite di cibo durante le catene di produzione e di fornitura, comprese le perdite del post raccolto”.



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