Le filippiche che l’opposizione innalza contro i centri di deportazione e detenzione in Albania, o la minacciosa e intimidatoria intrusione del governo nella liberà di stampa e di insegnamento, rimangono come sospese nel vuoto. Sono denunce più che doverose. Ma non creano massa critica. L’opposizione interpreta le domande di metà dell’elettorato italiano. Ma fatica a tradurle in forza politica
La politica nazionale vive una fase di stallo. All’opposto, quella internazionale viaggia a ritmi vorticosi grazie (?) al nuovo presidente americano, Donald Trump, le cui piroette e provocazioni scuotono tutto il mondo. Del resto, chi siede sul gradino più alto può fare quello che vuole, se non trova ostacoli. E probabilmente non siamo che all’inizio, in quanto il pesce grosso da fiocinare, per Trump, è l’Europa: il suo tesoro di consumatori da spennare, di risparmiatori da prosciugare, e di produttori da portare in patria.
Gli europei sono sotto shock, come scriveva su questo giornale Francesca De Benedetti: non si rendono conto del cambio di paradigma e non sono attrezzati a rispondervi anche perché, per decenni, i leader del continente sono stati accondiscendenti con tutto quanto faceva l’America. Basti pensare alla partecipazione di tanti volenterosi del vecchio continente a fianco di George W. Bush nell’invasione dell’Iraq, vulnus alle regole di convivenza internazionale – per il quale aspettiamo ancora una parola di ripensamento dai tanti che applaudirono quell’aggressione.
Senza un collante
A fronte di un panorama internazionale così vorticoso, i lidi nazionali registrano calma piatta. Le filippiche che l’opposizione innalza contro i centri di deportazione e detenzione in Albania, o la minacciosa e intimidatoria intrusione del governo nella liberà di stampa e di insegnamento, rimangono come sospese nel vuoto. Sia chiaro: sono denunce più che doverose. Ma non creano massa critica. Non scaldano l’elettorato né inquietano il governo. Forse perché rimangono episodiche e non coordinate, forse perché, quando un partito si intesta una iniziativa, le altre forze dell’opposizione nicchiano o si voltano dall’altra parte, o, alla fine, arrivano solo se tirate per la giacca.
Forse, infine, perché manca il collante, una visione e una strategia comuni e alternative alla destra. Il progetto di società che immagina la sinistra – o il centro-sinistra se vogliamo ancora usare questa espressione desueta – sfuma dietro alcune parole simbolo come diritti, uguaglianza, sicurezza sociale. Anche qui, nulla da eccepire, ma ci vuole altro: una agenda progressista ben delineata. Le ragioni sono molte, ma due meritano particolare attenzione: una astenia intellettuale da pare delle leadership dei vari partiti attratte – e travolte – dal presentismo, dall’intervento immediato sui social media, e un caleidoscopio di opinioni sui singoli temi che non trovano, il più delle volte, terreno comune.
Il primo handicap è il meno visibile, eppure produce danni a lungo termine. La mancanza di luoghi per discutere e confrontarsi, all’interno e tra i partiti, azzoppa il passo delle opposizioni. Le rende incerte e malferme. Ad esempio, i temi oggi centrali della guerra, del riarmo e della pace, in connessione con i rapporti transatlantici, hanno bisogno di analisi e riflessioni condotte dai partiti che ne esprimano compiutamente le posizioni. Senza paura di confrontare voci diverse, che sono il sale della deliberazione. E questo vale per tutta la gamma delle questioni salienti. Solo così emerge una visione e una strategia comune.
Le sfere di influenza
Se si concretizza questo terreno comune non fa problema che ogni partito accentui alcuni aspetti particolari: è naturale che sia così perché ciascuno si rivolge al proprio riferimento sociale. Anzi, questo costituisce un valore aggiunto dell’opposizione dato che, al suo interno, vi sono complementarietà virtuose sul piano della rappresentanza sociale. Mentre il Pd rappresenta ceti medi e medio-alti, istruiti, urbani e anziani con qualche apporto studentesco, il M5s si rivolge prevalentemente ai ceti popolari prevalentemente meridionali, e ai giovani, componente, quest’ultima che condivide con la sinistra verde. E i centristi che pure condividono con il Pd un territorio di caccia sociale non dissimile, puntano alle fasce più alta della scala sociale. Questa divisone delle sfere di influenza diventa virtuosa a patto che venga definito il perimetro politico-ideale comune. Impresa non impossibile visto che c’è molta più sintonia sulla difesa ed estensione dei diritti in tutta l’opposizione di quanto non ve ne sia nella maggioranza (e all’interno della Lega, se si pensa alle posizioni di Luca Zaia). Lo stesso vale sulla politica internazionale, visto il baratro tra il filo-putinismo dischiarato di Salvini e l’atlantismo di Tajani (ora che non è più sconfessato da Berlusconi, nostalgico dell’amico Putin fino alla fine).
L’opposizione interpreta le domande di metà dell’elettorato italiano, nelle sue varie sfaccettature, confermano tutte le inchieste. Ma fatica a tradurle in forza politica. Deve ancora completare l’ultimo miglio: la tessitura di una trama convincente e mobilitante per il cambiamento. Il popolo della sinistra, e molti di coloro che stanno alla finestra, nell’astensione, attendono una spinta di questo tipo per ritrovare entusiasmo e rientrare nell’arena politica.
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